Corriere della Sera
24 07 2015
L’esplosione nella ditta di fuochi pirotecnici Bruscella a Modugno, in provincia di Bari, ha provocato quattro morti e almeno sei feriti, alcuni dei quali gravi. Dopo la prima più violenta esplosione, a quanto sembra un furgone è saltato in aria per primo, ne sono seguite altre, avvertite anche a diversi chilometri di distanza. Mentre una colonna di fumo si è alzata in cielo. Sul posto stanno intervenendo carabinieri, vigili del fuoco e personale del 118 con ambulanze. Le fiamme, peraltro, sono divampate anche oltre l’area dello stabilimento e hanno raggiunto una vicina pineta.
Sul posto sono intervenuti uomini dei vigili del fuoco, dei carabinieri e personale del servizio di emergenza 118. I soccorsi sono ancora in corso e sono molto difficoltosi. Il titolare della ditta è tra i feriti ed è stato trasportato all’ospedale San Paolo di Bari. Dei sei feriti, uno è in gravi condizioni. L’area della fabbrica è ancora interessata da piccoli focolai. Abitualmente in fabbrica lavora una decina di persone. La fabbrica si trova poco fuori dell’abitato di Modugno, in direzione di Bitritto, ed è in una zona di campagna circondata da un boschetto che ha preso fuoco in seguito all’esplosione. Sul posto, oltre alle squadre dei vigili del fuoco al lavoro da terra, sono arrivati anche due Canadair. Secondo una prima ricostruzione, ad esplodere per primo sarebbe stato un furgone e successivamente la deflagrazione si sarebbe estesa a tutta la fabbrica.
Carmen Carbonara
Il Fatto Quotidiano
12 03 2015
Ha il tono asciutto e deciso il ragazzo che, invitato a salire sul palco, prende la parola senza un filo d’emozione. Siamo nella Piazza principale di Bari. Domenica mattina. Con Radio Deejay abbiamo organizzato una corsa non competitiva per le vie della città pugliese.
Una festa, più che una competizione. Tra i corridori si è distinto un gruppo di ragazzi che spingeva un amico in carrozzina – vestito da fantino, con tanto di frustino – e trainato da un altro volenteroso. Loro hanno deciso di provare a cambiare le cose.
E, di solito, quando uno ci prova, in qualche modo ci riesce.
Non hanno nessuna affiliazione partitica e politica (“Nessuna! Assolutissimamente!”).
Hanno invece una pagina Facebook, in cui è pubblicato il loro manifesto.
Si fanno chiamare “Le Zzanzare“. Perché la coscienza civica e civile sembra una cosa fastidiosa. “Chi siamo?”, dice alla piazza strapiena uno del gruppo. “Siamo dei cittadini stanchi. Stanchi di sentire i soliti discorsi. Di vedere la gente fare la faccia contrita quando incontra un disabile e poi parcheggiare davanti a una rampa… Facciamo facce più ciniche e non parcheggiamo a cazzo!”.
E’ un fiume in piena.
Ma non è polemico. Anzi.
“L’ironia e la goliardia cambieranno il mondo” aggiunge.
Hanno creato una linea di magliette con slogan chiarissimi: “Avete fatto caso che i bagni esistono per uomini, donne e poi c’è quello disabile? I disabili non hanno sesso. L’idea è che siano una specie di asessuati. Ecco la maglia che fa per voi…”. Mostra una t-shirt con davanti il logo di un ragazzo in carrozzina.
Dietro la scritta #scopoanchio.
Chiaro, direi.
“Tutti amano i cani: ma se non raccogliete la cacca del vostro amico a quattro zampe e un cieco ci finisce col bastone sopra, diventa cieco due volte!”.
Fa una piccola pausa.
Non cerca l’applauso o la frase ad effetto. Dice solo cose molto giuste.
“Ragazzi, qui ci dobbiamo dare una mano noi… perché sennò non ci aiuta nessuno…”.
Ha finito.
Mi rendo conto che ho assistito all’inizio di una rivoluzione.
Piccola? Forse. Ma le rivoluzioni non sono mai piccole.
