Il senso di una spazzola

  • Giovedì, 06 Giugno 2013 07:59 ,
  • Pubblicato in Flash news

Lipperatura
06 06 2013

Vi state affezionando agli interventi di Ivano Porpora? Anche io, dunque vi propongo questo. Comunicazione di servizio: domani niente post, sono a Firenze con Michela Murgia e Adriano Sofri per parlare di “L’ho uccisa perché l’amavo”. Se ci siete, vi vedo volentieri.

Anni fa, tra i vari prodotti che proponevo in giro per gli ospedali - ero area manager nel settore della teleria monouso - c’era il cosiddetto kit di prima accoglienza. Si trattava di un articolo per il ricovero ospedaliero composto solitamente da pigiama usa e getta, spazzolino e dentifricio, pettine o spazzola, ciabatte monouso, assorbente, sapone. Era un oggetto dal costo modesto, racchiuso in un involucro di tessuto non tessuto, e che ci veniva commissionato, con piccoli cambiamenti, per i neodegenti che non avessero di che cambiarsi: senzatetto, prostitute, incidentati - di solito.
Ce ne chiesero tantissimi per il servizio di violenza sessuale - prima a Trieste, poi a Milano, poi di lì in giro. Mi facevano fare un po’ di anticamera di fronte a quello che veniva chiamato asetticamente CVS e scoprii essere Centro Violenza Sessuale; poi dichiaravano - altri tempi - che quell’articolo era indispensabile, che quel po’ che c’era da pagare, magari riducendo un po’ il numero degli articoli interni alla busta, l’avrebbero pagato. Mi raccontavano, a Trieste, di quattro stupri denunciati a settimana - nelle settimane di calma. Mi dicevano, lamentando l’eccessiva composizione del kit perché ne potessero acquistare un numero equo, che, fra gli articoli, uno era assolutamente indispensabile: la spazzola.
La cosa mi colpì, e colpì chi in azienda prese in carico la personalizzazione da me richiesta. Pensavamo fosse indispensabile il pigiama, per coprirsi, o forse uno qualsiasi degli altri articoli per l’igiene personale. L’assorbente, magari. Le ciabatte, piuttosto, per camminare.
Mi dissero invece “Le donne devono recuperare, per prima cosa, il senso di esser donna”.
Era una frase bellissima da sentire, pregna di dolore. Una frase che mi atterriva, ogni volta che la sentivo o la pronunciavo: come se una parte di me capisse finalmente come ci fossero, da qualche altra parte nel mondo - ma una parte di mondo innervata nella mia parte di mondo -, persone che quel senso di esser persone lo avessero perso.
Certo, avevo l’esempio dei bambini dell’Africa, che ci venivano indicati a tavola come mirabili induttori di senso di colpa, ma - lo capii ben presto - si trattava di un esempio estremamente deviato: come pormi responsabile di uno spreco che si era ingenerato non a causa mia ma di chi mi aveva messo nel piatto ben più di quanto potessi o volessi mangiare?
Il ricordo della spazzola mi è venuto in mente qualche giorno fa, rivedendo, in occasione della morte di Franca Rame, il monologo che tenne a Fantastico 1988 sullo stupro. Monologo inquietante e che, a ben vedere, pare quasi mettere in secondo piano la vicenda dello stupro in sé - ossia: la violenza carnale che viene effettuata da parte di un individuo, solitamente uomo, ai danni di un altro individuo, solitamente donna.
La Rame spersonalizza la fase della violenza, come si dice avvenga: parla di un corpo che non è il suo, di alienazione. Come quella paziente di Oliver Sacks che sogna di staccarsi dal proprio corpo e il giorno dopo il rapporto col proprio corpo lo perde davvero. Insiste la Rame, invece, sugli altri segni di violenza: le sigarette spente addosso, il taglio che viene effettuato al golf e di lì alla pelle per 21 centimetri, e addirittura concede attenzione a segnali di origine ambientale - il monologo inizia con “C’è una radio che suona”.
C’è quello che si lamenta che tutti hanno avuto il loro turno e lui no.
In questa opera di infangamento, un’opera in cui uno tiene fermo e che si compie a turno, uno di loro - quello che appunto mantiene ferma la vittima - si lamenta che tutti abbiano avuto il loro turno e lui no.
Come ogni atto pregno, si scatena qui una ridda di significati, che non riguardano solo il durante (tutti hanno avuto il loro turno, lui no) ma il poi (di cui si parla pochissimo).
Quanto tempo ci metterà lei, poi, a pensare di poter fare l’amore col proprio compagno? A pensare di potersi far toccare dal proprio compagno, e a pensare di poterlo toccare? E a pensare di poter toccare un estraneo, e poter farsi toccare da lui? Cosa penserà quando le brucerà far la pipì? Come cambieranno i suoi rapporti di fiducia con qualsiasi uomo? Quanta fiducia avrà in se stessa, sapendo che ciò che è accaduto si è basato su un atto di forza che potrebbe ripetersi in presenza di una forza ancora superiore alla sua? Quanto riuscirà lei a sostenere la possibilità di non esser creduta - il dubbio insinuante che in qualche modo se la sia cercata?
A un certo punto del filmato, attorno ai 9’15” nel link postato, l’attrice si lamenta del dolore ai capelli. “Me li tiravano per tenermi ferma la testa” dice (il testo è qui).
Non è il monologo della Rame l’unico documento artistico che concede rilievo allo stupro. Mi vengono in mente, così su due piedi, “Arancia meccanica” di Stanley Kubrick, “La ciociara” di Vittorio De Sica, “La pelle che abito” di Pedro Almodóvar, “Irréversible” di Gaspar Noé, “Baise-moi” di Virginie Despentes, “Kill Bill 1” di Quentin Tarantino, “Magdalene” di Peter Mullan, “Lila dice” di Ziad Doueiri e la canzone di Luca Barbarossa “L’amore rubato”.
Ma quando ho sentito di quel dolore, di quel dolore ai capelli, e mi son figurato il corpo della vittima, il suo vagare per la città e la paura di denunciare, ho capito, in un modo mio particolare, il senso di una spazzola.

