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CORRIERE DELLA SERA

La Slovenia approva i matrimoni gay

La Repubblica
04 03 2015

La Slovenia ha detto «sì» ai matrimoni tra le persone dello stesso sesso. La Camera dello Stato - il Parlamento sloveno - ha approvato un emendamento alla legge sui matrimoni e la famiglia, che equipara i matrimoni omosessuali a quelli eterosessuali con 51 voti a favore e 28 contrari. Il matrimonio, secondo la nuova definizione, è considerato l’unione tra due persone indipendentemente dal loro sesso.

L’equiparazione del matrimonio

L’emendamento presentato dal partito Sinistra unita ha fatto sì che anche le coppie omosessuali possano sposarsi acquisendo così tutti i diritti e i doveri di cui godono le coppie eterosessuali, sia dal punto di vista giuridico che economico e sociale. Tra i diritti delle coppie gay c’è anche la possibilità di adozione dei bambini.

Favorevoli e contrari

A favore dell’emendamento, oltre alla Sinistra unita, sono stati i parlamentari della coalizione governativa (Partito del centro moderno, Socialdemocratici) e l’Alleanza per Alenka Bratusek. Il partito di coalizione Desus ha lasciato ai parlamentari la possibilità di votare secondo la propria coscienza. Contrari invece i partiti di centro-destra (Partito democratico sloveno e Nova Slovenija). Intanto è già iniziata una raccolta firme per un referendum abrogativo.

La 27ora
04 03 2015

Oggi è il primo anniversario della morte di Riccardo Magherini, deceduto nelle prime ore del 3 marzo 2014 a Firenze. I suoi familiari e gli amici lo ricorderanno a partire dalle 18 con una funzione religiosa e una fiaccolata a piazza Santo Spirito.

È l’1.20 della notte tra il 2 e il 3 marzo dello scorso anno. A seguito di ripetute segnalazioni circa un uomo che grida aiuto, i carabinieri arrivano a Borgo San Frediano.

Riccardo Magherini ha avuto un attacco di panico. Non è una cosa banale. Chi ne soffre sa di cosa si tratta.

Cosa lo abbia provocato resta oscuro. È a cena in un ristorante di San Frediano, poi si reca in un hotel di piazza Ognissanti. Chiama un taxi, ma qui si impaurisce e scende. Chiede un passaggio a un automobilista, dice che lo stanno inseguendo e vogliono sparargli. Qualcuno lo ha visto litigare con una persona su Ponte Vespucci. Il cellulare che si perde, un bossolo calibro nove di una pistola a salve che viene ritrovato qualche giorno dopo.

Un mese fa, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale fiorentino ha accolto la richiesta del pubblico ministero responsabile delle indagini e ha disposto il rinvio a giudizio di sette persone, quattro carabinieri e tre operatori volontari della Croce rossa, con l’accusa di omicidio colposo.

Secondo il pm, Riccardo Magherini morì per arresto cardio-respiratorio e intossicazione acuta da cocaina “associata a un meccanismo asfittico”: i carabinieri intervenuti per eseguire il fermo avrebbero bloccato Magherini a terra premendo con forza eccessiva sulla regione scapolare e sulle gambe. Un’azione non necessaria, eseguita quando l’uomo era già immobilizzato e in manette. Uno dei quattro militari rinviati a giudizio è anche accusato di percosse, avendo in quel frangente preso a calci Riccardo Magherini.

Gli operatori sanitari giunsero 13 minuti dopo e, secondo l’accusa, non valutarono in modo corretto la situazione, non controllarono i parametri vitali e non aiutarono Riccardo Magherini a riprendere una normale respirazione.

Più volte, in quei momenti, Riccardo Magherini chiese aiuto e implorò ”Non ammazzatemi!“.

Il processo inizierà l’11 giugno.

Corriere della Sera
25 02 2015

La legge regionale lombarda che regola, in materia urbanistica, i nuovi luoghi di culto, ed è stata ribattezzata «anti-moschee», sarà impugnata dal Governo davanti alla Corte Costituzionale, forse già nella prossima seduta del Cdm. La notizia, già annunciata dal Corriere, è stata confermata da Enrico Brambilla, capogruppo del Pd al Consiglio regionale della Lombardia. Brambilla insieme a Umberto Ambrosoli, coordinatore del centrosinistra al Pirellone, e Lucia Castellano, capogruppo del Patto Civico, ha presentato in una conferenza stampa l’istanza di impugnativa della legge che sarà inviata al premier Matteo Renzi e agli uffici di Palazzo Chigi. Una sollecitazione al Governo perché impugni per illegittimità costituzionale le norme volute dalla Lega e dal centrodestra, accusate di violare il diritto fondamentale alla libertà di culto, ma anche uno strumento per essere ammessi nell’eventuale giudizio alla Consulta. Nell’istanza dettagliata, in 12 pagine, il centrosinistra smonta la legge lombarda sui luoghi di culto. «Il bersaglio sono i musulmani, ma viola la libertà di culto di tutte le confessioni», ha detto la consigliera Castellano.

