Manifestiamo in tutta Italia per dire no ai muri della "Fortezza Europa" per dire che ci vogliono corridoi umanitari per i migranti, per dire che vanno chiusi i centri di detenzione, per dire che serve un'organica normativa europea sul diritto d'asilo, per dire che va superato il regolamento di Dublino.
Riccardo Chiari, Il Manifesto ...
Cronache di ordinario razzismo
10 09 2015
Le donne e gli uomini che arrivano in Europa cercano un futuro.
Legittimamente, pensano di avere quel diritto all’esistenza che nei loro paesi è negato.
Tutti noi, come singoli e come collettività, abbiamo la responsabilità di fare in modo che questo diritto sia loro garantito.
Noi tutte e tutti, donne e uomini dell’occidente, insegnanti, studenti, lavoratori, pensionati, disoccupati, attivisti, operatori del mondo dell’informazione, intellettuali, esponenti del mondo della cultura, possiamo e dobbiamo scegliere: tra l’egoismo, la disumanità, le diseguaglianze, l’odio, il razzismo e la xenofobia che generano sofferenze, dolore e morte e l’umanità, la pace, l’eguaglianza e la giustizia sociale.
Abbiamo un compito: quello di dissolvere l’ottusità, la cecità e la sordità dei vertici degli Stati europei. Spingendoli una volta per tutte a fermare le stragi che per mare e per terra hanno ucciso migliaia di donne, uomini e bambini.
A offrire a queste donne e a questi uomini un’accoglienza dignitosa.
A sostenere con interventi e mezzi adeguati la costruzione del loro futuro.
A combattere in ogni spazio e in ogni luogo e con tutti gli strumenti possibili il dilagare della xenofobia e del razzismo.
Stare a guardare significa rendersi corresponsabili.
Per questo Lunaria aderisce alla Marcia delle donne e degli uomini scalzi del prossimo 11 settembre e invita ciascuno e ciascuna a partecipare.
Qui è possibile leggere il manifesto della Marcia.
L’appuntamento a Roma è alle ore 17.00, presso la sede del centro Baobab, in via cupa 5 (qui dettagli).
Qui la lista, in continuo aggiornamento, delle altre città in marcia.
Global Project
07 09 2015
Lo sciame umano partito ieri da Budapest ha camminato in autostrada fino a tarda notte. Il governo ungherese, di fronte alla determinazione e alla compattezza dei migranti, ha dovuto alleggerire la propria morsa, arrivando a mettere a disposizione degli autobus che hanno trasportati le persone fino al confine con l’Austria.
Altri migranti sono stati accompagnati da auto private di cittadini ungheresi, a conferma che non tutti in Ungheria sono allineati al razzismo di Stato di Orban.Al confine i migranti sono stati fatti scendere, identificati e lasciati nel primo paese in territorio austriaco. Queste operazioni hanno rallentato il normale flusso dei mezzi, creando code, anche perché sono rimasti aperti solo pochi valichi, ma la frontiera austriaca non è mai stata chiusa completamente. Seguiamo le operazioni emozionati per quello che sta avvenendo. E’ da ieri che accompagniamo la marcia per libertà. Non possiamo non scorgere, non rimanere colpiti da una energia vitale immensa, una forza inarrestabile che guida i migranti in ogni loro gesto.
E’ vero, c’è anche una parte di disperazione che li accompagna, ma come non accorgersi che prima di tutto c’è una profonda consapevolezza di voler ambire a vivere in un luogo con più opportunità e maggiori diritti. Cosa altro può essere se non un’insopprimibile voglia di libertà, di pace, di migliori condizioni di vita a spingere centinaia di migliaia di persone a lasciare il proprio paese, a sopportare un calvario durissimo, a sapere che dietro il primo scoglio ci potrebbe essere la morte?
In Ungheria nel frattempo sono scoppiati i primi subbugli nei centri d’accoglienza al confine serbo perché coloro che sono ancora bloccati chiedono di essere lasciati liberi e di raggiungere la Germania. Keleti, la stazione di Budapest, si è riempita nuovamente. Altre migliaia di persone sono pronte a transitare, a marciare per la libertà e la vita. Le voci tra i migranti passano velocemente: ci sono riusciti ieri, possiamo farcela anche noi.
A nulla servono le dichiarazioni del capo della polizia ungherese, "mai più accadranno aiuti straordinari come i pullman di questa notte", il richiamo all’ordine suona vuoto. Ormai l’esempio è stato dato, gli argini si sono rotti, la frontiera è stata aperta, i muri eretti dalle politiche repressive possono essere abbattuti. Inevitabile è l’arrivo di queste persone che stanno scappando dalla guerra e dalla miseria.