 

Violata, i complottisti e le pari opportunità

  • Mercoledì, 05 Giugno 2013 07:47 ,
  • Pubblicato in Flash news

Lipperatura
05 06 2013

Ricordate Violata? Ma sì, dai, la statua “contro la violenza sulle donne” che però prima si chiamava “Donna con borsetta”? Ma sì, dai, quella piazzata a tempo di record e di campagna elettorale in uno slargo di Ancona con tanto di targhetta sempre contro la violenza, e naturalmente acquisita dietro compenso di 17.000 euro senza bando, senza commissione, alé. Ma sì, dai, quella che si è conquistata il disappunto di cittadini noti e meno noti di tutta Italia, subito tacciati di moralismo-bigottismo-velleità censorie perché avevano detto che non è con un paio di tette e di chiappe turchine che emergono dal vestito stracciato da ignoto stupratore (accortissimo a stracciare nei punti giusti) che si invita al rispetto e si combatte la violenza. Ma sì, dai, quella voluta dalle consigliere delle pari opportunità della Regione Marche, tutte contente perché avevano fatto una bella figura all’inaugurazione, sorde a ogni contestazione (salvo dire che chi contestava era in malafede, fuori di testa, in complotto con oscurissimi avversari politici).
Violata, dai.
Non la ricordate? Fate in tempo a rinfrescarvi la memoria: Violata è sempre al suo posto, nonostante che i centri antiviolenza e un’infinità di scrittrici e scrittori, pensatrici e pensatori, abbiano detto che è una vergogna. Non solo: con toni alquanto schifiltosi, alle promotrici della petizione ha risposto la Consigliera di parità per la Regione Marche, e la risposta si commenta, credo, da sola.
Che si fa? Si continua a protestare. Perché questa storia, che è ben lungi dall’essere solo un episodio di provincia, dimostra che, mie care e miei cari, il ruolo e soprattutto le nomine delle consigliere di parità vanno ripensati: perché non c’è niente di peggio che essere rappresentate da chi alla rappresentazione medesima antepone ambizione politica e strategie di partito. Oggi Violata, domani chissà.

"Una zona rossa ovunque si trovi è una questione nazionale". La macchina fotografica si posa subito su un gigantesco arazzo colorato e ricamato sospeso sulle pareti di piazza del Duomo di l'Aquila. ...

Il Fatto Quotidiano
22 05 2013

La sera del 19 maggio qualcuno ha cercato di introdursi nella sede del centro anti-violenza ‘Artemisia’ di Firenze e non riuscendovi ha dato alle fiamme una porta finestra. Il pericolo di incendio è stato scongiurato dall’intervento di una operatrice che stava cominciando il turno di reperibilità.

Da tempo le operatrici di ‘Artemisia’ ricevono ingiurie, minacce di violenza e di morte. Il centro anti-violenza fiorentino era stato preso di mira anche sul web ricevendo invettive violente e intimidazioni da gruppi misogini. Artemisia non è però l’unico caso. Altri centri hanno ricevuto minacce e subito atti vandalici.

