Redattore Sociale
07 02 2014
La condizione delle donne nel nostro paese è ancora caratterizzata da profonde e numerose disuguaglianze. In molte sono costrette a rinunciare al lavoro per ragioni familiari. E la popolazione straniera aumenta grazie alle immigrate.
La condizione delle donne nel nostro paese è ancora caratterizzata da profonde e numerose disuguaglianze. Il lavoro, certo. Ma non solo. Abbiamo raccolto dati e analisi che descrivono la situazione femminile in Italia e in Europa. Eccoli.
Lavoro. Persiste il divario retributivo tra uomini e donne, tanto che queste ultime lavorano ben 59 giorni a salario zero. Non solo: secondo il rapporto “Noi Italia” dell’Istat, sono soprattutto delle donne le tipologie contrattuali a termine o part-time, così come va detto che l'inattività femminile rimane molto ampia (46,5 per cento) ed è “donna” la disoccupazione di lunga durata (54 per cento per la componente femminile).
Ma non basta. Carichi familiari troppo gravosi, mancato riconoscimento delle competenze, poche possibilità di fare carriera: per le donne quello lavorativo è ancora un percorso tutto in salita. Sempre secondo l’Istat, quasi la metà delle donne (44 per cento) si è trovata a dover rinunciare a un’opportunità o ad adottare comportamenti autolimitanti per ragioni familiari. Mentre gli uomini che hanno dovuto scegliere questa via sono solo il 19,9 per cento.
Ma anche con l’età pensionabile le cose non vanno meglio. Le donne vanno in pensione leggermente più tardi degli uomini a causa di una carriera lavorativa mediamente irregolare, mentre la lunghezza media delle carriere è più alta.
Infine, gli infortuni. Uno specifico studio dell’Anmil attesta che circa 250 mila lavoratrici sono colpite ogni anno da infortunio o malattia professionale: 2 mila i casi che conducono a una condizione di disabilità. Con pesanti conseguenze familiari e sociali.
Società. Cambia la società e cambia anche la presenza femminile, nelle sue diverse forme. Aumentano le immigrate. Il XXIII° Rapporto Caritas-Migrantes evidenzia che all’inizio del 2013 gli immigrati erano 4.387.721 (7,4 per cento sul totale della popolazione italiana) con un incremento di oltre 334 mila unità (+8,2 per cento) rispetto all’anno precedente. Ad aumentare sono soprattutto le donne, che oggi costituiscono il 53 per cento degli oltre 4 milioni e 300 mila stranieri residenti in Italia anche grazie alle varie regolarizzazioni che hanno certamente favorito l’emersione di una rilevante quota di lavoratrici impiegate nel settore domestico. Diminuiscono invece le rifugiate: sono gli uomini più delle donne a mettersi in viaggio verso l’Italia. I dati Sprar evidenziano proprio una diminuzione della componente femminile rispetto agli anni precedenti al 2012.
In carcere la presenza femminile è minoritaria. Secondo il rapporto Antigone, a fronte delle oltre 64 mila persone stipate nelle carceri italiane, le donne sono “solo” 2789. E nei 16 asili nido penitenziari sono presenti 51 madri con 52 bambini.
Le donne, tuttavia, sono sempre vittime di violenza. I dati della prima relazione dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra) sulla violenza fisica, sessuale e psicologica subita dalle donne in ambito domestico, lavorativo, pubblico e su internet rivelano numeri da brivido. Non c’è nessun paese dell’Ue che può dirsi esente dal problema. Dallo studio emerge infatti che il 33% delle intervistate sopra i quindici anni ha subito violenza fisica e/o sessuale, in pratica una donna su tre. Se proiettato sullo scenario europeo, il dato è sconvolgente: sarebbero 62 milioni le donne ad aver sperimentato una tal forma di violenza.
Ma su un aspetto le donne sono avvantaggiate rispetto agli uomini: l’aspettativa di vita. Nel 2011 era mediamente di 84,5 anni, contro i 79,4 anni per gli uomini. Si mantiene il vantaggio femminile in termini di sopravvivenza, anche se il divario tra generi continua a ridursi.
