La 27ora
25 08 2015
Le urla e la ragione poco si associano, ma anche le idee a priori con la realtà. La maldestra gestione delle immissioni in ruolo nella scuola da parte del governo ha visto tutto contrapposto: ragione e realtà, urla e idee a priori. Errori macroscopici e sottovalutazioni hanno portato, allo stato, ad un aumento delle supplenze, per quella che doveva essere la più grande stabilizzazione del secolo. Urla e idee a priori l’hanno fatta da padrone sui trasferimenti forzosi dal sud al nord di moltissimi docenti in virtù di un meccanismo messo a punto malissimo dal ministero dell’Istruzione. Si potevano attendere le disponibilità degli uffici territoriali per avere un ventaglio di cattedre più ampio, invece di far rientrare quelle cattedre di cui si avrà contezza nella seconda settimana di settembre per trasformarle in supplenze, raddoppiandone il numero: chi avrà avuto una cattedra, la manterrà in diritto, ma potrà optare per la supplenza se è più vicina a casa, almeno per un altro anno, creando, a sua volta una supplenza sulla sua cattedra.
Ciò di cui si è poco parlato nella contesa tra favorevoli e contrari è la reale posta in gioca, che non riguarda solo gli attori in causa. Usare la parola deportazione, come più d’uno ha fatto, è fuori luogo perché a ogni cosa va dato il proprio nome. I numeri ci dicono quale fenomeno si stia mettendo in moto, i cui effetti integrali sono stati solo posticipati di un anno.
Il 79% del corpo docente in Italia è formato da donne; il 100% nelle scuole dell’infanzia; il 95% nella primaria; l’85% nelle medie; il 59% nella secondaria di secondo grado, dove però le percentuali tornano a salire nei classici o nei licei pedagogici.
Accadrà, dunque, che saranno donne, madri ad andare con o senza figli da un capo all’altro dell’Italia, per lavorare. Ma questo non è un Paese per donne e non possiamo far finta che lo sia quando finiamo nella banalizzazione del, si va dove il lavoro c’è. Un professore guadagna in media mille e quattrocento euro al mese. La migrazione comporta l’affitto di una casa. Se con figli anche scuola e doposcuola. Se con figli piccoli nidi, perlopiù a pagamento. Questo non è un paese con un welfare alla francese, anche se i soloni nostrani dicono che ce n’è anche troppo. E siamo ai primi passi quanto a congedi parentali, oggetto residuale rispetto alla totalità di una vita familiare e culturalmente ancora malvissuto.
Chi fa le leggi e dovrebbe avere la situazione sotto controllo avrebbe dovuto almeno lavorare per la riduzione del danno, e invece non lo ha fatto. Ci sarà, dunque, un costo sociale ancora una volta gestito nel privato. Separazioni, tensioni, spaccature, ricostruzioni di ambiti familiari, che solo chi non li conosce può affrontarli con parole di superficialità. Senza ricchezza, ma solo con una chimerica speranza che forse un giorno andrà meglio.
Il Corriere Della Sera
24 08 2015
La fine dell’estate ha portato nuova volatilità sui mercati generata, sembra, da una parziale liberalizzazione del tasso di cambio in Cina, a sua volta indice di un rallentamento della crescita della sua economia. La domanda chiave di fine estate è se questa volatilità sia un fenomeno passeggero, legato in modo specifico alle vulnerabilità dei Paesi emergenti, o piuttosto riveli una incertezza piu radicata sulle prospettive dell’economia globale, Europa e Stati Uniti inclusi. La seconda ipotesi prende corpo da molte osservazioni.
La prima è che la ripresa Usa è meno solida di quanto non ci si aspettasse. Le previsioni di molti, incluse quelle di metà anno del congressional budget office , danno per il 2015 un tasso di crescita del Prodotto interno lordo del 2%, un punto in meno di quanto si ipotizzava a febbraio, e l’inflazione allo 0,2%, contro l’1,4% previsto sempre a febbraio. A questo si accompagna un prolungato rallentamento della produttività sia negli Stati Uniti che negli altri Paesi avanzati.
È difficile interpretare il significato di questi dati e anche la Federal Reserve sembra essere incerta nella lettura. Perché l’inflazione non riprende? Perché la produttività rallenta? È questo un fenomeno ciclico o indica invece un rallentamento di tendenza che si prolungherà nel futuro? Come si concilia questo rallentamento con la vivacità dell’innovazione tecnologica?