Un’altra marcia con più di 1.000 persone parte da Keleti, veniamo informati che la stessa cosa sta succedendo da un centro d’accoglienza a sud della capitale.Le notizie rimpallano sui social network mentre capiamo di essere di fronte a giornate epocali e difficili da seguire e documentare in profondità. Ci chiediamo se lo "svuotamento" dell’Ungheria porterà a controlli più capillari e repressivi sul confine con la Serbia, se verranno dati ordini all’esercito di intervenire. Sono scenari foschi, ma il governo ungherese ha dimostrato in questi giorni la faccia peggiore della destra xenofoba europea. Sarà compito di tutti monitorare la gestione dei confini ungheresi, sia da una parte che dall’altra di quel muro che spezza la ricerca di vita e la consegna alla probabile morte.
Siamo arrivati a Vienna.
La situazione, rispetto a Budapest, è molto diversa. I migranti sono accolti da un cartello di buon auspicio “Refugees Welcome”, ci sono volontari organizzati che contribuiscono a rendere il tutto più umano. Non mancano né cibo, né assistenza sanitaria, né brandine e vestiti. I volontari ci fanno sapere che una trentina di auto dall’Austria sono partite con medicinali e generi di prima necessità per andare verso Győr (città ungherese a 120 km da Vienna) dove circa 800 persone si erano messe in marcia dal centro d’accoglienza della città. I migranti però si sono dispersi, molti di loro vengono raggiunti e assistiti dai volontari.
Nel frattempo il governo austriaco annuncia l’arrivo di circa 6.500 persone, delle quali 2.000 già in viaggio verso la Germania. I confini, come è giusto che sia, sono solo delle linee tracciate su una cartina geografica che sono stati, almeno per questo lasso di tempo, spazzati via. Passano le ore e apprendiamo che le autorità austriache prevedono che il numero di arrivi in giornata sarà di 10.000 persone che poi transiteranno verso la Germania.
I volontari e attivisti austriaci sono in contatto con i vicini tedeschi di Monaco in Baviera. Anche lì la solidarietà si è immediatamente attivata perché stanno arrivando i treni con i migranti a bordo.
Quel “Refugees Welcome” è un ormai un modo concreto, umano, solidale, fraterno di costruire dal basso un’Europa diversa.
Lo sciame umano è riuscito a forzare consapevolmente i regolamenti assurdi e inefficaci, come il Dublino III, dell’Europa fortezza. Oggi è un grande giorno.
di Redazione Melting Pot Europa
Dinamo Press
07 08 2015
I farfugliamenti sulla “grande politica” che hanno accompagnato il disarmo politico e morale della sinistra italiana nell’ultimo ventennio non depongono a favore del termine. Tuttavia la grande politica esiste. Solo che la fanno gli altri. Anche su temi come i migranti. Vediamo di imparare. Gesti semplici, calcoli precisi, parole comprensibili. Ovviamente su cose importanti, addirittura epocali. Per esempio, la tumultuosa migrazione dei popoli che oggi è manifestamente l’effetto e il sedimento dinamico di una profonda crisi economica e non solo.
Abbiamo registrato tre grandi risposte.
Papa Bergoglio l’ha messa al centro degli eventi e ha proclamato un’accoglienza incondizionata e illimitata, che non distingue fra asilanti, profughi di guerra e migranti economici. Abbastanza realistico, prima ancora che misericordioso: difficile fare una cernita motivazionale da chi scappa dalla morte (per fame, per persecuzione, per conflitto). Quali sono le ragioni di Francesco? Beh, il mestiere di papa implica nei casi migliori una valenza profetica e accogliere i fuggitivi la realizza (quanto soccorrere gli afflitti). Anche la tenuta della Ditta ne risente positivamente, migliorando il proselitismo o quanto meno compensando gli attacchi della concorrenza.
Erdoğan ha accolto due milioni di siriani in Turchia e ha largamente concesso loro il diritto di voto, incrementando così le fortune del suo AKP ma soprattutto utilizzando questa apertura per conquistare un’egemonia regionale, barcamenandosi fra Europa, Usa, Fratelli Musulmani e Isis e tenendo a bada i suoi nemici interni (i curdi) e i competitor esterni (Iran, Arabia Saudita, Egitto, Israele). Accogliere tanti siriani in Anatolia e smaltirne una parte in Europa dopo i più recenti cambiamenti di scenario fa parte di una complessa partita a scacchi per consolidare il traballante potere interno, compromesso dalle ultime elezioni, e rilanciare le storiche aspirazioni ottomane nella regione.