Tuttavia i livelli di consumo di farmaci risultano più elevati per la popolazione femminile (42,92% contro 34,31%), registrandosi tuttavia una modesta contrazione rispetto al 2009 (44,62%).
Su RS Agenzia giornalistica l'analisi della situazione lavorativa delle donne e uno spaccato sulla società al femminile.
Femminismo a Sud
05 03 2014
8 MARZO 2014
con chi è privata della libertà…
sabato alle ore 11.00 sotto Rebibbia Femminile,
al pratone in fondo a via Bartolo Longo
Siamo rinchiuse in una gabbia a cielo aperto, fatta di parole corrotte e segnali stravolti, fatta di quotidiane espropriazioni di pezzi della nostra vita e della nostra immaginazione, una gabbia che hanno costruito per noi e che hanno chiamato “normalità”.
La nostra “normalità” è così l’esecuzione automatica, inconscia, di gesti quotidiani che sono programmati da qualcun altro. Le nostre giornate sono piegate alle esigenze di un sistema produttivo che succhia costantemente le nostre risorse e non dà indietro nulla, ad eccezione delle macerie.
Siamo costrette/i in doveri e divieti sempre più capillari che aspirano a regolare ogni nostro comportamento, dal più privato al più pubblico. Vorrebbero farci correre sulla ruota come i criceti, con l’illusione di arrivare da qualche parte e, se non ci adeguiamo a questo circo di sfruttamento ci pensa l’apparato repressivo a metterci in regola.
Questo presente fatto di galere con le sue quotidiane violenze, assordanti anche quando sono silenziose, viene spacciato come il migliore, oppure come il meno peggio, in ogni caso come unico esistente, costruendo in questo modo l’ultima delle gabbie: la rassegnazione.
In questa operazione programmata svolgono un ruolo importante la socialdemocrazia e il riformismo, comprese le componenti femminili, che nelle reti della comunicazione quotidiana fanno la guerra alla memoria e all’identità del movimento femminista, manipolandone la storia, strumentalizzando l’oppressione di genere, di razza, i diritti umani….falsificando la lettura della società e tentando di farne dimenticare la struttura e la divisione in classi. Creano, così, una società che fa dell’antirazzismo-razzista, dell’antisessismo-sessista e della strumentalizzazione dei diritti umani il grimaldello per addomesticare le coscienze.
Vorrebbero addomesticare anche le nostre lotte, e se il tentativo fallisce arrestarle attraverso il braccio della legge. Vorrebbero poi farci fare processioni per chiedere qualche grazia che una volta elargita sarebbe comunque un atto di potere e come tale, con lo stesso atto, potrebbe essere tolta.
Contro questo misero presente lottiamo fino all’ultimo respiro, opponiamo pratiche di conflitto su tutti i terreni dello scontro: riappropriandoci di ciò che ci spetta, ma anche di una visione del mondo diversa e incompatibile con quella attuale, ci riappropriamo anche delle parole e dell’immaginario.
La misura della nostra forza è, come la Val di Susa ci insegna, la capacità di pensare e praticare un modo diverso di vivere, percorrere strade di liberazione che passano anche dai legami solidali che intrecciamo.
La nostra legittimità nasce dal basso, mentre la loro legalità è violenza!
Per questo siamo state nel nostro percorso verso l’8 marzo
- il 15 febbraio a Ponte Galeria per “Spezzare la normalità dei Cie” perchè nessuna/o dica non sapevo, non pensavo, non credevo….perchè la detenzione per condizione e non per reato apre scenari impensabili di controllo sociale…quello che tocca ora alle migranti e ai migranti irregolari, può capitare a chiunqu* non sia gradit* al sistema…..
-tra il 17 e il 23 febbraio Femministe No Tav perchè una Valle deve poter decidere del proprio destino, perchè l’autodeterminazione della Val di Susa è la nostra autodeterminazione, perchè è proprio questo che è inaccettabile per questo sistema capitalista e patriarcale, nessuna/o deve poter decidere della propria vita….
