A Pescara gli sportelli antiviolenza sono gestiti dal Movimento per La Vita

Un altro genere di comunicazione
28 07 2014

I centri antiviolenza hanno una storia femminista. Negli anni ’70 c’erano i gruppi di autocoscienza nei quali le donne condividevano storie ed esperienze, molte di quelle storie raccontavano di violenze.

Alcune di quelle donne decisero di lasciare il luogo dove quelle violenze venivano agite contro di loro, quel luogo era la casa, la famiglia.
Costruirono nuove case, nuove famiglie, dove tra donne potevano vivere la loro libertà e mettere in discussione l’assetto della società patriarcale. Nascevano così le prime case rifugio per donne vittime di violenza.

In Italia, in ritardo rispetto ad altri paesi europei, i primi centri per donne che subiscono violenza aprono negli anni ’90, questi centri si ispirano a principi tra cui: riconoscimento delle radici strutturali della violenza maschile contro le donne nella disparità di potere tra i sessi; accoglienza basata sulle relazioni tra donne; accompagnamento nel percorso di uscita dalla violenza nel rispetto dell’autonomia e autodeterminazione della donna vittima; ascolto non giudicante; pieno rispetto e accoglienza per donne e bambin* di qualsiasi religione, etnia, classe sociale, orientamento sessuale.


Molti centri antiviolenza italiani hanno una storia ventennale di progetti, attività di accoglienza e sensibilizzazione, buone prassi.
Operatrici formate ed esperte operano con fondi scarsi o inesistenti o ripartiti male.
La rete di centri antiviolenza D.I.Re è scesa in piazza il 10 Luglio scorso per protestare contro la ripartizione dei fondi decisi in Conferenza Stato Regioni.

Secondo D.i.Re questi criteri penalizzano le competenze dei Centri Antiviolenza e legittimano luoghi che si occupano di problematiche distanti dalla violenza, solo al fine di accedere a fondi già assolutamente inadeguati.

E’ stato ribadito che motivi di poca chiarezza risiedono già nella legge 119/2013, la così detta legge sul femminicidio, che non indica i criteri qualitativi che distinguono e caratterizzano i centri antiviolenza; lacuna che ha portato le Regioni ad includere nella mappatura dei centri antiviolenza anche luoghi privi di competenze.
Voce unanime in conferenza stampa la necessità di evitare di somministrare finanziamenti a pioggia e distribuire risorse senza tenere conto dei bisogni delle donne e delle esperienze maturate dai Centri antiviolenza. D.i.Re ha messo in evidenza il rischio che le donne possano ricevere risposte inadeguate o subìre vittimizzazione secondaria da risposte non adeguate fornite.

Per vittimizzazine secondaria si intende la colpevolizzazione della vittima, ovvero un ulteriore danno emotivo/morale rispetto a quello già subito dalla donna.
Possono agire vittimizzazione secondaria famigliari, agenti di polizia, medici, qualsiasi operatore che prende in carico una donna vittima di violenza e attua un comportamento giudicante, accusante, lesivo della persona e della sua storia.
Per questo motivo chiunque lavori con donne che hanno subito violenza deve essere adeguatamente formato per evitare di causare ulteriori problemi.
Una donna che arriva in un centro antiviolenza ha il diritto di trovare davanti a sè donne esperte, capaci di accogliere senza giudizio e di riconoscere l’autodeterminazione di ognuna senza sostituirsi nelle scelte.

Ma se una donna si rivolgesse ad un centro antiviolenza e incontrasse un’operatrice del Movimento Per la Vita? Ovvero una persona che non riconosce l’autodeterminazione delle donne, che considera più importante un embrione di una vita fatta di esperienze e scelte, che rifiuta la contraccezione perchè peccato e condanna il divorzio perchè distruttivo della sacralità della famiglia “tradizionale”? Le donne di Pescara corrono questo rischio.
Nell’Aprile scorso il Movimento per la Vita della città di Pescara è riuscito ad ottenere uno stanziamento regionale di fondi europei per la bellezza di 60 mila euro per la gestione di sportelli antiviolenza.