Dati deludenti, nonostante l’intervento massiccio delle Banche centrali, arrivano anche dal Giappone e dall’area dell’euro. L a Gran Bretagna va meglio ma anche qui, come negli Usa, una visione ottimista della ripresa è contraddetta dalla bassa produttività e da un’inflazione che continua ad essere vicina allo zero. Per questa ragione la Banca d’Inghilterra ha deciso che per ora non alzerà i tassi di interesse. Non è quindi da escludere che la volatilità di questi giorni indichi un’incertezza generale sull’economia globale che non è solo legata alla questione cinese.
Le previsioni dei mercati rivelano una grande diversità nelle opinioni dovuta, io penso, alla difficoltà di interpretare i dati e di capire l’entità del rischio che gli Stati Uniti entrino in una nuova recessione. L’economia Usa continua ad essere il motore dell’economia mondiale e fino a poco fa si pensava che la sua forza ci avrebbe difeso dai rischi provenienti dai Paesi emergenti. Ma se il gigante americano dovesse entrare in recessione quando gran parte del resto del mondo o è ancora debole, come nel caso dei Paesi avanzati, o è in deciso rallentamento, come in molti Paesi emergenti, ci si ritroverebbe ancora una volta, dopo il 2008, di fronte a una crisi globale. Questo avverrebbe inoltre in una situazione in cui i tassi di interesse in molti Paesi, inclusi area euro, Giappone, Stati Uniti, sono a zero o vicino allo zero. Il che costituisce un vincolo per la politica monetaria e costringerebbe le Banche centrali a estendere gli acquisti di titoli pubblici e privati o a introdurre tassi negativi, politiche i cui effetti sono molto incerti e che potrebbero comportare rischi per la stabilità finanziaria.
In una situazione di questo tipo dovrebbe essere prioritario affrontare i grandi temi della crescita, capire gli effetti dell’innovazione sulla distribuzione del reddito, pensare a politiche innovative, appropriate alle grandi trasformazioni dell’economia globale. È successo negli anni Trenta. Dopo la crisi del 2008, invece, l’iniziativa è stata lasciata quasi esclusivamente alle Banche centrali. La loro azione ha certamente evitato il peggio, ma ora non basta più. In assenza di politiche economiche di altro tipo non è difficile prevedere che i Paesi ricorreranno ad una guerra del cambio e a politiche protezionistiche. D’altro canto queste ultime sono sempre più presenti nei programmi elettorali di partiti politici di ogni colore e, per ragioni comprensibili, raccolgono crescenti consensi da parte dei cittadini sia in Europa che negli Usa.
Mai come oggi ci sarebbe bisogno di una rinascita politica e intellettuale che sappia affrontare i grandi temi, nazionali e globali, con una risposta adeguata, combattendo la frammentazione delle nostre società.
Il Corriere Della Sera
24 08 2015
Incostituzionale il bilancio del Piemonte, il fenomeno potrebbe allargarsi con un buco fino a 20 miliardi. Per i governatori è impossibile rispettare il pareggio di bilancio
Un buco che può arrivare a venti miliardi di euro. Il piano straordinario per il rimborso dei debiti arretrati della pubblica amministrazione si risolve in una catastrofe per i bilanci regionali, che mette a rischio anche i conti pubblici dello Stato. Quasi tutte le Regioni hanno infatti usato quei soldi, 26 miliardi prestati dallo Stato tra il 2013 e il 2014 e vincolati al ripiano dei debiti, anche per finanziare nuova spesa corrente, in barba alle regole contabili. La Consulta, attivata dalla Corte dei Conti, a fine luglio ha dichiarato incostituzionale il bilancio di assestamento 2013 del Piemonte, e dopo questa sentenza rischiano la bocciatura della Corte dei Conti i bilanci di quasi tutte le altre Regioni, Lombardia esclusa.
