ExMoi
15 01 2015
La procura di Torino ordina di sgomberarli, come se si trattasse di immondizia. Invece si sta parlando di 750 persone, il 15 per cento donne e una trentina di bambini. Molti dei rifugiati sono scappati dalla guerra in Libia e sono finiti in strada a marzo 2013, esauriti i fondi dell’Emergenza Nord-Africa. Questi esseri umani, provenienti da 26 paesi africani, hanno trovato rifugio nelle quattro Palazzine dell’ex Villaggio Olimpico, abbandonate da 7 anni. Il comune non era riuscito a farle fruttare perché costruite male, ma con soldi pubblici. La procura non ha mai indagato su impianti, struttura o ditte appaltatrici.
Sappiamo che questa indagine e sequestro non significano sgombero imminente, un giudice autorizza lo sgombero ma sta alla politica decidere i tempi. Lo sgombero eseguito con la forza significa scontrarsi con i rifugiati e il comitato, con coloro che difendono il diritto a un tetto per tutti. Effettuare lo sgombero con la forza vuol dire che la politica non può dare alternative: tutti fuori e basta. Intanto i giornali creano la solita confusione: lo sgombero non avverrà domani. Crediamo che sia poco fattibile ributtare centinaia di persone in strada. L’unica altra modalità con cui la politica tratta i rifugiati sono i progetti. Uno sgombero assistito tuttavia costa caro, comporta offrire un’alternativa agli occupanti. Inoltre la storia delle occupazioni torinesi di rifugiati insegna che gli sgomberi assistiti finiscono male. Pensiamo a Corso Peschiera, dove alla fine di innumerevoli tavoli molti sono finiti in strada.
Nessuna delle due è una buona prospettiva.
Nelle palazzine olimpiche molti hanno cominciato ad avere una vita stabile: un posto dove tornare dopo il lavoro nelle campagne di Saluzzo o Rosarno, piccole borse lavoro, una famiglia e un comitato di solidali pronti ad aiutarli. Qui molti per la prima volta hanno imparato l’italiano, insegnato da volontari in collaborazione con i CTP (Braccini e C. di Mirafiori).
FdI, Lega e FI non aspettavano altro che la parola sgombero su un giornale, vogliono vedere in questa occupazione solo illegalità e degrado, vogliono incastrare il comune. Troviamo ridicolo attaccarsi alle poche liti avvenute in quasi due anni.
La realtà è che nessuno dei cittadini si sente minacciato, prova è che ogni iniziativa antidegrado è stata un flop. Molti sono i cittadini che collaborano con gli abitanti e gli stessi rifugiati sono in grado di autoregolarsi. Non regna il caos, i rappresentanti (1 o 2 per appartamento) si incontrano regolarmente per affrontare problemi comuni e per confrontarsi con il comitato di solidarietà che offre supporto medico, linguistico e legale. Si è instaurato un dialogo con la circoscrizione, unica istituzione che ha rotto il silenzio e che è in contatto con alcuni dei rappresentanti. La collaborazione con AMIAT ha permesso di rimuovere le barriere, sistemare il cortile e ripulire l’area.
Durante questo percorso di quasi due anni si è creata una rete di collaborazione e supporto con alcune realtà del territorio: CSOA Askatasuna, CSOA Gabrio, Pastorale Migranti, Ingegneri senza Frontiere, Microclinica Fatih, Frantz Fanon, Mamre, Gruppo Abele, Sermig, Anpi sez. Lingotto. Tutti solidali con l’occupazione, unica reale soluzione per i rifugiati a Torino, una volta finiti i progetti.
Ricordiamo infatti che in una nota del 23 maggio l’UNHCR scriveva che “sono migliaia i rifugiati costretti a vivere in palazzi abbandonati e occupati nelle principali città italiane quali Roma, Milano, Torino, a causa dell’inadeguatezza dell’accoglienza e dell’insufficienza dei progetti di integrazione”. A Torino sono oltre il migliaio in 8 diversi palazzi.
Lo stato italiano ha scelto di perseguire chi dovrebbe proteggere, preferendo tutelare il diritto alla proprietà piuttosto che i diritti umani.
In questi giorni ci confronteremo con gli abitanti, determinati e uniti nel difendere il diritto alla casa di tutti e tutte.
Infine alcune precisazioni per chi fosse venuto solo ora in contatto con l’exMOI:
Gli abitanti sono rifugiati con vari permessi di soggiorno. Non clandestini terroristi. Faticano ogni giorno per rinnovare il permesso, che costa loro tra i 100 e i 250 euro ogni rinnovo. Per molti il rinnovo è annuale, a molti infatti è stato categoricamente dato il permesso umanitario senza realmente analizzare la loro domanda di asilo.