Il progetto presentato e vincitore del bando si chiama: “Legge, sicurezza e pienezza per la vita”, nato “dall’esigenza di rafforzare sul territorio la rete di aiuto e supporto alle donne vittime di violenza”, consiste in 10 sportelli attivi per un anno sul territorio di Pescara.

Uno di questi dieci centri “antiviolenza” si trova nella sede locale del Movimento per la Vita, uno dentro il consultorio pubblico, uno in un poliambulatorio medico, altri nelle sedi di quartiere. Ma sono presenti anche nelle scuole: “in quattro Istituti superiori siamo già entrati in accordo con i dirigenti scolastici per fare incontri con gli studenti” (fonte citazioni)

Non farti calpestare, il fiore sei tu. C’è scritto così nella locandina dell’evento di presentazione di apertura degli sportelli, e sotto c’è l’immagine di una giovane donna, con un fiore ficcato in un’occhio, un’immagine violenta, un bruttissimo esempio di riproposizione visiva della violenza, una rappresentazione umiliante e deturpata della donna, alla quale, tra l’altro, si intima di smetterla di farsi calpetare, riconoscendole quasi un concorso di colpa nella violenza subita.

Il Movimento per la Vita è una federazione di associazioni che si battono per il riconoscimento della vita sin dal concepimento, riescono ad ottenere fondi e piazzarsi nei consultori dove fanno terrorismo psicologico verso le donne che scelgono di interrompere una gravidanza.
I prolife del Movimento per la vita agiscono contro i diritti di autodeterminazione e salute delle donne, come possono gestire sportelli antiviolenza?

Come possono seguire le buone prassi di ascolto non giudicante e rispetto di tutte le scelte quando l’obiettivo primario dichiarato dell’associazine non è quello del sostegno alle donne vittime di violenza maschile ma la tutela della vita, della sacralità del matrimonio, della famiglia uomo/donna?

Cosa diranno le operatrici prolife a quella donna che si reca da loro perchè ha subito violenza sessuale e vuole essere indirizzata per procedere con un’interruzione volontaria di gravidanza?

Le operatrici del progetto “Legge, sicurezza e pienezza della vita” sosterranno la decisione di quella donna che vuole il divorzio dal marito violento?
Come accoglieranno la donna transessuale o la donna lesbica?

Il rischio che le donne che si rivolgono a questi sportelli, gestiti da personale ideologizzato e non competente, subiscano vittimizzazione secondaria è altissimo, come altissimo è il rischio che le libere scelte e l’autodeterminazione delle donne non vengano rispettate o che addirittura queste possano venir indirizzate ad intraprendere percorsi potenzialmente pericolosi.

Per capire la totale mancanza di conoscenza di base dei meccanismi della violenza di genere, la malafede, il fondamentalismo cattolico che si celano dietro all’operazione “Legge, sicurezza e pienezza della vita”, basta fare un salto sulla loro pagina facebook, dove è possibile trovare link come questo dal titolo “Violenza domestica. Lui vittima quanto lei”.

Oltre a quello citato, ci sono diversi altri link provenienti dallo stesso blog, gestito da un certo Giuliano Guzzo, autore del libro La famiglia è una sola ed edtorialista di pezzi del calibro di: “Il divorzio virus che uccide”; “Contraccezione. Non riduce (semmai aumenta) gli aborti“; Adozioni omosessuali? No; Femminicidio. I dati di un allarme inventato.

Non mi sembra necessario aggiungere altro.

Il femminicidio, che ritengono un allarme inventato, è stato usato strumentalmente da questi ignobili personaggi per intascarsi 60 mila euro.
Non è ammissibile che una donna nel proprio percorso di uscita dalla violenza incontri un/una prolife, i danni di una cattiva gestione dei servizi antiviolenza sono incalcolabili.
I fondi vanno ripartiti, e magari pure aumentati, riconoscendo l’esperienza, la tradizione femminista e le buone prassi dei centri antiviolenza che operano da anni con competenza e coraggio sul territorio italiano.

Fuori i prolife dai consultori, dai centri antiviolenza, dagli spazi delle donne.

A Pescara c’è anche un vero centro antiviolenza, Ananke.

Devi effettuare il login per inviare commenti

facebook