Penso che se anche solo uno dei partecipanti da domani starà attento a dove parcheggia, il risultato è raggiunto. Perché la civiltà è contagiosa.
Rende a tutti (non solo ai disabili) la vita più facile e più bella.
E fa funzionare le cose. Partendo da noi. Partendo da quella domenica mattina di Bari.
Perché no?
Questa è davvero una rivoluzione.
Gabriele Corsi
Cronache di ordinario razzismo
04 06 2014
A quasi cinque mesi dalla sentenza con cui il Tribunale di Bari ha ordinato la ristrutturazione del Centro di Identificazione ed Espulsione pugliese, la situazione è ancora “ben distante dall’assicurare standard dignitosi di vivibilità”: lo denuncia Medici per i Diritti Umani, l’associazione che già nel 2012 aveva “messo in luce le critiche condizioni strutturali e ambientali in cui versava il centro”. Proprio sulla base del fatto che la struttura non presentava condizioni minime di tutela della dignità umana, l’associazione Class Action Procedimentale due anni fa si è fatta promotrice di una class action per chiederne la chiusura. Ed è proprio in risposta alla class action che, lo scorso 9 gennaio, il Tribunale ha ordinato la ristrutturazione della struttura entro 90 giorni, ossia entro il 9 aprile. In caso contrario, “tutti gli stranieri ivi trattenuti” sarebbero dovuti essere trasferiti in altri Cie (ne abbiamo parlato qui).
La recente visita al CIE da parte del team di Medu lo scorso 29 maggio, ha però evidenziato una situazione ben diversa, in cui entrambe le disposizioni sono state disattese. Se alcuni bagni sono stati ristrutturati, altri versano ancora in una condizione indegna, e i moduli che prima risultavano fatiscenti – alloggi, sala mensa e aree comuni- sono ancora “al di sotto degli standard minimi di dignità” e in “condizioni di grave degrado”. Ciononostante, le persone non sono state trasferite.
Sulla questione è intervenuto recentemente, ancora una volta, il Tribunale di Bari: già, perché la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministro dell’Interno hanno presentato ricorso contro la decisione assunta dai giudici il 9 gennaio scorso. Ricorso che è stato rigettato lo scorso 9 maggio dal Tribunale con un’ordinanza secondo la quale “il Ministro dell’Interno Angelino Alfano è tenuto a disporre l’immediato trasferimento dei detenuti del CIE di Bari in strutture idonee a proteggere la loro dignità sino al completamento dei lavori di de-carcerazione imposti dal Tribunale locale e ad oggi non eseguiti nella loro integrità” (qui l’ordinanza).
La condizione della struttura contribuisce a rendere la quotidianità dei migranti detenuti nel CIE insopportabile, e non è un piccolo campo da basket, allestito nel cortile in ottemperanza a quanto stabilito dal Tribunale, a migliorare la situazione. “Qui si rischia di impazzire è l’espressione più ricorrente usata dai trattenuti in tutti i CIE visitati”, secondo la testimonianza del team di Medu. A., un giovane cittadino albanese che vive e lavora in Italia dal 2002 senza essere mai riuscito a regolarizzare la propria posizione, spiega come si sopravvive al CIE: “Devi comportarti come una persona molto anziana: dormire il più possibile, mangiare quello che ti danno, guardare la tv e ancora dormire”.
La posizione assunta dalla Prefettura, che ha vietato agli operatori di MEDU di raccogliere documentazione fotografica, non fa altro che confermare le pessime condizioni in cui versa il Cie. Sicuramente, il budget con cui il Consorzio Connecting People gestisce la struttura – 27,8 euro al giorno a persona, “uno dei più bassi attualmente assegnati per la gestione di un CIE” – non aiuta a migliorarle.