La questione è delicatissima, ed è gestita direttamente dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e dal Ragioniere Generale dello Stato, Daniele Franco. Si cerca una soluzione per limitare il più possibile i danni, ma è già chiaro che servirà una legge per sterilizzare almeno in parte l’impatto della sentenza. Non bastassero le altre enormi grane che stanno emergendo in quello che resta dell’Italia federalista. L’abolizione delle Province doveva portare forti risparmi già quest’anno, ma sempre secondo la Corte dei Conti alla fine sarà il governo a metterci soldi, e un paio di miliardi rischiano di non bastare. Tra i sindaci, poi, sta crescendo la protesta per l’annunciata soppressione delle tasse sulla prima casa, che finirà per erodere un altro pezzo della loro autonomia, mentre i governatori regionali non vogliono più sottostare al pareggio di bilancio impostogli già da quest’anno.
Tagli per 80 miliardi
Pessime avvisaglie alla vigilia della legge di Stabilità e della nuova manovra da 25 miliardi di euro. I Comuni e le Regioni hanno già detto a Renzi e Padoan che non accetteranno nuovi tagli. Le strette operate sul patto di Stabilità interno a partire dal 2008, nel 2015 pesano per 40 miliardi di euro sui conti degli enti territoriali. A questi bisogna aggiungere il taglio diretto dei trasferimenti, altri 22 miliardi, e la sforbiciata sulla sanità, per altri 17,5 miliardi. Un taglio di 80 miliardi rispetto a sette anni fa. Tanto forte che la Corte dei Conti ha messo sull’avviso il governo. Nell’ultimo rapporto sulla finanza locale esprime «interrogativi in ordine all’effettiva rispondenza tra gli oneri derivanti dalle funzioni attribuite agli enti e le risorse rese loro disponibili nel contesto del pareggio di bilancio», sottolinea «l’assenza di adeguati meccanismi distributivi e perequativi» e dubita della possibilità di fare altri risparmi nel settore.
La bocciatura
Il primo problema da risolvere, però, è quello del buco nei bilanci delle Regioni, clamoroso. «Una legge dello Stato nata per porre rimedio agli intollerabili ritardi nei pagamenti - scrive la Consulta nella sentenza sul bilancio del Piemonte - ha subito una singolare eterogenesi dei fini, i cui più sorprendenti esiti sono costituiti dalla mancata spendita delle anticipazioni di cassa, dall’allargamento oltre i limiti di legge della spesa di competenza, dall’alterazione del risultato di amministrazione, dalla mancata copertura del deficit». Un vero e proprio disastro. In molti casi le Regioni non solo hanno distratto i fondi vincolati ai rimborsi, ma li hanno usati anche per gonfiare la capacità di spesa, facendoli figurare come fossero mutui. E ora rischiano di trovarsi una voragine nei bilanci che va da un minimo di 9 a un massimo di oltre 20 miliardi di euro. Che lo coprano le Regioni con le tasse o tagli di spesa (impossibile senza una norma che permetta loro di spalmare il debito in più anni), oppure lo Stato con maggiori trasferimenti, il discorso non cambia: il buco dovrà essere chiuso, e a pagare saranno i cittadini.
Addio federalismo
Mentre incombe il pareggio di bilancio, lo Stato dei rapporti tra il centro e gli enti territoriali sembra giunto al punto più basso. Il federalismo, poi, è ormai soltanto un’idea sbiadita sullo sfondo. «C’è un ripensamento che non trova ancora una sua ben precisa connotazione» scrive la Corte dei Conti denunciando «il rischio non solo di nuovi squilibri economici, ma anche di un’endemica conflittualità tra i livelli territoriali di governo». Secondo Luca Antonini, presidente della Commissione per l’attuazione del federalismo fiscale, di cui viene considerato il padre, quel disegno è già morto.
«Invece di coordinarla, lo Stato sta massacrando la finanza locale. È in atto - accusa - la destituzione della democrazia locale, con una deresponsabilizzazione dello Stato che non aggredisce la spesa centrale e scarica i tagli su Regioni e Comuni. Questo è lo smantellamento dello stato sociale, perché i tagli si fanno sulla sanità, l’assistenza, gli asili nido. E sugli investimenti, che tutti sollecitano per stimolare la crescita. Così - prosegue Antonini - gli enti locali sono costretti ad alzare le tasse, anche per garantire un gettito allo Stato, che si mangia ad esempio una buona parte dell’Imu, e nello stesso tempo a ridurre la spesa. E tutto questo senza che i cittadini abbiano la possibilità di capire di chi siano le vere responsabilità delle tasse più alte e dei servizi ridotti».