-il 23 febbraio davanti a Rebibbia Femminile a salutare Chiara e tutte le detenute là dentro perchè la legalità di questo Stato è violenza e si esplica contro tutt* quell* che osano anche solo pensare di poter decidere del proprio destino……
-il 1 marzo al Fronte del Porto a confrontarci sulla necessità di ribadire la natura strutturale dell’oppressione di genere e sulla necessità del separatismo……
E’ per tutto questo che il nostro 8 marzo vuole
spezzare la “normalità”, cercare…scoprire….trovare….creare….crepe….fessure….squarci….nell’esistente che ci permettano di aprire scenari e immaginari oltre la ragionevolezza, oltre la possibilità…..
E’ per questo che gridiamo a gran voce che
la vostra legalità è violenza!
e sabato alle ore 11.00 saremo a Rebibbia Femminile, al pratone in fondo a via Bartolo Longo per un 8 marzo con chi è privata della libertà.
Coordinamenta femminista e lesbica-Roma coordinamenta.noblogs.org/Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Corriere della Sera
04 03 2014
Huffingtonpost
08 01 2014
Perché credo sia importante mobilitarsi per il sistema carcerario russo? La risposta è semplice.
Perché le ragazze e le donne che si trovano dietro le sbarre mi dicono: "Sogno di prendere la tubercolosi solo per uscire dall'IK-2!" Queste donne hanno un posto dove andare quando saranno liberate, hanno genitori e figli. Ma sono talmente umiliate, represse e private della voglia di vivere che sono pronte a contrarre di proposito una grave malattia per un'unica ragione: finire in ospedale per uscire di prigione. Una prigione dove vengono percosse con mazze, spranghe e anfibi, dove dormono solo poche ore al giorno, dove trasportano blocchi di cemento, dove vengono torturate e uccise.
È per questo che stiamo creando "Justice Zone". È una piattaforma che sarà la base per l'azione collettiva di persone accomunate dall'interesse per il destino di quelle detenute le cui vite si stanno sgretolando sotto il sistema penale russo. Durante la nostra prigionia, l'amministrazione del carcere ha tentato di mettere a tacere me e Masha Aloykhina facendo pressione sulle detenute che ci erano più affezionate. Ora tenta anche di dare un giro di vite alle attività di "Justice Zone" prendendo in ostaggio l'amica di una persona che lavora insieme a noi in favore dei diritti umani.
Kira Sagaydarova, nostra collega di Justice Zone, è stata liberata cinque mesi fa dalla prigione IK-2 e ora partecipa attivamente al nostro lavoro per cambiare la situazione nelle carceri. Di recente Kira ha rilasciato diverse interviste in cui ha parlato delle flagranti violazioni e delle sistematiche violenze che si verificano nell'IK-2. Questi sono solo alcuni degli episodi che Kira ha vissuto: "Per i primi sei mesi ti uccidono lentamente. Rizhov, direttore della zona industriale, vuole che i supervisori dei laboratori di cucito raggiungano una certa quota di produzione, ma i supervisori non raggiungono la quota finché le nuove ragazze non imparano a cucire. Perciò i supervisori le picchiano. Una volta ti picchiano, poi magari ti strappano i capelli, ti sbattono la testa contro la macchina per cucire o ti portano in una cella punitiva, dove ti prendono a botte e calci usando mani e piedi, oppure tolgono la cinghia dalla macchina per cucire e ti colpiscono con quella".
"I supervisori sono i responsabili della maggior parte delle violenze che avvengono nella colonia penale. Fanno quello che vogliono e dispongono a loro piacimento della vita delle persone. Mi hanno colpito sulla schiena con tutta la loro forza, o sulla testa, non fa differenza. Più volte sono crollata e ho pianto, e non riesco nemmeno a elencare tutte le cose che succedevano lì. A loro non importa nulla. C'è stato un periodo in cui ci versavano addosso acqua gelida in una cella punitiva ghiacciata in pieno inverno!"
Vika Dubrovina è un'amica di Kira ed è ancora in prigione. A metà novembre Kira ha smesso improvvisamente di ricevere lettere da Vika. Il 25 dicembre Vika è riuscita a chiamare sua mamma, e le ha detto di aver trascorso l'ultimo mese in una cella punitiva. Ecco le parole della madre di Vika: "Vika mi ha chiamato in lacrime e mi ha detto che, a causa di un'intervista rilasciata da Kira, l'hanno messa due volte per quindici giorni in una cella punitiva e le hanno detto di tenersi pronta a spostarsi nel SUS." Il SUS è una caserma in cui ti chiudono a chiave e ti proibiscono di vedere familiari o amici e di fare telefonate. I direttori della prigione IK-2 non nascondono il fatto che Vika subirà trattamenti punitivi finché Kira, che ora è libera, smetterà di parlare delle carceri della Mordovia.