Parliamo, ricordiamolo, di una struttura che come tutti gli altri CIE priva della propria libertà personale persone che hanno come unica colpa di essere prive di permesso di soggiorno, per un periodo che può arrivare sino a 18 mesi. L’obiettivo definito dalla legge è la loro identificazione e il successivo rimpatrio: ma, oltre ad avere “costi umani inaccettabili”, il sistema dei CIE è completamente irrilevante nel contrasto dell’immigrazione irregolare. Stando ai “numeri forniti dall’ente gestore, nei primi quattro mesi del 2014 solo un migrante su tre (il 31%) transitato nel centro di Bari è stato effettivamente rimpatriato”. Un dato in linea con la situazione generale, come evidenziato dai “dati nazionali riferiti al 2013” (ne abbiamo parlato qui). Inoltre, “in occasione dell’ultima visita il centro risultava solo parzialmente utilizzato – tre moduli su sette, con 74 migranti trattenuti a fronte di una capienza complessiva di 80 posti al momento della visita e di 112 secondo quanto previsto dalla convenzione per la gestione del centro”. Una situazione che Medu aveva rilevato anche nel luglio 2012.
Per questo Medu “torna a chiedere il definitivo superamento dei centri di identificazione ed espulsione e, in coerenza con quanto stabilito dalla normativa europea, la riduzione del trattenimento dello straniero a misura di extrema ratio”. Un appello condiviso da molte associazioni che si battono per la garanzia dei diritti, e che si associa a quello di Class Action, che accoglie “il favorevole provvedimento del Tribunale di Bari in composizione collegiale nella consapevolezza ch’esso rappresenta un ulteriore importante passo in avanti nella nostra lunga battaglia legale per la definitiva chiusura dei carceri extra ordinem denominati Centri di Identificazione e di Espulsione”.
GiULiA
02 05 2014
Azzerati i cda delle società partecipate di Bari. Il Tar: "Anticostituzionali" Il lavoro deve essere donna.
E a garantire la pari rappresentanza di genere nelle società partecipate dagli enti pubblici devono essere gli stessi amministratori. Arriva alla vigilia della festa del Lavoro la notizia che, in piena campagna elettorale, farà sobbalzare sulla sedia il sindaco di Bari Michele Emiliano: le persone nominate con decreto sindacale, cioè dal sindaco, quali componenti i consigli di amministrazione delle società pubbliche Amiu e Amgas devono essere azzerate e rifatte.
Perché? Sono anticostituzionali. Contravvengono ai principi fissati dagli articoli 3 e 51 della Costituzione, cui il sindaco è obbligato ad attenersi (anche ai sensi dell'articolo 50 del Tuel, Tenso unico enti locali). Lo ha deciso il Tar di Bari, che ha accolto il ricorso presentato dalla consigliera di parità regionale Serenella Molendini, dalla presidente della Commissione pari opportunità regionale Magda Terrevoli e da una serie di associazioni di donne e uomini nel cui statuto e nella cui attività vi è l'obiettivo di diffondere la cultura di genere.
Tutti contro il Comune di Bari e il suo sindaco.
Il ricorso è stato presentato nel 2011, all'indomani della pubblicazione dei decreti di nomina e porta la firma di due avvocate, Valeria Pellegria e Francesca La Forgia e dell'avvocato Andrea Blonda.
Per arrivare alla sua scelta, Emiliano aveva pubblicato un avviso pubblico con l'invito a presentare candidature. Le risposte arrivarono numerose, sia di donne sia di uomini e, dopo aver stilato gli elenchi per mano di una Commissione designata, il progressista Emiliano ha pescato solo uomini. Nel dettaglio: per il consiglio di amministrazione di Amgas, uomini, per Amiu tutti uomini tranne una donna. Questo anche in presenza di candidate qualificate e piazzatesi in posizione giusta per la nomina. Un altro ricorso è poi pendente davanti al Tar: quello relativo all'annullamento, per gli stessi motivi, delle nomine dei revisori dei conti di Amgas.
"Un'altra grandissima vittoria delle donne di Puglia, dopo le nostre battaglie contro le Giunte al maschile". Ha commentato così la notizia Serenella Molendini.
Ora il primo cittadino di Bari dovrà ripronunciarsi, e dovrà tenere conto anche della legge sulla pari rappresentanza di genere nelle società quotate in borsa e negli enti pubblici, che all'epoca delle nomine impugnate ancora non era entrata in vigore.
Marilù Mastrogiovanni