In passato il centro anti-violenza ‘Linea rosa’ di Ravenna e la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna subirono effrazioni nella loro sede e atti vandalici. Due anni fa una volontaria di ‘Demetra’ venne minacciata di essere uccisa e buttata in un sacco dell’immondizia: “So chi sei e dove abiti”, le disse l’ex compagno di una donna che aveva denunciato le violenze subite. Ma l’episodio più grave risale all’ottobre del 2007, quando, nel tribunale di Reggio Emilia, Giovanna Fava, allora presidente e avvocata del centro anti-violenza ‘Nondasola‘, viene ferita mentre patrocinava in tribunale la causa di una donna vittima di violenza. L’ex marito, accusato di maltrattamenti nei confronti della moglie, durante l’udienza le spara e poi uccide la moglie stessa e il cognato. E ancora, le minacce alla legale del centro anti-violenza ’Le melusine‘ di L’Aquila dopo un processo per stupro.

Quanto è accaduto ad Artemisia e agli altri centri deve tenere alta l’attenzione delle istituzioni perché le operatrici dei centri, oltre a operare in difficoltà per gli scarsi aiuti ricevuti da parte di tutti i governi che si sono succeduti, sono esposte a rischi continui.

Le risposte della politica continuano a sembrare inappropriate o demagogiche. Preoccupa sentir parlare di task force e braccialetti anti-stalking da parte dei ministri della Repubblica e delude la scelta della titolare delle Pari opportunità Iosefa Idem di incontrare, il 22 maggio, decine di associazioni impegnate nel contrasto alla violenza di genere e alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale. Una riunione fiume che durerà dalle 9 alle 17 in cui ogni associazione avrà cinque minuti di tempo per presentare richieste ed esporre criticità. Cinque minuti! Le risposte politiche continueranno a essere inadeguate se i problemi non saranno affrontati nel rispetto delle differenti specificità e con interventi mirati. E quali specificità è possibile ascoltare e comprendere in cinque minuti? Inoltre il rinnovo del Piano nazionale anti-violenza è ancora in alto mare. La politica è latitante anche per contrastare il degrado culturale che stiamo vivendo in Italia, con rigurgiti di razzismo, fondamentalismo cattolico, sessismo e misoginia.

Il problema della violenza contro le donne viene trattato ancora da troppi intellettuali (che avrebbero la responsabilità di sensibilizzare e far riflettere l’opinione pubblica), come qualcosa che riguarda patologie o emarginazione sociale. Quante volte abbiamo letto che il problema della cultura del femminicidio in Italia è enfatizzato? C’è ancora chi nega l’impatto culturale di linguaggio e immagini violente e umilianti nei confronti delle donne, purtroppo molto utilizzate dai mass media e dalla pubblicità. E c’è ancora chi normalizza il femminicidio, tacciando chi ne parla di “bigottismo” e “moralismo”: due paroline magiche per rimuovere il problema.

di Nadia Somma

Il Paese delle donne
22 05 2013

L’associazione nazionale D.i.Re - Donne in Rete contro la Violenza, condanna il gravissimo atto di intimidazione e vandalismo, avvenuto domenica 19 maggio, nella sede del Centro Antiviolenza Artemisia, ed esprime preoccupazione per l’innalzamento del livello di intolleranza e violenza nei confronti delle donne. Alle volontarie e alle operatrici di Artemisia, i 63 Centri antiviolenza associati a D.i.Re, esprimono la loro solidarieta’.
L’episodio e’ avvenuto domenica mattina, quando degli ignoti hanno tentato di introdursi nella sede di Artemisia, forzando alcune finestre.
Non riuscendovi hanno appiccato il fuoco ad una porta.
Da tempo il centro antiviolenza Artemisia e’ oggetto di minacce, anche sul web, da parte di gruppi di uomini che inneggiano alla violenza contro le donne e le associazioni femministe.
Questo grave episodio non è isolato perché non è la prima volta che avvengono azioni di intimidazione nei confronti di un centro antiviolenza. E’ necessario riflettere sui rischi a cui sono esposte le operatrici che quotidianamente svolgono le attivita’ di sostegno alle donne vittime di violenza.
E’ quanto mai necessario che le istituzioni siano vicine alle donne dei centri che non devono essere lasciate sole a fronteggiare sia il problema della violenza maschile contro le donne che il degrado culturale che esprime una misoginia sempre piu’ profonda e radicale e che sta pericolosamente alzando il livello di violenza.

D.i.Re Donne in Rete contro la violenza

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