×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 404

DOPO #TORINOBURNING, UNA RIFLESSIONE SUL FALSO STUPRO

di Giovanna Cosenza, dis.amb.iguando
12 dicembre 2011 
 
Dopo la vicenda raccapricciante del campo nomadi bruciato a Torino (QUI lo storify di Valigia Blu), è utile fare qualche riflessione sulla notizia che appare secondaria: quella di una ragazzina di sedici anni che si inventa, complice il fratello, di essere stata stuprata da due rom, perché lo ritiene meno grave che confessare ai genitori di aver avuto, consenziente, il primo rapporto sessuale.
 Riprendo in proposito uno spunto di Michela Murgia: Giustissima la critica al razzismo. Giustissimo chiedersi che cosa sta succedendo a Torino. Ma spero che qualcuno si faccia domande anche su che tipo di società è quella che induce una giovane donna a credere che la condizione di stuprata sia per lei socialmente più vivibile di quella di chi fa sesso perché lo ha deciso.
 
Ora, posto che una comprensione decente e rispettosa di «ciò che induce» una ragazzina a inventarsi uno stupro non può prescindere dalla sua storia psicologica individuale e dal complesso intreccio di relazioni psico-affettive del sistema familiare in cui vive, le determinanti sociali di questo comportamento sono indubbie, visto che espisodi del genere sono ormai numerosi.

Lo riferiscono psicologi e psicoterapeuti. E lo riferiscono le cronache. A memoria ricordo un paio di episodi: uno del settembre 2006 ad Anzola Emilia, in provincia di Bologna (la ragazzina aveva solo dodici anni), l’altro del giugno 2009, a Vedelago, in provincia di Treviso, che coinvolse una quindicenne. Ma ce ne sono sicuramente altri che mi sfuggono.

Insomma il fenomeno ha un rilievo anche sociale, tanto che in rete abbondano siti e forum più o meno esplicitamente misogini, che collezionano cronache di finti stupri, per inveire una volta di più contro il genere femminile. E anche riguardo a Torino, i commenti sono passati subito dall’invettiva contro i rom a quella contro la ragazzina, quando si è saputo della simulazione, definita «cretina», «troietta», «demente» e via dicendo.

Mi soffermo su tre punti:

Non è prendendosela con la ragazzina che si esprime la propria solidarietà con i rom, perché l’aggressività contro lo straniero e quella contro le donne sono figlie della stessa cultura: non c’è da stupirsi che si passi con facilità dall’una all’altra e lo si può fare anche senza chiamare la ragazzina «troietta», ma facendosi domande in apparenza innocenti come quella che un lettore di Italians su Corriere rivolge a Beppe Severgnini: «Chi è peggio secondo te? La ragazza o i “manifestanti”?».
 
Queste adolescenti inventano stupri per i motivi più disparati, che sono legati – ripeto – alla loro psicologia individuale, alle dinamiche del sistema di relazioni affettive in cui vivono, al senso che l’invenzione di uno stupro può avere in quel momento per loro, in relazione alla madre, al padre o alla figura con cui stanno negoziando affettivamente qualcosa. Dunque generalizzare e sputare sentenze che valgano per tutte è pura idiozia.
 
Detto questo, la determinante sociale sta in questo: la sceneggiatura «stupro», che vede la donna nel ruolo di vittima da compatire, curare e risarcire, da un lato, e i pregiudizi contro «i rom» e «gli zingari» (ma anche contro «i nordafricani», «gli extracomunitari» ecc.), dall’altro, sono due grumi concettuali ed emotivi che la società italiana mette a disposizione di queste ragazzine come di tutti noi. Ognuno poi li rielabora in modo più o meno consapevole, prendendone le distanze o meno, a seconda dei propri strumenti culturali, del contesto sociale in cui vive e della propria individualità.
 
Con gli stessi due ingredienti in testa, la ragazzina ha inventato uno stupro; la Stampa ha inventato il titolo «Mette in fuga i due rom che violentano la sorella»; i «manifestanti» di Torino hanno dato fuoco al campo nomadi.

Dopo di che, la ragazzina ha confessato e chiesto scusa alla città e «ai bambini del campo»; la Stampa pure ha «confessato» e chiesto scusa («ai nostri lettori e soprattutto a noi stessi», con tipica autoreferenzialità mediatica): «Il razzismo di cui più dobbiamo vergognarci è quello inconsapevole… Probabilmente non avremmo mai scritto: mette in fuga due «torinesi», due «astigiani», due «romani», due «finlandesi» (vedi Linkiesta, Il finto stupro di Torino, la Stampa e il facile mea culpa sui rom).

Ma i «manifestanti» di Torino non hanno chiesto scusa a nessuno, né tanto meno ai rom. E non è prendendosela con «la cretina» che si manifesta la propria superiorità a queste cose, come un po’ ovunque sto leggendo e sentendo.
Devi effettuare il login per inviare commenti

facebook