Ambrosoli: «Legge anti costituzionale»
«Come centrosinistra - ha affermato Ambrosoli - vogliamo svolgere anche in sede giurisdizionale il nostro ruolo di opposizione. È una legge anti culto e una legge anti costituzionale, non lo diciamo solo noi, ma lo avevano già indicato con chiarezza gli uffici tecnici del Consiglio regionale. In Regione Lombardia però vige il concetto che chi ha vinto le elezioni può fare tutte le leggi che vuole anche se queste sono incostituzionali. Fortunatamente c’è chi ha una diversa concezione del ruolo di consigliere regionale e non perde l’occasione per esercitarlo anche nelle sedi giurisdizionali che sono offerte dall’ordinamento». Il consigliere regionale ha poi aggiunto che «è il primo esposto che parte nel corso di questa legislatura, però anche questa mattina il presidente del Consiglio regionale ha aperto la seduta comunicando che per l’ennesima volta una legge regionale è stata impugnata dal Governo davanti alla Corte Costituzionale. Io non penso che il senso del regionalismo è fare norme anticostituzionali, promuovere costantemente un contenzioso davanti alla Corte Costituzionale e andare in lotta contro il nostro ordinamento».

Il centrodestra
«Mentre ogni giorno i terroristi minacciano di colpire l’Italia e pubblicano immagini con la bandiera nera sopra il Colosseo, in Lombardia l’opposizione esulta perché, pare, il Governo sarebbe in procinto di impugnare la Legge regionale sui luoghi di culto», dichiara l’assessore regionale al Territorio, Urbanistica e Difesa del suolo Viviana Beccalossi (PdL).« Ancora una volta emerge in modo netto ed inequivocabile chi, su una materia così delicata, pretende chiarezza e procedure ben definite e chi, invece, non vede l’ora di inaugurare nuove moschee. La nostra Legge - prosegue Viviana Beccalossi - ha l’obiettivo di fissare delle procedure valide per tutti e non lasciare alle singole iniziative de sindaci la decisione su come, dove e in che termini sarà possibile realizzare nuovi luoghi di culto in Lombardia. Una legge che, lo ribadisco nuovamente, è da ritenersi opportuna, utile e necessaria».

Il Corriere della Sera
24 02 2015

Un primario di ostetricia obiettore di coscienza in un ospedale pubblico. A Roma non sarebbe certo la prima volta. Ma se questo stesso primario provenisse da una struttura confessionale? In questo caso solo il sospetto è bastato per riportare sulle barricate la rete romana di donne che sostiene e vigila sull’applicazione della Legge 194. Il mezzo scelto per contarsi è Facebook. È qui infatti che si sta organizzando la protesta (preventiva) per evitare che alla guida del reparto di ostetricia e ginecologia del «più grande ospedale pubblico della nostra Regione», nonché centro di riferimento regionale per la Legge 194, ossia il San Camillo, arrivi «un primario proveniente da un ospedale privato della chiesa».

La levata di scudi su Facebook

Quasi 2mila membri, tra donne e uomini, in appena 5 giorni: il gruppo “No a un primario obiettore di coscienza al San Camillo” continua a macinare adesioni. L’ha aperto Lisa Canitano, ginecologa e presidente dell’associazione “Vita di donna”, come reazione quasi istintiva alle «voci che si fanno sempre più forti» in merito al concorso in via di espletamento per individuare il nuovo direttore di ostetricia e ginecologia del San Camillo. «Si tratta solo di voci – ribadisce Lisa Canitano – e ci auguriamo di essere smentite. Ma a scanso d’equivoci abbiamo deciso di chiarirlo sin da subito: la nomina di un primario confessionale sarebbe inaccettabile». Una vera e propria «umiliazione».