Da ultimo la Merkel ha cominciato a parlare di superamento di Dublino e di accoglienza incondizionata dei soli siriani in Germania, scatenando un casino pazzesco nei paesi vicini di transito. Per un verso, la Cancelliera prende atto con realismo di un flusso inarrestabile (i siriani vogliono andare in Germania, e con loro anche tutti gli altri). Per l’altro, mira a utilizzare questa invasione come un’irrigazione, secondo la buona regola di gestire le crisi come occasioni. In primo luogo e subito, garantendosi con tale gesto un’egemonia politica e morale in Europa che non poteva più mantenere con un’ottusa supervisione dell’austerità. Ci butta dentro un bel po’ di soldi, ma ne guadagna politicamente e in termini di forza – così come aveva fatto il suo maestro Kohl con l’unificazione tedesca e il cambio alla pari del marco nel 1989. O prima ancora, accogliendo dopo la disfatta nel 1945 milioni di tedeschi espulsi dall’Est. Nel medio periodo, si procura abbondante manodopera (acculturata e neppure troppo islamica) per sostenere lo sviluppo economico in un mercato europeo asfittico e nella prospettiva di una contrazione considerevole degli sbocchi in Cina. Senza esitare di fronte ai rischi di un allentamento dell’asse geopolitico con i paesi dell’Europa orientale, oggi volti piuttosto verso l’Inghilterra repellente di Cameron.
Tre operazioni di grande politica (Obama ci sta provando su altri terreni). Sono però “altri” a farla (e almeno due sono pure “nemici”).
E la sinistra?
Vabbè, distinguiamo. La sinistra socialdemocratica sta in coda alla Merkel e magari rosicchierà qualche briciola, I partiti socialisti spagnolo e francese latitano. Renzi si agita e chiacchiera, ma si limita a contendere il terreno a Salvini con atteggiamenti più “umanitari”. Si è ben guardato, tra le tante “riforme”, dal cancellare la Bossi-Fini, una legge per metà inapplicabile, per metà criminogena, che costituisce, fra l’altro, il sostegno statale dall’alto della perversa distinzione (ignota perfino in gran parte dell’Europa) fra migranti “regolari” e “clandestini”. Non a caso il governo Cameron l’ha presa a modello per frenare l’immigrazione, in primo luogo quella italiana…Il Pd spera soltanto che i profughi scappino al più presto dall’Italia terrorizzati da Lega, burocrazia e disoccupazione. Quelli che restano vanno ad alimentare non lo sviluppo industriale, ma il sommerso, nel ventaglio che va dal caporalato all’edilizia all’economia criminale – tutte componenti ascendenti del Pil…
E la sinistra “vera”, cioè quella che si oppone de core e non conta un cazzo? Molto solidale con i migranti, beneficamente attiva con marce, scuole, assistenza, sportelli, occupazioni, ma senza un progetto strategico né in generale né che li comprenda come forza attiva e soprattutto come occasione. Le rivoluzioni non seguono un ordine dettato dalla storia e neppure da programmi di partito, ma si innestano su “accidenti” (diceva un antico) che vanno sfruttati al volo, previsti o no che siano. Se non c’è “riscontro”, l’occasione passa e magari viene usata da altri per schiacciarci. Nel migliore dei casi, l’accidente viene subìto, espulso come un corpo estraneo: per esempio, in Grecia l’improvviso riversarsi dei migranti dal corridoio turco ha alimentato le pulsioni razziste di Alba Dorata (e ovviamente continua a farlo), è stato accolto con solidarietà dai movimenti, ma non si è sommato alle altre spinte derivanti dalla crisi: in fin dei conti sembra che il governo Syriza abbia cercato di non infierire troppo, ma di sbarazzarsi al più presto di questo ulteriore guaio spintonandolo verso la Macedonia. Forse non si poteva fare altrimenti, ma un certo disagio per la gestione di questo e altri accidenti socio-economici rimane e comunque configura una situazione di sconfitta.
Cominciamo con il prendere atto di questa situazione e che si tratta del principale complesso di movimenti e variabili con cui ha a che fare oggi ogni processo politico, quindi anche quelli che si propongono mutamenti di struttura. Prendiamo atto che il blocco della sinistra riformista e rivoluzionaria verte su questo, come nel 1914 e nel 1939 sulla guerra. In attesa, magari, che fra spinte e controspinte la guerricciola che oggi cova in Ucraina si candidi a esiti più impegnativi. E che se ne esce impostando una svolta strategica che parli alla gente, mentre oggi perfino i militanti più impegnati fanno fatica a capirsi fra loro e a decifrare i documenti pazientemente postati on line...
Per non limitarci a un lamento, osserviamo che la spinta delle migrazioni non agisce solo oggettivamente, travolgendo muri e reticolati e sconquassando le regole europee e gli egoismi nazionali, ma anche soggettivamente, con piccoli e grandi pressioni (Ceuta, Ventimiglia, Brennero, Gevgelija, Budapest e soprattutto Calais) – sommosse senza paragone negli ultimi anni e neppure del tutto sconfitte. Le cose cambiano così. Non ne dovremmo imparare qualcosa, rinfrescarci la memoria?
di Augusto Illuminati