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Il Fatto Quotidiano
06 02 2013

Che cosa agisce a livello simbolico quando si compie un atto di violenza contro una donna? Qual è “la posta” in gioco? Le discriminazioni e le violenze, le disuguaglianze del mondo sono difficili e faticose da denunciare. La voce che si leva deve superare muri di gomma perché collettivamente ci sono anche forze ostili che vogliono mettere a tacere la coscienza. Ma quando si tratta di violenza sulle donne la denuncia diviene spesso una sfida più ardua. La cultura millenaria che ha sempre collocato le donne in una situazione di sudditanza nei confronti degli uomini rema contro. Il potere è una energia che difende la propria esistenza e lo fa attraverso le azioni consapevoli ed inconsapevoli di uomini e donne che lo riconoscono.

Simona Giannangeli è l’avvocata del Centro Anti Violenza dell’Aquila che si è costituito parte civile nel processo contro Francesco Tuccia, il militare che era in servizio per il progetto “Strade sicure” ( a proposito delle raccomandazioni sulla “sicurezza” delle donne in strada) e che ridusse in fin di vita una giovane donna all’uscita da una discoteca, lasciandola esanime a terra come una cosa. Accadde lo scorso anno e quattro giorni fa il tribunale dell’Aquila ha emesso la sentenza: Tuccia è stato condannato in primo grado ad otto anni di reclusione.

Dopo la sentenza le minacce all’avvocata che ha trovato un biglietto sul parabrezza della sua auto, con poche righe dove oltre ad insulti (i soliti suvvia) erano rivolte intimidazioni per il suo lavoro al Centro Anti Violenza: “Ti passerà la voglia di difendere le donne… guardati le spalle… questo territorio non è più un posto sicuro per te”. L’associazione nazionale D.i.Re e le donne del centro antiviolenza hanno manifestato solidarietà nei confronti dell’avvocata perché quelle parole sono un fatto gravissimo che rivela come la violenza contro le donne abbia un’origine culturale ed anche ideologica e confermano quello che il movimento delle donne denuncia da anni: la violenza nei confronti di una donna è una violenza nei confronti di tutte le donne, violando il corpo e la dignità di una donna si rivolge un messaggio a tutto il genere femminile e questo messaggio si chiama femminicidio.

Non staremo in silenzio è stata la risposta delle donne dei centri ad una azione nascosta dietro un anonimato vile e ripugnante che non deve essere in alcun modo sottovalutata.


La casa di Silvia sarà data in dono e trasformata in un rifugio per donne maltrattate. Nel l'appartamento al piano terra della palazzina marrone, in piazza Repubblica 2, a Treviglio, provincia di Bergamo, tutto è fermo alla mattina del 12 ottobre 2010: Luigi Marenzi, 51 anni, prese un coltello da cucina e tolse la vita alla moglie Silvia Betti, di 48 anni. ...
"Ti passerà la voglia di difendere le donne. Stai attenta e guardati sempre le spalle, da questo momento questo posto non è più sicuro per te". Con questo biglietto l'avvocata Simona Giannangeli, del centro antiviolenza de L'Aquila, è stata minacciata dopo la sentenza di condanna per Francesco Tuccia. ...

Richiesta chiusura centro antiviolenza

  • Lunedì, 04 Febbraio 2013 14:22 ,
  • Pubblicato in Flash news
04 02 2013

Il 6 dicembre scorso il IV municipio, dove il Centro Donna L.I.S.A. è presente da 15 anni, ha aperto uno sportello antiviolenza e dato in gestione a un'associazione di cui fanno parte quattro persone, 3 uomini e una donna, avvocati, psicologo e psichiatra. L'associazione in questione ha fra i suoi scopi la mediazione familiare, l'esatto contrario del percorso per uscire dalla spirale della violenza praticato da noi e dagli altri centri antiviolenza. .
Non possiamo permettere tutto questo, non possiamo tollerare il disastro che lo sportello, gestito da queste persone e con questi criteri, provocherebbe nella vita delle donne che dovessero rivolgervisi.
Non lasciamo passare sotto silenzio quest'ennesima speculazione sulla pelle delle donne, strumentalizzate, a seconda del momento e del bisogno, per giustificare guerre, varare pacchetti sicurezza e pubblicizzare programmi elettorali.
Abbiamo bisogno della vostra generosità e del vostro tempo, vogliamo infatti rispondere con una nostra massiccia presenza alla discussione sulla richiesta di chiusura di questa struttura che si terrà giovedì 7 febbraio nei locali del IV Municipio a Piazza Sempione dalle 12 alle 15. Saremo li, dentro e fuori, a farci sentire.
Ci conoscete, ci uniscono anni di lotte condivise e tenace resistenza a tutte le strumentalizzazioni sui corpi delle donne. sapete e sappiamo che insieme siamo una forza. Non lasciateci sole.
 

Redattore Sociale
31 01 2013

È un futuro incerto quello che si prospetta per il centro antiviolenza di via Mascherona a Genova, che dal 2008 accoglie centinaia di donne vittime di maltrattamenti fisici e psicologici. Copertura finanziaria garantita solo fino ad aprile. Dal 2009 il centro, unica struttura pubblica di questo genere a Genova, ha preso contatto con 1.102 donne con un’età media di 40 anni, di cui circa la metà di origine straniera

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