Ritorno al passato

Sulla pagina del gruppo Facebook le parole chiave sono «diritto», «libertà di scelta» e «laicità». Ma il rischio non è solo – come scrive qualcuna – di «tornare indietro di decenni e vanificare le nostre lotte giovanili». «Il problema – sostiene Lisa Canitano – è anche il livello di assistenza complessiva che si garantisce alle donne e alle coppie. Non basta infatti mettere a disposizione una stanza, magari ben lontana alla vista, per eseguire gli aborti. C’è bisogno di accoglienza, professionalità e del massimo della modernità tecnologica nella diagnostica prenatale. Tutte cose che un primario confessionale non può garantire».


Il precedente del Policlinico Umberto I

La battaglia per il San Camillo arriva peraltro in un momento in cui nella Capitale è ancora vivo il ricordo dello scandalo che ha recentemente riguardato il Policlinico Umberto I. Dove, causa prepensionamento dell’unico medico non obiettore, le interruzioni volontarie di gravidanza sono state sospese per quasi due mesi. In quel caso la protesta immediata, organizzata della rete #IoDecido, ha evitato che il disservizio durasse più a lungo. Ma, come denuncia il coordinamento regionale per la legge 194, gli stop al servizio sono piuttosto comuni nel Lazio.

La situazione nel Lazio «A oggi ad esempio – rivelano dal coordinamento – gli ospedali di Genzano e Gaeta non eseguono più ivg per mancanza di personale non obiettore». Altrove si diminuiscono drasticamente le sedute operatorie. «Accade a Viterbo e persino a Roma, al Sant’Eugenio, dove attualmente il servizio è attivo solo una volta a settimana». Pensa a casi come questi Lisa Canitano quando dice che «a Roma, come nel resto del paese, la 194 è una conquista tutt’altro che scontata. E se fino a oggi gli attacchi sono stati respinti al mittente è solo grazie all’ininterrotta attenzione da parte delle donne». Adesso tutti gli occhi sono puntati sul San Camillo.

Le persone e la dignità
24 02 2015

Due anni e mezzo di reclusione per aver messo in scena uno spettacolo teatrale all’università. E’ successo in Thailandia. L’accusa è di aver insultato la monarchia con la produzione della recita “The wolf bride” in cui comparivano i personaggi di un re immaginario e di un suo consigliere. LOspettacolo era andato in scena nell’ottobre del 2013 all’università Thammasat a Bangkok, in coincidenza del 40/mo anniversario di una rivolta studentesca repressa nel sangue. Patiwat Saraiyaem e Porntip Mankong, rispettivamente di 23 e 26 anni, sono stati entrambi ritenuti colpevoli di lesa maestà, che porta la pena massima di 15 anni di prigione.

“Entrambi i sospettati hanno violato la legge 112 e ricevono una condanna a cinque anni di prigione ridotta della metà”, ha spiegato un giudice, aggiungendo che la pena è stata ridotta perchè gli imputati hanno confessato.
La Thailandia dispone della legge di lesa maestà più severa al mondo, la denuncia può essere effettuata da chiunque: nel caso dei due studenti condannati, la segnalazione è partita da un gruppo ultra-monarchico. L’applicazione del provvedimento è stata intensificata sotto il governo militare al potere dal colpo di stato dello scorso maggio. Nonostante questo lunedì 23 febbraio circa 40 attivisti hanno protestato davanti al tribunale in cui venivano giudicati i due studenti sfidando il divieto di protestare.

Corriere della Sera
20 02 2015

Il prefetto di Milano, Francesco Paolo Tronca, ha nominato un commissario ad acta che ha cancellato la trascrizione dei 13 matrimoni omosessuali celebrati all’estero, che era stata fatta dal sindaco Giuliano Pisapia. Le coppie sono state informate tramite lettera. Secca, la replica del sindaco sul suo profilo Facebook: «Ci opporremo in tutte le sedi contro una decisione strumentale e discriminatoria». Non solo. Pisapia ha rinnovato il suo appello al Parlamento, «affinché intervenga al più presto con un provvedimento legislativo complessivo che finalmente allinei l’Italia a quell’Europa dei diritti cui aspiriamo». Infine, una stoccata al ministro dell’Interno, Angelino Alfano, per il quale invoca una «formale mozione di censura» dagli scranni di Montecitorio. Punta il dito contro il responsabile del Viminale anche l’assessore alle Politiche sociali, Pierfrancesco Majorino: «Invece di occuparsi di come accogliere dignitosamente gli immigrati, perseguita le coppie di fatto». Si dicono «sgomente» per «un intervento a gamba tesa, un atto oscurantista e fascista» le coppie omosessuali milanesi sposate all’estero, riunite nel gruppo «Love Out Law».

