INGENERE

Donne migranti, voci dal Cie

  • Dic 13, 2016
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Ragazze Nigeria Ponte GaleriaFrancesca Esposito, Ingenere
12 dicembre 2016

Sono passati tre anni e due mesi dal tragico naufragio a poche miglia dall'isola di Lampedusa nel quale circa 400 persone hanno perso la vita mentre tentavano di raggiungere la "fortezza Europa". Una "fortezza" che, attraverso politiche di controllo della mobilità e moltiplicazione delle frontiere, continua incessantemente a mietere vittime.

Perché abbiamo bisogno dei centri antiviolenza

  • Nov 18, 2016
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Centri antiviolenzaElisa Ercoli, Ingenere
17 novembre 2016

Con l'approvazione della legge 119 del 2013, della convenzione di Istanbul e del piano nazionale antiviolenza le istituzioni in Italia hanno preso parola sulla violenza maschile e sul suo contrasto.

Migranti. Se i dati smentiscono gli stereotipi

  • Ott 28, 2016
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Migranti inclusione genereGinevra Demaio, Ingenere
28 ottobre 2016

Se la voce corrente racconta di una "invasione" quotidiana di richiedenti asilo e poveri di cui l'Italia e l'Europa sono costrette a farsi carico, i dati mostrano una realtà differente, in cui restano molto sostenuti i flussi di persone che arrivano in Italia in fuga da situazioni di crisi e pericolo

Se a chiedere asilo sono le donne

  • Lug 12, 2016
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Donne Migranti AsiloBarbara Pinelli, InGenere
5 luglio 2016

È dato reale che il numero di donne e uomini in arrivo verso l'Europa, prevalentemente via mare sulle coste italiane e greche, segni un tempo storico inedito e rilevante. Tuttavia, esso ci informa su gravità e violenze dello scenario geopolitico che circonda lo spazio europeo, e sulla mobilità forzata che costringe le persone a cercar terra di protezione e sicurezza.

Sugli spettri di Colonia

  • Feb 07, 2016
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Violenza sulle donne ColoniaIngenere.it
5 febbraio 2016

Ci volevano i fatti di Colonia per realizzare che una politica dell’accoglienza che non tenga conto della differenza sessuale è una cattiva politica? Dalle pagine di Internazionale  Alessandra Bocchetti, Ida Dominijanni, Bianca Pomeranzi e Bia Sarasini, lo mettono bene in chiaro: no, non ce n'era bisogno.

Che fine fanno i fondi per i centri antiviolenza?

  • Nov 21, 2015
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Man Ray SpecchioRossana Scaricabarozzi, InGenere
20 novembre 2015

A un anno dal lancio dell’iniziativa di #donnechecontano, ActionAid ha voluto cercare e analizzare informazioni sui fondi della L. 119/2013 per il biennio 2013-2014 che le regioni hanno erogato a favore di centri antiviolenza e case rifugio (mappa).
InGenere
17 11 2015

In Italia non viene ancora riconosciuto il legame affettivo tra persone dello stesso sesso. Una discriminazione che riguarda anche i diritti dei figli delle coppie omogenitoriali. E dall'associazione Famiglie Arcobaleno parte la campagna

Tra le sei Nazioni fondatrici dell’Unione Europea, l’Italia è l’unica a non riconoscere né le unioni civili, né il matrimonio per coppie omosessuali. Ad oggi non è previsto alcun tipo di tutela in soli nove paesi europei: Italia, Grecia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania.

Il mancato riconoscimento del legame affettivo tra due persone omosessuali porta a molteplici gradi di discriminazione che coinvolgono l’aspetto patrimoniale e sociale e che si estendono al diritto dell’infante.

Secondo la ricerca Modi-di condotta nel 2005 in Italia da Arcigay con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità, il 17,7% dei gay e il 20,5% delle lesbiche con più di 40 anni ha prole e il 49% delle coppie omosessuali vorrebbe dei figli. La stima è di circa 100.000 figli  con almeno un genitore gay o lesbica. In dieci anni, si ritiene che questo dato sia, con grande probabilità, cresciuto grazie a una sempre maggiore consapevolezza della possibilità, da parte degli omosessuali, di poter diventare genitori e grazie anche a una maggiore facilità di accesso, in paesi stranieri, a pratiche di fecondazione assistita e gestazione per altri (GPA).

A tutela delle famiglie omogenitoriali italiane, viene fondata, sempre nel 2005, Famiglie Arcobaleno, l’associazione di genitori e aspiranti genitori omosessuali.

L'associazione conta ad oggi circa 800 iscritti (dato raddoppiato dal gennaio 2013 all’ottobre 2015) e 470 bambini e si pone come scopo la lotta contro tutte le discriminazioni, affinché la genitorialità omosessuale sia riconosciuta nell'ordinamento giuridico e nella società italiana e i figli siano tutelati nei loro affetti e nei loro beni.  

Nelle famiglie italiane omogenitoriali, con figlie e figli concepiti, cresciuti ed accuditi da entrambi i genitori, solamente il genitore con legame biologico risulta genitore legale: per lo Stato Italiano, l’altro non ha alcun ruolo, diritto o dovere.