La 27 Ora
07 08 2015
Ottenere otto volte più attenzione firmandosi con un nome maschile che con un nome femminile: è quanto è accaduto alla aspirante scrittrice Catherine Nichols che ha denunciato il fatto con un articolo uscito su Jezebel e ripreso dall’inglese Guardian.
Dopo aver inviato a 50 agenti letterari il manoscritto del suo romanzo senza ottenere che due risposte, Catherine ha aperto una mail con un nome maschile — «diciamo che era George Leyer», ha spiegato — e con il falso indirizzo di posta ha inviato sei lettere, con un brano d’assaggio del romanzo, ad altrettanti agenti. Ebbene, «George» ha ricevuto a stretto giro di posta ben cinque risposte, più di quante ne avesse ottenute Catherine nei tentativi dei giorni precedenti. Non solo: tre agenti hanno richiesto a «George» il manoscritto, e tutti si sono spesi in giudizi come «intelligente», «eccitante» e così via — niente che Catherine avesse mai ottenuto.
Nei giorni successivi, su 50 invii, George ha avuto 17 risposte. Il caso ha suscitato ondate di commenti sui social, ma la questione della discriminazione delle donne è annosa, tanto da aver spinto la scrittrice Kamila Shamsie a chiedere in modo provocatorio agli editori di pubblicare solo donne per un anno, nel 2018.
Ida Bozzi
Corriere della Sera
06 08 2015
Dopo il successo dell’esperimento di Staggia Senese e i progetti in dirittura d’arrivo di Schio e Padova non nascerà alla parrocchia di San Zeno Naviglio la prima scuola anti-gender di Brescia. Maestra unica, massimo dieci alunni per classe e preghiere obbligatorie prima di ogni lezione. L’educazione parentale impartita per almeno otto anni, permessa dagli articoli 33 e 34 della Costituzione sul modello americano, di fatto sostituisce e sfida le scuole elementari pubbliche e paritarie. È il sogno di un manipolo di genitori ultra-cattolici che si oppongono a un sistema educativo secondo loro «spinto dalle lobby gay alla parificazione biologica tra uomo e donna». Il progetto pilota è partito lo scorso anno a Staggia Senese, frazione di Poggibonsi nota ai più per una rocca deliziosamente conservata: i genitori si sono riuniti sotto la sigla di «Alleanza Parentale» definendosi l’ultimo baluardo di un’educazione improntata sui sani valori della tradizione. Poi, i genitori ultra cattolici hanno avviato il progetto a Schio, Vicenza, e Padova.
Più cattolici delle scuole cattoliche: la sfida è lanciata
Le scuole anti-gender spuntano come funghi: a Monza e Bari si cercano parrocchie, a Bergamo il progetto ha fatto flop e pure a Brescia, terra di numerosi convegni sul tema nonchè di veglie delle Sentinelle in Piedi, Alleanza Parentale vuole fare sul serio. Alcuni genitori bresciani spaventati dalla «deriva gender dell’educazione» avevano trovato casa negli spazi della parrocchia di don Guido Zuppelli e del curato don Andrea Geovita: annunci a chiare lettere e via alle iscrizioni. Retta consigliata di 150 euro mensili a bambino, il secondo paga la metà, il terzo va a scuola gratis. Mancava solo l’autorizzazione della curia, poi, nei giorni scorsi è saltato tutto e gli ultra-cattolici sono di nuovo in cerca di uno spazio per educare secondo i «sani principi» i propri figli.
Ufficialmente don Andrea e don Guido avevano dato il loro assenso pur non sposando né attaccando la scelta, ma la mancanza di iscritti entro una data stabilita ha spinto la parrocchia a bloccare la scuola elementare che sarebbe dovuta sorgere a San Zeno. In realtà il tema è delicatissimo: sotto la mannaia dei laici ultra-conservatori finiscono infatti sia la scuole pubbliche, «alla deriva», che quelle paritarie anche se cattoliche. «Prendono finanziamenti pubblici e sono vincolate, il gender sta passando a livello sociale ed entrerà presto nelle loro aule», ha spiegato Alexander Romelli, responsabile della sezione bergamasca che ha provato, invano per mancanza di iscritti, a creare cinque classi elementari sulle colline di Adrara san Martino. È l’unico a parlare con i giornalisti.