La vicenda
Più volte il sindaco Pisapia si era rifiutato di cancellare le nozze gay celebrate all’estero, ritenendole legittime. Era lo scorso 4 novembre quando il prefetto aveva adottato il «provvedimento di annullamento» di trascrizione dei 13 matrimoni tra persone dello stesso sesso trascritte dal sindaco. Nel provvedimento Tronca aveva ordinato al sindaco, in qualità di ufficiale di stato civile, di provvedere «senza ritardo» a tutti gli adempimenti. Il commissario ad acta si è recato nei giorni scorsi in Comune a cancellarle. «Un atto dovuto», lo definiscono fonti della prefettura.

I Giovani democratici: «Mozione contro Alfano, si dimetta»
E sulla trascrizione, da più parti, monta la polemica. Arriva dai Giovani democratici milanesi la proposta di presentare e votare una mozione contro il ministro dell’Interno: «Alfano si dimetta. Dimostra ogni giorno un’inettitudine disarmante che mette a rischio la fiducia e la tenuta del governo — dichiara Giacomo Marossi, coordinatore cittadino dei Giovani democratici — come se già non bastasse l’imbarazzo di starci in maggioranza».

De Corato: «Meglio tardi che mai»
Solidarizza con il prefetto Riccardo De Corato (FdI), vice presidente del consiglio comunale. «Meglio tardi che mai — il suo commento — . Finalmente anche a Milano il prefetto ha nominato un commissario ad acta per annullare le trascrizioni delle nozze gay. Siamo in ritardo di quattro mesi, a Udine questo passo era stato fatto a fine ottobre, mentre da noi è stato perso un sacco di tempo». Il consigliere all’opposizione ricorda inoltre come «in questi mesi avevamo più volte chiesto la soluzione della questione e il ripristino della legalità, scrivendo, il giorno dopo le trascrizioni di Pisapia, al prefetto Tronca. Ma il tempo è passato tra missive, dichiarazioni, prove di forza e pure un falso avviso di garanzia e la seguente sceneggiata del sindaco che si dichiarava indagato quando invece non lo era».

Corriere della Sera
19 02 2015

Evitare di correre, di chiudere con forza finestre e porte, di graffiare o forare le pareti. Il vademecum delle norme di comportamento è affisso in tutte le sedici classi del biennio dell’istituto tecnico Leonardo Da Vinci di Firenze e i ragazzi dai 14 ai 16 anni che vengono a scuola qui sono tenuti a rispettarle per «limitare al massimo i rischi per la salute».

Perché la premura non è mai troppa quando si parla di cemento-amianto e di questo materiale sono fatte le pareti di questa palazzina anni Sessanta che fa parte del grande complesso dell’Iti Da Vinci di via del Terzolle, la prima scuola tecnica fiorentina voluta dal Comune. Qui, il Comune di Firenze è intervenuto più volte, l’ultima l’estate scorsa per finire di bonificare il tetto. All’interno delle pareti restano però degli strati in amianto e per esempio, attaccare un chiodo potrebbe essere molto pericoloso per le polveri che si alzerebbero.

Gli otto milioni che non ci sono
Palazzo Vecchio è tuttora proprietario della struttura e il problema dell’amianto lo conosce bene: ogni anno viene stesa una patina di vernice sui muri dell’edificio del biennio e ogni sei mesi viene fatto un controllo con una speciale macchina che rileva le fibre disperse nell’aria: «Da quando sono dirigente qui, negli ultimi quattro anni – dice il preside Giacomo D’Agostino – nessuno di questi controlli ha dato esito positivo, fibre nell’aria non ce ne sono, la soluzione però resta una sola: abbattere e ricostruire l’edificio. Servono tra i sette e gli otto milioni di euro, nel frattempo serve prendere tutte le precauzioni possibili perché i ragazzi, gli insegnanti e tutto il personale della scuola vada lì a studiare e lavorare in sicurezza». Di quei soldi però, neanche l’ombra.

Lisa Baracchi

Le persone e la dignità
17 02 2015

La sera del 7 febbraio, dopo aver pagato agli scafisti 650 euro a testa 400 migranti vengono portati a Garabouli, 40 chilometri a ovest di Tripoli e fatti salire con la minaccia delle armi su quattro gommoni. Il giorno dopo inizia l’incubo.