Il nostro comitato è costituito da studenti, lavoratori e precari italiani e immigrati. Siamo vicini ai centri sociali Askatasuna e Gabrio in quanto uniche realtà che si occupano concretamente di supportare rifugiati e migranti. Questi sono gli unici che hanno creduto nella lotta per la residenza e che portano avanti battaglie in cui crediamo.
Le 4 palazzine occupate sono state vuote per anni e non avevano nessuna destinazione d’uso, men che meno essere date agli italiani, per questo sono state al Fondo città di Torino. Questo paga acqua e luce, non i contribuenti.
Le liti avvenute erano sempre a sfondo personale, nessuna aveva motivazione etnica o religiosa. Molti appartamenti sono infatti condivisi tra nazionalità e religioni diverse.
Corriere delle Migrazioni
11 01 2015
E’ guarito Fabrizio Pulvirenti. Sunito dopo l’ufficializzazione della buona notizia, il medico di Emergency contagiato in Sierra Leone e ricoverato per varie settimane all’ospedale Spallanzani di Roma, ha dichiarato di essere pronto a ritornare sul campo. il suo è stato sinora l’unico caso di un italiano infettato dal virus dallo scorso marzo, quando l‘epidemia si è propagata in tre stati dell’Africa Occidentale: la Guinea, la Sierra Leone e la Liberia. A ben vedere è proprio lo scenario che in ambienti scientifici si riteneva il più probabile per l’arrivo di ebola nel nostro paese. Lo stesso che hanno esposto tre ricercatori del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie infettive dell’Università La Sapienza di Roma al recente convegno Ebola, perché non bisogna averne paura: l’Italia non è nella top ten dei paesi a rischio, anche per effetto dell’assenza d voli diretti con i tre stati interessati dall’epidemia, che applicano severi controlli nei propri aeroporti, ripetuti anche nei paesi di scalo. L’ipotesi più probabile è che a portare il virus sul territorio sia «un operatore sanitario rientrato appositamente per essere curato».
Niente a che vedere con migranti e barconi. La lunghezza dei viaggi che si intraprendono per raggiungere l’Italia supererebbe, infatti, il periodo di incubazione del virus – che va dai 2 ai 21 giorni – «un contagiato non riuscirebbe nemmeno a imbarcarsi», sostengono i ricercatori. Eppure c’è chi ha invocato misure estreme e fantasiose per fronteggiare il “rischio contagio”: i leader dei partiti xenofobi in forze al Parlamento europeo – Matteo Salvini e Marine Le Pen in testa – hanno proposto l’immediata sospensione degli accordi di Schengen. Oltre a suggerire l’invio di «aiuti coerenti» negli stati più colpiti da ebola, Salvini e Le Pen sono stati d’accordo anche nel prospettare lo stop all’importazione di derrate alimentari potenzialmente a rischio, «come le banane».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche Beppe Grillo. «Ebola sta penetrando in Europa, è solo questione di tempo perché in Italia ci siano i primi casi», si legge sul suo blog. «Chi entra in Italia ora deve essere sottoposto a una visita medica obbligatoria all’ingresso per tutelare la sua salute e quelle degli italiani che dovessero venirne a contatto». Le sue previsioni non si sono avverate: i casi di ebola usciti dall’Africa hanno riguardato unicamente operatori sanitari, mentre non risultano notizie di migranti contagiati dal virus e sbarcati sulle nostre coste.
La psicosi da ebola non tiene conto però dei dati obiettivi, e nemmeno della geografia, come dimostrano vari episodi riportati dalle cronache. Per esempio, quello dei genitori di Fiumicino che hanno chiesto l’allontanamento dalla scuola materna di una bimba di tre anni appena tornata da un viaggio in Uganda, cioé da un Paese ebola-free. Tra la capitale ugandese, Kampala, e quella liberiana, Monrovia, ci sono oltre 7400 chilometri, più della distanza che separa Roma da Conakry, capitale della Guinea.
