×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 415

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 553

Violenza, le vittime e i colpevoli lasciati soli dopo il processo

Corriere della Sera
11 09 2014

E adesso? È la domanda che spesso alla fine di un processo penale ci si sente rivolgere dalle persone che abbiamo assistito, qualsiasi ruolo abbiano avuto in quella vicenda. Chi il processo lo ha vissuto dovendosi difendere, perché vuole capire come cambierà la sua vita da quel momento in poi e se quella sensazione di essere sospeso tra due mondi durerà ancora a lungo. Chi il processo lo ha vissuto come persona offesa, perché non sa ancora, ma lo scoprirà in breve tempo, che con la sentenza si chiude – di fatto – l’interesse statale per la sua posizione.

In mezzo l’avvocato che deve spiegare, deve tradurre da una lingua complessa e contorta i contenuti di un comando, di un divieto, di una sanzione o di una pronuncia assolutoria. Non è infatti facile comprendere che il «dopo» nel diritto non esiste, che il processo penale non è rivolto al futuro ma guarda solo al passato per giudicarlo e lì si consuma. Ed ancora meno che le sanzioni spesso resteranno sulla carta o che, anche se si chiude con una assoluzione il processo può segnare comunque negativamente la vita, lasciando una ferita pesante. Tutto questo vale anche per i processi in materia di violenza domestica.

Il processo penale per quanto certamente moderno, ancora oggi è pensato in termini quasi esclusivamente punitivi e mentre è prevista una debole rete di protezione nel circuito processuale non la contempla affatto nella fase post processuale.

Questo significa lasciare «scoperti» sia autore che vittima del reato nel momento in cui il processo finisce. Ed invece è li che la rete di protezione dovrebbe attivarsi per dare una opportunità di non recidiva e di reinserimento reale nel mondo del colpevole, per dare un sostengo effettivo e concreto a chi vittima è stata riconosciuta da una pronuncia definitiva.

Questa caratteristica non aiuta né gli uni né gli altri ma anzi, aumenta se possibile il senso di distanza tra Stato e cittadino che non comprende come e perché si impegni tanto tempo e denaro per occuparsi di qualcosa che riguarda un momento passato e non ci si preoccupi minimamente di ciò che avviene adesso e, ancora di più, di ciò che avverrà in futuro. È come se l’unico modo per rappresentare la realtà, fosse quello di fotografarla, fissandola in un dato momento storico. Ma la vita non si ferma: cammina, spesso corre ed il processo la insegue, acchiappandola solo per brevi tratti. E così capita per esempio di trovarsi tante volte con processi fotocopia tra le stesse parti, come per le violenze domestiche, per i maltrattamenti, per le violenze sessuali, lo stalking. Gli stessi fatti che si ripetono nel tempo.

E dopo il processo? Nulla si riprende, passato un breve momento, dal punto di partenza.

Perché se lo Stato, oltre che punire ovviamente, non pensa al dopo, quei fatti sono destinati a ripetersi tali e quali. E per affrontarli, invece, non servirebbero interventi né complessi né particolarmente costosi, solo diversi. Quale aiuto al reinserimento oggi è presente per chi è stato condannato?

La Costituzione prevede una pena rieducativa ma oggi si è davvero lontanissimi da tutto ciò salvo poche e pur importanti realtà. Per chi la violenza l’ha subita la situazione è anche peggiore: per i reati che si svolgono nell’ambito familiare e per quelli contro la persona, sarebbe sufficiente un monitoraggio minimo per comprendere se quelle situazioni si verificano ancora e perché lo Stato ne prendesse coscienza e se ne facesse dunque carico.

Una telefonata, una presa di contatto con chi è stata riconosciuta vittima di violenza che chieda come va, se ci sono problemi, se quelle situazioni si sono ripresentate. Un follow up, direbbero i medici.

Fondamentale per evitare recidive o per affrontarle rapidamente.

Il contrasto alla violenza in atto è cosa diversa dalla prevenzione per la quale servono interventi culturali, sopratutto dedicati alle agenzie educative, di largo spettro ad oggi decisamente carenti. Per il contrasto e la repressione, oltre al ruolo fondamentale del processo, occorre una rete di protezione che si attivi in presenza di una vittima, non la lasci sola e la sostenga. Anche sotto questo profilo il quadro è, oggi, desolante.

Di violenza, diritti e genere si parlerà da oggi a sabato 13 settembre a Sui Generis, quattro giorni di convegno e dibattito organizzato a Cagliari dall’Ordine dei medici, dall’Ordine degli psicologi della Sardegna e del Comitato pari opportunità dell’Ordine Avvocati di Cagliari con il patrocinio dell’Università degli Studi di Cagliari, del Consiglio Nazionale Forense, dell’Ordine nazionale degli psicologi e della Fondazione nazionale Ordini Medici e Odontoiatri

Rosanna Mura


Ultima modifica il Giovedì, 11 Settembre 2014 13:23
Devi effettuare il login per inviare commenti

facebook