Il decalogo anti-gender: «Attenzione alle attività extra-curricolari»
Secondo Alleanza Parentale, che nelle proprie file vede gli stessi partecipanti delle veglie delle Sentinelle in Piedi e dei manifestanti del comitato Difendiamo i Nostri Figli, l’attuale sistema scolastico è un pericolo per i propri bimbi e il nuovo ddl Buona Scuola non farà che peggiorare le cose. Massimo Gandolfini, presidente del comitato e neurochirurgo della Poliambulanza di Brescia, inviso al mondo Lgbt per aver definito l’omosessualità una malattia, ha steso a tal proposito un vademecum che invita i genitori a prestare grande attenzione alle attività extra-curricolari come l’educazione affettiva e il contrasto al bullismo dove si possono insinuare le teorie gender. Nelle scuole di Alleanza Parentale il programma è ministeriale ma le attività a rischio vengono ripensate in chiave light «per garantire la massima dignità a ogni alunno», continua Romelli prima di attaccare il ddl Cirinnà sulle unioni civili, slittato a settembre: «mina il futuro dei nostri figli, ci sentiamo l’ultimo baluardo dei valori», confida. A San Zeno, Alleanza Parentale si chiude nel silenzio.
Vittorio Cerdelli
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Il Corriere Della Sera
05 08 2015
Invece del tradizionale banchetto una coppia di Kilis ha voluto condividere la propria felicità con i meno fortunati, in fuga dall’Isis
Una festa di nozze con 4.000 ospiti: quasi tutti profughi siriani. È stata la scelta di una coppia turca per condividere un po’ della propria felicità con i meno fortunati. E le foto dell’album di matrimonio sono diventate virali sui social media.
Fuga dall’isis
Ali Uzumcuoglu e la moglie (che non viene nominata negli articoli apparsi sui giornali turchi) si sono sposati la scorsa settimana nella provincia di Kilis, al confine con la Siria. Nella zona vivono migliaia di profughi siriani e proprio a Kilis è in costruzione un nuovo campo per 55mila persone, per accomodare l’ultimo arrivo massiccio di gente in fuga dall’Isis dalla provincia confinante di Azaz.
I matrimoni turchi durano tradizionalmente dal martedì al giovedì, con un banchetto finale l’ultima notte. Ma la coppia ha deciso di cambiare la tradizione.
Velo bianco e hijab
Mentre la Turchia bombarda sia l’Isis che i curdi e dopo oltre quattro anni di conflitto in Siria una soluzione non sembra vicina, il padre dello sposo ha voluto lanciare un messaggio di fratellanza alla gente comune. «Noi speriamo che questa sia la prima di altre cene con i nostri fratelli siriani». Anche gli invitati al matrimonio hanno partecipato, guidando i furgoni fino al campo profughi, e la sposa con velo bianco e hijab ha distribuito il cibo alle famiglie siriane. In Turchia il totale dei profughi dovrebbe arrivare a due milioni quest’anno: circa 280mila vivono in 25 campi al confine.
di Viviana Mazza
Le persone e la dignità
04 08 2015
312 milioni di euro. Sono chiamati “aiuti allo sviluppo” ma è una definizione ingannevole.
Quel denaro che la Commissione europea intende dare al governo eritreo fino al 2020 rischia di dare ulteriore sostegno economico a un regime che, secondo le Nazioni Unite, si è macchiato di crimini contro l’umanità.
Del sistema istituzionalizzato di violazione dei diritti umani in Eritrea avevamo parlato in questo blog alcune settimane fa, quando centinaia di rifugiati provenienti dal paese africano erano ammassati nelle stazioni ferroviarie e sulle scogliere liguri.
Avevamo ricordato le numerose ragioni per cui 5000 eritrei fuggono ogni mese dalla tortura (nella foto, la riproduzione di una delle tecniche più feroci), dalla repressione di ogni forma di dissenso, dal servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato. Non c’è persona che arrivi in Italia che non porti una nuova, drammatica testimonianza.
Perché l’Unione europea vuole dare all’Eritrea 312 milioni di euro, senza chiedere neanche garanzie per il rispetto dei diritti umani? L’obiettivo di quei soldi è fermare le partenze? Sono queste le forme di cooperazione coi paesi di origine di cui si tanto si parla nelle cancellerie europee, compreso Palazzo Chigi?