Le conseguenze pratiche della mancanza di riconoscimento del ruolo genitoriale al genitore cosiddetto “sociale”, accompagnano l’esistenza del bambino, dal concepimento in avanti.

Il genitore sociale non può decidere riguardo alla salute del figlio; non può prenderlo all’uscita dell’asilo o della scuola, così come non può viaggiare con lui senza una delega del genitore legale.

In caso di separazione non ha alcun dovere di mantenimento economico nei confronti della famiglia, né alcun diritto rispetto ad una continuità affettiva con il figlio. In assenza di specifico testamento, se venisse a mancare, l’eredità andrebbe totalmente ai parenti del defunto: nulla al compagno, tantomeno al figlio.

Il caso più grave si potrebbe verificare con la morte del genitore biologico poiché il bambino verrebbe affidato ai parenti più prossimi: nonni, zii, cugini e così via. Un giudice potrebbe decidere di affidarlo al genitore sociale ma, vista la mancanza di leggi a tutela del minore, la decisione risulterebbe totalmente arbitraria e soggettiva.

Questa, a grandi linee, la condizione in cui vivono le famiglie omogenitoriali italiane, in attesa del matrimonio egualitario o, per il momento, dell’approvazione del disegno di legge Cirinnà-bis che disciplina le unioni civili per le coppie omosessuali, con l’estensione della cosiddetta stepchild adoption. Qualora il ddl Cirinnà-bis divenisse legge, le coppie omosessuali avrebbero, nella sostanza, gli stessi diritti applicati alle coppie eterosessuali sposate ad esclusione dell’accesso alle adozioni. Attraverso la stepchild adoption invece, il genitore non biologico potrebbe adottare il figlio biologico del compagno o della compagna. Tra i tanti limiti di questa parziale ed ancora ipotetica estensione di diritti, c’è il mancato riconoscimento di un progetto genitoriale comune e condiviso nella coppia omosessuale e, fatto ancor più discriminante, l’esclusione dal legame parentale con la famiglia del genitore sociale. Ciò comporterebbe una parentela legale con i soli ascendenti e discendenti del genitore biologico.

Appare evidente la necessità di una lotta costante e tenace da parte delle "famiglie arcobaleno", impegnate a trovare alleati e sostenitori nella società civile anche grazie ad azioni politiche e mediatiche volte ad una maggiore visibilità e conoscenza. La più recente è la campagna #FigliSenzaDiritti: ogni tre giorni dalle pagine ufficiali Facebook e Twitter dell'associazione, vengono pubblicate fotografie delle famiglie arcobaleno, associate a una frase che sintetizza un diritto a loro negato.

L’insieme di questi diritti negati è la negazione stessa della presenza di intere famiglie che vivono, crescono, studiano e lavorano nel proprio paese.

Samuele Cafasso
Claudio Capocchi
Cristina Giammoro

Ragazze nigeriane Ponte GaleriaClaudia Bruno, Ingenere
13 ottobre 2015

Delle 66 ragazze nigeriane sbarcate quest'estate sulle coste siciliane e successivamente condotte come "clandestine" nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria,

Il gender gap dei posti di comando

  • Set 29, 2015
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Ingenere
29 09 2015

Le donne? Sono brillanti negli studi e produttive sul mercato, ma ancora non ricoprono la stessa quantità di posti di potere occupati dai colleghi uomini. A confermare l'esistenza di questo tetto di cristallo stavolta è un rapporto diffuso dal Center for american progress e intitolato proprio The women leadership's gap.

L'analisi, firmata dalla giornalista Judith Warner, esperta in questioni di genere, si riferisce al territorio degli Stati Uniti. Qui, spiega Warner, le donne costituiscono la maggior parte della popolazione: il 50,8 per cento. Sono le donne che sono iscritte a quasi il 60 per cento dei corsi di laurea e di master, che si aggiudicano il 47 per cento delle lauree in legge, il 48 per cento di quelle in medicina, e oltre il 38 per cento dei master in business e management. Sono sempre queste a rappresentare il 47 per cento della forza lavoro statunitense e il 49 di quella nel settore dell'istruzione universitaria e a ricoprire più della metà dei posti di lavoro di livello professionale. Eppure, quando si tratta di occupare posizioni di potere e posti di comando gli uomini hanno ancora la meglio. Per fare un esempio, nel mondo accademico le donne sono solo il 30 per cento dei professori ordinari e il 26 per cento dei presidenti di college. Le stime sono decisamente più scoraggianti se si considerano le afroamericane.

Mentre alla fine del ventesimo secolo si è assistito a consistenti miglioramenti nell'avanzamento di carriera delle donne, negli ultimi anni la situazione si è stabilizzata, spiega il rapporto. Inoltre, l'immagine della donna sullo schermo è ancora creata, nella stragrande maggioranza, da uomini, perché le donne in posizione di registe, sceneggiatrici, editrici, direttrici e produttrici di film e fiction televisivi sono solo il 17 per cento, e le ideatrici dei programmi televisivi sono solo il 27 per cento.