Nel primo pomeriggio dell’8 febbraio la Guardia costiera italiana riceve un Sos da un punto localizzato a 120 miglia nautiche a sud di Lampedusa e a 74 miglia nautiche a nord della Libia. Nella telefonata, pressoché incomprensibile, si capiscono solo le parole “pericolo, pericolo” in lingua inglese. Ma bastano quelle.

In quel momento, la principale imbarcazione usata nell’ambito dell’operazione europea Triton è ormeggiata a Malta, a centinaia di chilometri di distanza, per manutenzione. Ecco la tanto proclamata risposta dell’Unione europea alla chiusura di Mare nostrum!

Le condizioni meteo in quella zona sono pessime da una settimana. I migranti, molti dei quali indossano vestiti leggeri, le temperature sono prossime allo zero, cade persino la grandine e le onde sono alte fino a otto metri. I quattro gommoni hanno piccoli motori fuoribordo che i trafficanti non hanno neanche riempito col carburante necessario alla traversata.

In modo ammirevole e con eccezionale coraggio dei suoi uomini, le imbarcazioni della Guardia costiera partono al soccorso. Ci mettono tempo, perché affrontare il mare in tempesta con mezzi di 18 metri è arduo. Riescono a trarre in salvo 105 persone da uno dei gommoni alle 21 di domenica 8, ma dopo il salvataggio 29 muoiono di ipotermia e per altre cause. Due navi mercantili che si trovano nella zona salvano nove sopravvissuti rimasti su due gommoni.

Una missione di ricerca di Amnesty International ha incontrato a Lampedusa alcuni sopravvissuti.

Ibrahim, un uomo di 24 anni proveniente dal Mali, è uno dei due soli sopravvissuti del suo gommone, soccorso da un mezzo mercantile:

“[Alle 7 di sera di] domenica il gommone ha iniziato a sgonfiarsi e a riempirsi d’acqua e chi era a bordo ha cominciato a cadere in acqua. A ogni ondata, cadevano due o tre persone. La prua si alzava e chi era a poppa finiva in mare. A un certo punto eravamo rimasti solo in 30. Ci siamo attaccati alla corda del lato che stava ancora a galla, l’acqua saliva fino alla pancia. Poi siamo rimasti in quattro. Abbiamo resistito tutta la notte. Pioveva. All’alba, due sono scivolati via. La mattina abbiamo visto un elicottero. Ho raccolto una maglietta rossa che galleggiava nell’acqua e l’ho agitata perché potessero vederci. Hanno lanciato un piccolo canotto gonfiabile ma non avevo più le forze per raggiungerlo. Abbiamo aspettato ancora. Un’ora dopo, è arrivata una nave, ci hanno lanciato una corda e siamo saliti a bordo. Erano le tre del pomeriggio [del 9 febbraio]”.
Lamin, a sua volta proveniente dal Mali, era sull’altro gommone soccorso da una nave mercantile:

“Eravamo in 107. In alto mare, le onde hanno iniziato a sballottarci. Avevamo tutti paura. Ho visto tre di noi cadere in acqua e nessuno ha potuto aiutarli. Hanno cercato di rimanere attaccati al gommone ma non ce l’hanno fatta. Quando è arrivata la grande nave commerciale a soccorrerci, eravamo rimasti solo in sette. Ci hanno lanciato una corda e siamo saliti a bordo. Durante i soccorsi, la nostra barca si è spezzata in due parti che sono affondate, portando giù tutti i corpi”.
I sopravvissuti hanno confermato che i gommoni erano quattro; il quarto risulta ancora disperso. I morti sono oltre 300.

È impossibile sapere quante vite sarebbero state salvate con maggiori risorse, ma il numero dei morti sarebbe stato probabilmente minore. La Guardia costiera ha fatto del suo meglio.

Le partenze di migranti e rifugiati sono aumentate nel corso del fine settimana e continueranno a farlo mentre la Libia sprofonda nella violenza. La Guardia costiera italiana ha confermato che i suoi mezzi, insieme alle navi mercantili, hanno soccorso tra il 13 e il 15 febbraio oltre 2800 persone a bordo di almeno 18 imbarcazioni; solo il 15 febbraio sono state soccorse 2225 persone a bordo di oltre 10 imbarcazioni.