Una petizione è stata promossa attraverso il sito change.org per chiedere all’Unione europea di non dare finanziamenti al governo eritreo senza precise garanzie sul rispetto dei diritti umani.312 milioni di euro. Sono chiamati “aiuti allo sviluppo” ma è una definizione ingannevole.
Quel denaro che la Commissione europea intende dare al governo eritreo fino al 2020 rischia di dare ulteriore sostegno economico a un regime che, secondo le Nazioni Unite, si è macchiato di crimini contro l’umanità.
Del sistema istituzionalizzato di violazione dei diritti umani in Eritrea avevamo parlato in questo blog alcune settimane fa, quando centinaia di rifugiati provenienti dal paese africano erano ammassati nelle stazioni ferroviarie e sulle scogliere liguri.
Avevamo ricordato le numerose ragioni per cui 5000 eritrei fuggono ogni mese dalla tortura (nella foto, la riproduzione di una delle tecniche più feroci), dalla repressione di ogni forma di dissenso, dal servizio militare obbligatorio a tempo indeterminato. Non c’è persona che arrivi in Italia che non porti una nuova, drammatica testimonianza.
Perché l’Unione europea vuole dare all’Eritrea 312 milioni di euro, senza chiedere neanche garanzie per il rispetto dei diritti umani? L’obiettivo di quei soldi è fermare le partenze? Sono queste le forme di cooperazione coi paesi di origine di cui si tanto si parla nelle cancellerie europee, compreso Palazzo Chigi?
Una petizione è stata promossa attraverso il sito change.org per chiedere all’Unione europea di non dare finanziamenti al governo eritreo senza precise garanzie sul rispetto dei diritti umani.
Corriere della Sera
31 07 2015
Dopo il calo nel mese di aprile (-0,2 punti percentuali) e la stazionarietà di maggio, a giugno il tasso di disoccupazione torna a crescere di 0,2 punti percentuali rispetto al mese precedente, arrivando al 12,7%. Su base annua - fa sapere l’Istat - il tasso mostra un incremento di 0,3 punti percentuali. Il numero di disoccupati in Italia aumenta dunque dell’1,7% (+55mila) su base mensile. Mentre, sempre a giugno, gli inattivi sono 131 mila in meno rispetto allo stesso mese del 2014 (-0,9%) e c’è un leggero calo anche rispetto a maggio (-0,1%). L’Istat osserva che l’aumento dei disoccupati negli ultimi 12 mesi (+85mila) è «associato ad una crescita della partecipazione al mercato del lavoro, testimoniata dalla riduzione del numero di inattivi».
Disoccupazione giovanile al 44,2%, top dal ‘77
Il tasso di disoccupazione giovanile sale al 44,2% a giugno e tocca il livello più alto dall’inizio delle serie storiche mensile e trimestrali, nel primo trimestre 1977. La disoccupazione aumenta di 1,9 punti dal mese precedente, ma al tempo stesso si riduce il tasso di inattività di 0,2 punti fino al 74%. Dal calcolo del tasso di disoccupazione, sottolinea infatti l’Istituto di statistica, sono esclusi i giovani inattivi, cioè coloro che non sono occupati e non cercano lavoro, nella maggior parte dei casi perché impegnati negli studi. Secondo l’Istat, il calo dell’occupazione registrato a giugno riguarda i più giovani. Gli occupati 15-24enni diminuiscono del 2,5% rispetto a maggio (-22 mila). Il tasso di occupazione giovanile, pari al 14,5%, diminuisce di 0,3 punti percentuali rispetto al mese precedente. Il numero di giovani disoccupati aumenta su base mensile (+5,2%, pari a +34 mila). L’incidenza dei giovani disoccupati tra 15 e 24 anni sul totale dei giovani della stessa classe di età è pari all’11,5% (cioè poco più di un giovane su 10 è disoccupato). Tale incidenza aumenta nell’ultimo mese di 0,6 punti percentuali.
Le persone e la dignità
30 07 2015
Il 13 luglio l’ultimo uomo in attesa di esecuzione in Belize, Glenford Baptist ha ottenuto la commutazione della condanna a morte da parte della Corte suprema.