Ma intanto, in Africa, la situazione qual è? Il numero totale delle vittime di ebola lo ha dato l’OMS pochissimi giorni fa: sono 7905 le persone decedute per la malattia a fronte di oltre 20 mila contagiati. Il nuovo picco si registra in Sierra Leone, dove la scorsa settimana si sono registrati 337 nuovi casi. Chi volesse seguire l’andamento dell’epidemia basandosi su dati scientifici e reali invece che sull’onda di reazioni mediatiche ed emotive, può anche consultare una pagina web messa a punto dal Mobs Lab della Northeast University di Boston. La situazione rimane critica (anche per effetto delle ricadute economiche: per approfondire questo aspetto può essere utile scaricare il numero di Africa e Affari dedicato a ebola, è gratuito e lo trovate qui) ma non è panafricana, come dimostrano i casi di Nigeria e Senegal. Questi due paesi sono riusciti a bloccare il virus alla sua prima comparsa, venendo dichiarati dall’Oms ebola-free. Se ne parlerà, il 17 gennaio, anche a Brescia, dove la Redani, la Rete della Diaspora Africana in Italia, in collaborazione con alcune associazioni di studenti e l’università, ha organizzato l’incontro La verità sull’ebola. L’Africa non è Ebola.
E l’Italia fa la sua parte? Sul sito del Ministero della Salute si parla di una spesa di 3 milioni di euro per il 2015 e di 1,5 milioni annui a partire dal 2016 autorizzata nella Legge di Stabilità “per potenziare le misure di sorveglianza e di contrasto delle malattie infettive e diffusive nel territorio nazionale e di rafforzare i livelli di controllo di profilassi internazionale per salvaguardare la collettività da rischi per la salute”. Non è chiara, tuttavia, l’esatta destinazione di tali finanziamenti per la lotta contro ebola mentre è noto, invece, che la task force interministeriale indetta lo scorso 15 ottobre abbia previsto, oltre al potenziamento di personale portuale e aeroportuale, la distribuzione di opuscoli informativi sui sintomi della malattia e sui comportamenti da evitare. Una misura adottata, come già detto, nonostante dall’Italia non partano né arrivino voli diretti dai paesi colpiti da ebola. Quanto è costata questa operazione? A che scopo realizzarla, dal momento che tra il nostro Paese e quelli dove l’epidemia è in atto non ci sono voli diretti? lo abbiamo chiesto ripetutamente al Ministero della Salute, che però non ha ritenuto opportuno rispondere. Dal suo sito non risultano comunque novità in merito allo stato dell’emergenza, se non quella della sospensione del numero di utilità 1500 dedicato proprio ad ebola (oltre che al vaccino antinfluenzale FLUAD), fatto che farebbe pensare a un ridotto stato di allerta.
Più che gli opuscoli, per fronteggiare ebola servono medici e infermieri. «Molti sarebbero pronti a partire e a darci una mano, ma non hanno ottenuto dalle Asl l’aspettativa necessaria – ha spiegato recentemente Gino Strada, il fondatore di Emergency – Da più di due mesi in Italia si sentono politici che promettono aspettative per ragioni umanitarie, provvedimenti ad hoc. La verità è che fino a ora quasi tutti coloro che hanno chiesto il permesso di partire se lo sono visti rifiutare». Stando alle informazioni riportate sul sito del Ministero della Salute, con la Legge di Stabilità sono autorizzate anche in deroga le richieste di aspettativa fino a 6 mesi da parte di personale sanitario che volesse prestare servizio nei paesi colpiti di ebola. La legge è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale lo scorso 29 dicembre, ai malati non resta che aspettare.
Martina Zanchi
Atlas
02 01 2015
Il numero di casi di ebola registrati dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) sta diminuendo in Liberia, è altalenante in Guinea e sta aumentando in Sierra Leone. In quest’ultimo paese, tuttavia, la crescita sta decelerando. E’ quanto si evince dall’ultimo rapporto diffuso dall’istituzione internazionale che sta seguendo da vicino l’evolversi dell’epidemia ormai in corso da un anno.
A rendere difficoltoso porre un freno al virus è l’impossibilità di controllare in maniera efficace le zone più remote dei tre paesi dell’Africa occidentale. Un fatto sottolineato dal responsabile uscente della missione delle Nazioni Unite per contrastare ebola (Unmeer), Anthony Banbury, che proprio domani sarà sostituito alla guida della missione dal mauritano Ismail Ould Cheick Ahmed.
Secono i dati dell’Oms – che però non sono esaustivi – almeno 20.000 persone hanno contratto finora ebola e 7800 di questi sono morti. Tra le categorie più colpite c’è quella degli operatori sanitari: 678 di loro hanno contratto il virus e 382 sono morti.
Il virus ha causato nei mesi scorsi una sorta di psicosi che ha avuto conseguenze economiche non soltanto sui tre paesi colpiti.
Diverse altre zone d’Africa, che pure non hanno avuto alcuna conseguenza diretta dal virus, stanno pagando disinformazione e l’emergere di vecchi stereotipi. Evidente il caso lamentato da molti tour operator specializzati sull’Africa che hanno visto una sensibile riduzione delle prenotazioni per destinazioni lontane anche migliaia di chilometri dall’epicentro del virus.