Bambine e bambini, donne e uomini. La differenza s’impara a scuola

La 27ora
26 04 2015

Perché ripetiamo ancora ai maschi «non piangere come una femminuccia»? E come mai le femmine si sentono dire da parenti e insegnanti «una bambina non fa questo» se strillano troppo? Noi adulti non consentiamo ai bambini ed alle bambine di crescere secondo le loro inclinazioni; ma li ingabbiamo nei nostri schemi di virilità e femminilità. Sembriamo sicuri che sia utile dividere i giochi, i colori e le collane letterarie per maschi da quelle per femmine. Spesso indirizziamo i nostri figli persino nella scelta degli studi come quando scoraggiamo le femmine che vorrebbero occuparsi di fisica nucleare e i maschi attratti dall’insegnamento. Eppure il meglio che possa accadere nella vita è scegliere senza condizionamenti e che le scelte siano il frutto dei nostri desideri e non di pregiudizi e gabbie predefinite per sesso, orientamento sessuale, età ed etnia.

Da queste ipotesi è partita l’inchiesta della rivista di politica e cultura delle donne Leggendaria, arrivata al numero 110 della sua lunga e libera storia editoriale: il 19 maggio sarà presentata a Milano in un incontro intitolato «Anatema sul gender: la scuola sotto tiro» (Casa delle donne, ore 18, via Marsala 8. Saremo a Genova, il 15 e a Trieste il 21 maggio). E subito ci siamo misurate con le polemiche che in questi mesi hanno investito e travolto, in alcuni casi, i formatori, i genitori e i docenti impegnati a portare a scuola l’educazione alle differenze sessuali.

Forse ricorderete in marzo lo scandalo scoppiata quando una materna di Trieste ha sperimentato un progetto ludico educativo finanziato dalla Regione che prevedeva, insieme a molte altre tappe, lo scambio dei ruoli e la possibilità per bimbi e bimbe di scambiarsi i costumi di principessa e cavaliere. Si è parlato di «giochi morbosi all’asilo», come in altri casi si è accusata una fantomatica «lobby omosessuale» di voler «convertire i giovani all’omosessualità» (La27ora ne ha scritto qui) solo perché il ministero per le Pari Opportunità nel 2014 aveva fatto preparare all’istituto Beck gli opuscoli informativi «Educare alla diversità a scuola» per arginare il bullismo omofobico dilagante.

Gli opuscoli sono stati precipitosamente ritirati e sono scomparsi, ma purtroppo sappiamo quanto soffrano molti ragazzi i cui comportamenti paiono non virili ai loro compagni e compagne. Magari attraversano solo una fase di passaggio adolescenziale, ma accade che, messi alla berlina sui social media, si ritirino da scuola e vadano in crisi. Alcuni dopo essere stati insultati perché gay, si sono anche uccisi. Non sarebbe ragionevole insegnare il rispetto delle differenze per prevenire la violenza e la discriminazione basata sul sesso o l’orientamento sessuale? Ci sono molti studi che dimostrano (la rivista Hamelin ne ha scritto spesso e con competenza) che oltre il 97 per cento di ragazze e ragazzi, dai 13 anni in su, hanno visto siti porno, dove imperversa una sessualità rozza e spesso violenta, dove trionfano gli stereotipi dell’uomo macho e della donna oggetto. L’Europa ha spesso sollecitato l’Italia a portare l’educazione dei sentimenti nelle classi fin dai primi anni di vita dei bambini, come accade in quasi tutti i Paesi dell’Unione, anche per sottrarli alla pornografia oggi accessibile a tutti.

La scuola pubblica, che pure è afflitta da tanti problemi, è diventata da noi un campo di battaglia tra chi vuole introdurre questi temi sia nella formazione degli insegnanti sia all’interno delle classi e chi li ostacola rivendicando esclusivamente alla famiglia l’educazione dei figli a temi così delicati e intimi. Ci sono le sentinelle in piedi e le associazioni che mandano petizioni e decine di migliaia di firme al presidente della Repubblica perché non si insegni quella che chiamano teoria o ideologia del gender ai loro figli. La Conferenza episcopale italiana, L’Osservatore Romano e perfino la moderata Famiglia Cristiana hanno scatenato una lotta senza quartiere alla dittatura del gender, che altro non sarebbe se non la manipolazione dell’infanzia. E che segnerebbe la fine della differenza tra i sessi e della stessa famiglia naturale.

La posta in gioco è evidentemente alta: in Parlamento giacciono da tempo vari disegni di legge. Leggendaria ha intervistato le firmatarie delle tre leggi di Pd, Sel e M5S, che spiegano cosa intendono per educazione all’affettività a scuola (nessuno la chiama più sessuale). Non si intende affatto azzerare le differenze tra i sessi, piuttosto si vogliono prendere in considerazione tutte le differenze: si vuole fare della scuola non «un campo di rieducazione», come temono alcuni, ma una palestra per abbattere i pregiudizi che alimentano o giustificano violenza o bullismo, disparità tra i generi, omofobia. Su questo stesso blog Monica Ricci Sargentini ha scritto che la teoria del gender vuole azzerare le differenze, ma credo confonda il pensiero di una accademica come Judith Butler e la pratica degli studi di genere di cui si parla nella scuola italiana, studi che vogliono appunto far discutere sulle differenze a partire da quelle uomo-donna.

Il fronte favorevole conta associazioni e singoli che vogliono far sì che le differenze non si tramutino in diseguaglianze. La spinta viene «dal basso», molti docenti hanno desiderio di formazione e di condivisione perché si trovano a essere la prima linea delle nuove frontiere delle differenze tutte, comprese quelle religiose e etniche. Negli ultimi anni pedagogisti, genitori e, appunto, tanti docenti di ogni ordine e grado hanno moltiplicato, da nord a sud, progetti e percorsi formativi per prendere confidenza con temi come la relazione tra i sessi, l’affettività, l’omofobia, le diversità nella composizione delle famiglie di oggi che hanno spesso genitori separati con nuovi compagni o compagne e meno spesso (ma accade) genitori dello stesso sesso.

Scrive su Leggendaria Monica Pasquino presidente di S.co.s.s.e (Soluzioni Comunicative Studi servizi editoriali), associazione che lavora nel Lazio al progetto «Educare alle differenze», che gli attacchi subiti sono stati fortissimi da parte della diocesi di Roma e di vari movimenti politici cattolici che hanno diffuso volantini nelle scuole in cui loro lavoravano per far boicottare i corsi a genitori e insegnanti. Sotto accusa, secondo Pasquino, è la scuola pubblica e la sua autonomia di trasmettere alle nuove generazioni i valori della cittadinanza plurale e principi più ampli, non necessariamente migliori, di quelli trasmessi nella famiglia di appartenenza. Dopo tante polemiche S.co.s.s.e. ha convocato a Roma, lo scorso anno, chi condivide il progetto. Sono arrivati in 600 da tutta Italia: prof e genitori, associazioni di donne e di omosessuali, funzionari delle istituzioni, tutti autofinanziati. Un successo. Tanto che in ottobre si replica.on basta. Serve un lavoro culturale, attento, costante e profondo”.

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