Così, a 30 anni dall’ultima esecuzione nell’ex colonia britannica situata in America centrale – quella di Kent Bowers, impiccato per omicidio il 19 giugno 1985 – il braccio della morte è ora vuoto.
Belize continua a resistere alle richieste delle Nazioni Unite e delle organizzazioni per i diritti umani di abolire la pena di morte. Ma lo svuotamento del braccio della morte e l’improbabilità che, a distanza di tre decenni, il boia torni in azione, fanno sperare che una legge abolizionista venga approvata presto.
Nel 2015 il numero dei paesi che hanno abolito la pena di morte per tutti i reati ha superato il numero di 100. Con l’abolizione nelle isole Figi, Madagascar e Suriname, siamo arrivati a 101.
Riccardo Noury
Le persone e la dignità
29 07 2015
Da alcune settimane è on line “Piattaforma Gaza”, uno strumento d’indagine elaborato da Amnesty International e Architettura legale per evidenziare le caratteristiche comuni degli attacchi condotti da Israele nel luglio e nell’agosto 2014 durante il conflitto di Gaza.
“Piattaforma Gaza” consente all’utente di esplorare e analizzare i dati relativi a oltre 2500 attacchi compiuti dall’esercito israeliano nel corso dei 50 giorni dell’operazione “Margine di protezione”.
L’iniziativa fa parte delle ricerche condotte da Amnesty International sul conflitto dello scorso anno. Nell’ambito di tali ricerche, è stato pubblicato anche un rapporto sugli attacchi compiuti da Hamas e altri gruppi armati palestinesi contro il sud d’Israele.
Attraverso la sua mappa interattiva, la “Piattaforma Gaza” segnala tempo e luogo di ogni singolo attacco e lo classifica in base a una serie di criteri, tra cui il tipo di attacco, il sito colpito e il numero delle vittime, in modo da individuarne le caratteristiche comuni. Ove disponibili, sono pubblicate immagini fotografiche e satellitari, video e testimonianze oculari.
“Piattaforma Gaza” mostra che durante il conflitto del 2014 Israele ha condotto oltre 270 attacchi con colpi di artiglieria, in cui sono rimasti uccisi oltre 320 civili. Il ripetuto uso dell’artiglieria, un’arma esplosiva imprecisa, contro aree densamente abitate, costituisce un attacco indiscriminato che dovrebbe essere indagato come crimine di guerra.
Inoltre, la “Piattaforma Gaza” illustra chiaramente una predominante costante di attacchi contro abitazioni private, oltre 1200, che hanno causato più di 1100 morti tra la popolazione civile.
Gli utenti possono poi notare ulteriori preoccupanti caratteristiche comuni, come gli attacchi contro i primi soccorritori, gli operatori sanitari e le strutture mediche, così come l’uso massiccio degli attacchi di avvertimento chiamati “bussare sul tetto”, in cui un missile lanciato da un drone è seguito poco dopo da un più ampio bombardamento. Amnesty International ritiene che questa tattica non costituisca un preavviso efficace e non assolva Israele dal chiaro obbligo di non lanciare attacchi contro i civili o le proprietà civili.
Oggi, “Piattaforma Gaza” ricostruisce gli attacchi portati dall’esercito israeliano contro la città di Rafah dal 1° agosto in applicazione del protocollo “Hannibal”, seguita alla cattura del luogotenente Hadar Goldin da parte di un gruppo armato di Gaza.
Il protocollo “Hannibal” autorizza le forze israeliane a reagire alla cattura di un soldato con un ampio volume di fuoco nonostante i rischi per la vita dello stesso soldato e dei civili che si trovino in prossimità del luogo in cui si ritiene sia tenuto prigioniero.
Quel 1° agosto, proprio mentre molta gente faceva rientro a casa, ritenendosi al sicuro dopo la proclamazione di un cessate-il-fuoco, Israele diede vita a massicci e prolungati bombardamenti, colpendo strade affollate, automobili ed edifici civili. Un edificio a un piano nel quartiere di al-Tannur venne centrato da due bombe da una tonnellata.
Quel giorno viene da allora chiamato il “venerdì nero” di Rafah.
Gli attacchi proseguirono fino al 4 agosto, nonostante il luogotenente Goldin fosse stato dichiarato morto due giorni prima. In totale, furono uccisi 135 civili palestinesi, tra cui 75 bambini.