La prima volta che Vika è stata messa in una cella punitiva è stato a causa di una targhetta. Le si è avvicinata una dipendente del carcere che le ha strappato la targhetta con il nome, poi le ha annunciato che stare in prigione senza la targhetta è una violazione, per la quale sarebbe stata punita con quindici giorni di reclusione nella cella d'isolamento ghiacciata. Dopo quindici giorni, Vika è uscita dalla cella punitiva. Ha trascorso la notte nella caserma principale con tutte le detenute. Il giorno seguente, è stata convocata dal direttore, il quale le ha detto che sarebbe stata nuovamente punita a causa dell'uniforme, per qualche irregolarità nella casacca, e che l'avrebbero mandata di nuovo in cella punitiva per altri quindici giorni.
Il 26 dicembre, il giorno successivo alla fine del secondo periodo in cella punitiva, Vika è stata rinchiusa in isolamento per un terzo periodo con un altro pretesto assurdo. Perciò Vika sta trascorrendo quarantacinque giorni in isolamento. Alla metà di gennaio, quando sarà portata di nuovo nel reparto principale, i dirigenti dell'IK-2 escogiteranno un altro piano per punirla di nuovo, solo per il fatto che la sua amica Kira sta rivelando cosa succede nella prigione. Insieme alla madre di Vika abbiamo già inoltrato una denuncia al Procuratore Generale e alla Procura di Moldavia, e abbiamo presentato un'istanza alla corte di Zubova Polyana Mordovia affinché i tre periodi trascorsi da Vika in cella punitiva siano dichiarati azioni illegali perpetrate dall'amministrazione dell'IK-2.
Per ottenere la risposta delle procure e della corte bisognerà attendere un paio di settimane, ma dobbiamo iniziare ad agire subito, oggi stesso. Dobbiamo chiarire ai direttori dell'IK-2 e al sistema carcerario della Mordovia che non possono punire impunemente Vika Dubrovina per vendicarsi del fatto che la sua amica scrive della situazione nel carcere. Per questo motivo, incoraggiamo tutti voi che non restate indifferenti di fronte al male - che è quello che sta succedendo a Vika - a mostrare ai funzionari del carcere della Mordavia che le loro azioni saranno punite. Al momento sono già state inoltrare centinaia di proteste da persone che hanno risposto al nostro appello e non sono rimaste indifferenti. Speriamo che, grazie all'attenzione generale, le punizioni illegali cesseranno a non ne verranno imposte di nuove.
1) Chiama qui per porre fine alle torture di Vika.
Persona in servizio alla prigione IK-2 in Mordovia: 011-7-834-572-26-40
Persona in servizio al Sistema carcerario federale in Mordovia: 011-7-834-572-28-74, 011-7-834-575-02-57
Persona in servizio al FSIN di Russia: 011-7-495-982-19-00
2) Invia la segnalazione alle autorità di vigilanza con il modulo online che trovi qui in inglese e qui in russo
3) Divulga questo post sui tuoi social network e chiedi a qualche amico di telefonare e inviare la segnalazione.
Vika deve scontare ancora tre anni in quella prigione. Bastano dieci minuti per compiere i tre passi elencati qui sopra e incidere sul destino della ragazza che ora è reclusa in una cella d'isolamento ghiacciata perché la sua amica ha parlato, permettendo a tutti noi di sapere cosa accade nel carcere IK-2 della Mordovia.
Nadia Tolokonnikova è stata liberata di recente da un carcere siberiano in cui è rimasta reclusa - insieme alle altre componenti delle Pussy Riot - per più di ventun mesi per aver partecipato alla "preghiera punk" di protesta contro il presidente russo Vladimir Putin. Nadia divulga sull'Huffington Post le sue riflessioni sul periodo che ha trascorso in carcere. Tradotto in inglese da Natasha Fissiak, produttrice del documentario Free Pussy Riot! http://freepussyriotthemovie.com/