Un altro genere di comunicazione
21 01 2014
Negli ultimi anni assistiamo a numerosi tentativi di far chiudere gli spazi delle donne. Un centro antiviolenza situato nel quartiere di Tor Bella Monaca di Roma, quartiere dove il numero di reati è altissimo, sta rischiando di chiudere. Il centro antiviolenza gestito da Stefania Catallo si è finanziato automaticamente per due anni perché durante il Governo Berlusconi sono stati tagliati i fondi destinati ad aiutare le donne vittime della violenza maschile. Questo spazio ha permesso a tante donne di sopravvivere alla violenza dei propri mariti/compagni.
Il nostro Stato che fa tante retoriche contro il femminicidio sta però permettendo la sua chiusura. Nel dl contro il femminicidio non c’è alcun provvedimento di ripristino dei fondi così il centro Tor Bella Monaca, come tantissimi, sta rischiando la chiusura. Il centro è sotto sfratto ed è una cosa gravissima che questo accada in un paese “civile”. Un paese che si definisce come la culla dei diritti delle donne può permettere l’abbandono a sé delle vittime di violenza e la riconsegna ai loro carnefici?
Su Change è stata aperta una petizione indirizzata al sindaco di Roma e in poco tempo ha raggiunto quasi 20mila firme (qui per firmare).
Pochi giorni dopo assistiamo all’ennesimo atto di intimidazione verso il centro femminista situato a Via dei Volsci 22 a Roma. Qui la testimonianza:
“Con quella della notte tra sabato e domenica scorsa salgono a 5 le potenti bombe carta (la prima il 30 dicembre) la cui esplosione ha reso quasi inagibile la storica sede politica autogestita di femministe e lesbiche in via dei volsci 22. La porta in ferro è stata completamente divelta e si è dovuto ricorrere all’opera del fabbro per riparare i danni. Le precedenti esplosioni, denunciano le occupanti, hanno procurato gravi danni usati in maniera pretestuosa dalla proprietà che da quattro anni prova a rientrare in possesso del locale per metterlo all’asta”. Fonte QUI
Le femministe e lesbiche, inoltre, da tempo subiscono minacce, insulti sessisti e omofobi attraverso disegni offensivi sulla porta e sulle pareti della sede. E’ segno di un tentativo di impedire alle donne di fare politica, sintomo della paura e il disprezzo delle donne (e della propria autodeterminazione) ancora diffusi nel nostro Paese. Il disprezzo verso il femminismo, verso l’omosessualità femminile, sono segni di una cultura patriarcale di cui è intrisa Roma e tutta l’Italia.
Il centro 22 esiste dal ’77 e dall’89, cioè da quando è diventato femminista subisce numerosi tentativi per indurre le donne a mettere all’asta il locale e abbandonare la sede, dunque costringendo le donne a interrompere la pratica di politica femminista e lesbica al fine di contrastare il patriarcato. Lo spazio si occupa di pratiche di liberazione e di percorsi per il contrasto della violenza sulle donne, ivi sono partite mobilitazioni, incontri cittadini e nazionali per sviluppare percorsi politico-culturale femministi e lesbici.