Il direttore delle operazioni di ricerca della Guardia costiera ha parlato in modo franco ai ricercatori di Amnesty International a proposito delle limitate risorse a disposizione:

“Quando alla fine dell’inverno le partenze aumenteranno, non saremo in grado di prenderli tutti a bordo, se rimarremo gli unici a uscire in mare”.
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si aspetta che i flussi di migranti che attraversano il Mediterraneo proseguano nel 2015. Nel 2014 hanno attraversato il mare 218.000 persone e i dati del gennaio 2015 mostrano un incremento del 60 per cento degli arrivi rispetto allo stesso mese del 2014. L’anno scorso quasi 3500 persone sono morte in quello che è il più mortale percorso marittimo del mondo.

Amnesty International sollecita gli stati dell’Unione europea a prevedere operazioni collettive e coordinate di ricerca e soccorso lungo le rotte usate dai migranti, che siano quanto meno dello stesso livello di Mare nostrum. Nel frattempo, fino a quando ciò non accadrà, l’organizzazione per i diritti umani chiede all’Italia di fornire risorse aggiuntive di emergenza.

Corriere della Sera
13 02 2015

Lo scrivano, il lazzarone, il lustrascarpe sono termini che appartengono alla nostra memoria, figure ormai scomparse che molti di noi non hanno mai neanche sentito. Eppure fanno parte della nostra memoria al pari di re e presidenti, di quella storia della quotidianità che ha avuto un posto di rilievo nella storiografia ufficiale solo grazie a fotografi, pittori e scrittori illuminati.

Tra essi emergono i fratelli Alinari, Giacomo Brogi, Giorgio Sommer ma anche Robert Rive, Giorgio Conrad e Gustave Emile Chauffourier, fotografi che a cavallo tra Ottocento e Novecento hanno viaggiato nel nostro Paese per cogliere l’essenza quotidiana di un’Italia appena nata e mai impressa prima su pellicola.

Ecco quindi che il maccheronaio, la pastiera, il carretto siciliano e il mercato del tonno di Palermo si trasformano da oggetti in soggetti e posti al centro di ritratti che oggi riemergono grazie al web.

Da oggi infatti parte dell’Archivio Alinari è entrato all’interno del Google Cultural Institute, la piattaforma tecnologica sviluppata da Big G per promuovere e preservare la cultura online. Primo passo dell’accordo è la mostra digitale «Antichi mestieri e costumi d’Italia fotografati tra il 1860 e il 1900», un repertorio di 50 scatti di cui il Corriere della Sera pubblica in esclusiva le prime quindici foto. Un viaggio nel tempo per ricordare, sorridere e conoscere un mondo che non c’è più. Il nostro.

Alessio Lana

Corriere della Sera
13 02 2015

A Mineo si trova il centro rifugiati più grandi d'Europa e costa allo Stato oltre 30 milioni l'anno (come già mostrato in un’inchiesta sugli appalti legati al CARA pubblicata da Reportime).Ogni giorno al Cara vengono corrisposti 35 euro per ognuno dei 3500 migranti e ad ogni ospite spetterebbe una quota giornaliera di €2.50 in buoni acquisto ma, incredibilmente, la cifra viene talvolta corrisposta in sigarette con le quali, per stessa ammissione del Cara, alimentano un mercato nero.

Cinquestelle e Sel hanno fatto più interrogazioni parlamentari e il ministero dell’Interno ha assicurato che “effettua il controllo tramite le prefetture”. La prefettura di Catania però non ha mai risposto alla richiesta di accesso ai rapporti ispettivi da noi inoltrato per finalità di informazione, pertanto non possiamo sapere che cosa ne pensa del commercio abusivo tollerato dai gestori, dei servizi igienici previsti dal capitolato ed erogati solo in parte, dei gravissimi reati commessi all'interno del Cara o della scarsa vigilanza sulle attività dei migranti, monitorati solo tramite un badge elettronico.

Nonostante il rischio incendi, poi, manca un presidio dei vigili del fuoco: non è mai stato disposto dall’ex commissario per l’emergenza immigrati Giuseppe Castiglione, oggi sottosegretario all’Agricoltura e luogotenente in Sicilia di Ncd.

Come mostrato in un’inchiesta pubblicata la settimana scorsa su Reportime, sempre di Ncd è Anna Aloisi, sindaco del Comune di Mineo, dove la presenza del Centro di accoglienza ha prodotto ben 400 nuovi posti di lavoro. E forse non è dunque un caso che proprio il partito del Ministro Alfano, responsabile per competenza di tutti i centri per immigrati, qui a Mineo abbia sbaragliato qualsiasi record, raggiungendo nella città catanese il 40% dei voti, rispetto al 4% ottenuto su scala nazionale.

Claudia Andreozzi

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