Anche in politica, dopo i successi degli anni '80 e '90 si è assistito a uno stallo di donne elette al Congresso e in alcuni casi a una regressione del numero di donne elette nelle legislature statali. Se si considerano i vari settori nella loro varietà, si può dire che la posizione dirigenziale delle donne rimane bloccata tra un 10 e un 20 per cento. Inoltre, il loro potere di rappresentanza in politica e nei media è fermo a un 18 per cento. A questi ritmi, azzarda il rapporto, la stima è che bisognerà aspettare il 2085 per avere il raggiungimento della parità nei ruoli chiave di leadership tra uomini e donne negli Stati Uniti.

Due parole sulle dimissioni in bianco: mai più

  • Set 28, 2015
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Ingenere.it
28 09 2015

Il decreto legislativo così detto delle “Semplificazioni”, che rende operativa una parte del Jobs Act, contiene una norma chiara ed efficace contro le dimissioni in bianco. Finalmente, dopo 8 anni, viene ripristinato un principio di civiltà e viene eliminato un ricatto che pende sulla testa delle persone durante tutta la vita lavorativa. Capita spesso infatti che, insieme al contratto di assunzione, proprio nel momento di maggior fragilità, venga fatta firmare una lettera di dimissioni in bianco, in bianco perché senza data, come condizione per l’assunzione; che spesso viene perfino spacciata per una consueta procedura amministrativa.

Quella lettera verrà compilata con la data dall’impresa, successivamente, quando quella persona, quasi sempre una giovane donna (ma non solo), non è più desiderabile per l’azienda, magari perché incinta, perché ha deciso di sposarsi, o a causa di una lunga malattia o in virtù di opinioni non gradite.

Che questo succeda è testimoniato da dati raccolti, tutti per difetto da Istat e uffici sindacali, e nell’esperienza di tanti e ha ispirato film recenti (Calopresti, Cortellesi). Ma fino ad oggi, nonostante iniziative legislative e movimenti di opinione, non esisteva una procedura efficace.

Da oggi nessuno potrà più compiere questo abuso: le dimissioni volontarie dovranno essere dichiarate compilando un modulo con numerazione progressiva e scadenza (reperibile sul sito del Ministero del Lavoro o presso le direzioni territoriali del lavoro), che quindi non potrà essere retrodatato e fatto firmare al momento dell’assunzione.

La battaglia contro le dimissioni in bianco parte da lontano: nel 2007 l'allora governo Prodi approva la norma (L.188/2007) contenuta oggi nel decreto attuativo del Jobs Act, che però ha vita breve. Nel giugno del 2008 il ministro del lavoro Sacconi, come primo atto del governo Berlusconi appena eletto, la cancella. Durante il governo Monti la ministra Fornero - dopo mesi di iniziativa politica di donne diverse dentro e fuori il Parlamento (Comitato per la 188) - introduce un’apposita disciplina per eliminare la pratica delle dimissioni in bianco.

Inefficace, però, perché ex post e non preventiva come quella approvata: la procedura, peraltro molto complicata, prevedeva infatti un controllo a posteriori della veridicità della volontà delle dimissioni con tutte le complicazioni ovvie insite nell’accertamento a posteriori della volontà estorta, e solo nel caso di denuncia, apertura di vertenza o di maternità. La nuova norma prevede l’utilizzo di un modulo, con codice alfanumerico e numerazione progressiva, con l’obiettivo di prevenire l’abuso in modo semplice e privo di costi. Ed è una tutela a vantaggio dei lavoratori e delle lavoratrici, ma anche delle aziende oneste e corrette che soffrono la concorrenza sleale di chi non rispetta le regole.

Qualcuno nella foga polemica contro il Jobs Act ne ha sminuito il senso: si è detto che nel nuovo contesto normativo, cioè con l’utilizzo del contratto a tutele crescenti che non prevede il reintegro nei casi di licenziamenti economici senza giusta causa, la nuova norma contro le dimissioni in bianco non serve a nulla. In realtà, l’abuso delle dimissioni in bianco è praticato, quasi totalmente, in imprese sotto i 15 dipendenti dove non si è mai applicato l’articolo 18.

La legge contro le dimissioni in bianco si colloca lungo una strada, forse imperfetta ma chiara nella sua direzione: un'assunzione di responsabilità verso un paese per donne e uomini, in cui la maternità sia libera scelta. Una strada in cui si inseriscono: la legge elettorale con doppia preferenza e norma antidiscriminatoria nella definizione dei 100 capilista, la riforma costituzionale che prevede l'applicazione dell'articolo 51 della Costituzione nelle leggi elettorali e regionali, la "buona scuola” che contiene norme per educare al rispetto delle differenze e contro le discriminazioni, il Jobs Act con il decreto attuativo sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, l'estensione della indennità di maternità e la sua erogazione anche in assenza del versamento dei contributi da parte dei datori di lavoro, l'uso del part time in alternativa ai congedi parentali, la destinazione del 10 per cento del Fondo di sostegno alla contrattazione aziendale per misure di conciliazione, i 100 milioni per gli asili nido.

Molto c’è ancora da fare ma la strada è quella giusta

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