Corriere della Sera
01 09 2014
Triplicati i decessi a causa di overdose: 420 morti nel 2013. L’eroina è sempre più una droga per ricchi. La Grande Mela epicentro del traffico e del consumo di droga
di Emanuela Di Pasqua
Quattrocentoventi persone decedute per overdose: mai state così tante le morti per eroina dal 2003 a New York. L’eroina, la droga vintage per antonomasia, è tornata. Soprattutto nella Grande Mela, ma non solo. Sempre meno siringhe e sempre più sniffi o pillole, sempre meno poveri e sempre più ricchi. Ha un nuovo volto, ma sempre pericoloso e forse ancora più insidioso. Mentre i trafiletti sui morti per overdose aumentano ovunque. E soprattutto a New York.
Allarme datato
L’allarme era già scattato in passato: l’eroina, da droga degli anni Settanta, sta tornando a mietere vittime. Consumata e declinata in maniera differente rispetto al periodo del flower power è ritornata prepotentemente in tutto il mondo, Italia compresa. E se nel resto del pianeta si parla di allarme, negli States si parla addirittura dell’esistenza di un’epidemia, il cui epicentro è New York City. Il New York Times denuncia infatti un aumento vertiginoso di morti per eroina nella Grande Mela e in particolare nella zona di State Island, uno dei borough più verdi della Grande Mela che vanta anche la collina residenziale di Fort Hill. Solo quest’anno i decessi a causa di overdose sono triplicati rispetto ai tre anni precedenti e, dal 2003, il 2013 è stato sicuramente l’anno peggiore. L’altro dato che emerge è che si tratta sempre di più di una droga per ricchi e che dai sobborghi della metropoli si è spostata sempre più nei quartieri bene e tra la gente bianca.
La East Coast
New York City - a detta delle autorità di polizia - si conferma infatti l’epicentro per la distribuzione di eroina su larga scala, mercato primario dei cartelli messicani della droga, e trova un enorme bacino di nuovi consumatori che fruiscono di brown sugar e delle sue varianti con modalità differenti rispetto al picco che si registrò quarant’anni fa. Se un tempo c’era il buco oggi la si sniffa, la si brucia per inalarne i vapori (chasing the dragon) o la si fuma, mischiandola poi sapientemente in cocktail fantasiosi quanto pericolosi. In tutti i casi il volume di eroina sequestrato nella città New York nei primi mesi del 2014 è tornato su livelli che non si vedevano dal 1991, superando l’ammontare complessivo confiscato in tutto il 2013.
I grandi fornitori e la roba di qualità
Negli Stati Uniti infatti si parla di vera e propria epidemia, soprattutto nella costa atlantica e di conseguenza a New York. Gli esperti ammettono di aver un po’ dimenticato l’eroina, impegnati com’erano a sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli della cocaina o delle nuove droghe. Intanto, negli anni Novanta, Colombia e Messico, i due grandi fornitori degli Stati Uniti, cominciarono a produrre eroina di alta qualità e il suo uso prese quota mano a mano raggiungendo un picco proprio negli ultimi anni e trasformando la Grande Mela nella porta di ingresso principale. Da lì si diffonde poi nel Connecticut, Massachusetts e Vermont, tutti luoghi ormai nella morsa dell’eroina, i cui prezzi aumentano in maniera galoppante salendo verso nord. Andrew Kolodny, specializzato nel trattamento delle dipendenze, e dirigente del centro sulle droghe al Phoenix House Foundation, propone una profilazione del consumatore medio, completamente mutato rispetto al passato, apparentemente più in grado di gestirsi nella sua dipendenza, ma altrettanto a rischio come dimostrano i dati sulle morti.
L’altro aspetto della dipendenza
Un altro lato di questa nuova addiction da eroina è rappresentato poi dalle pillole, ovvero da medicinali come morfina e ossicodone, oppiacei in grado di contrastare il dolore. La dipendenza dall’oppio talvolta inizia infatti proprio dagli antidolorifici prescritti con disinvoltura dai medici e che approdano innocentemente negli armadietti medicinali di casa. Ed è così che l’eroina viene sdoganata e consumata in modo alternativo ma altrettanto rischioso. Le previsioni future sono purtroppo ancora peggiori. Con l’aumento della domanda si moltiplicano anche le opportunità di guadagno e l’indotto economico, rendendo il mercato dell’eroina in forte espansione.
Corriere della Sera
14 07 2014
Il Rapporto annuale dell’Osservatorio nazionale fotografa una situazione preoccupante. Secondo gli esperti aumentare il costo è la più efficace misura di contrasto
di Vera Martinella
In Italia fuma più di un adolescente su cinque: nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni consuma abitualmente tabacco il 22 per cento dei ragazzi. In media i ragazzi iniziano a fumare intorno ai 17 anni, ma il 13 per cento dei fumatori ha cominciato prima dei 15 anni. Infatti, la maggior parte dei nostri connazionali (72,4 per cento) dichiara d’aver acceso la prima sigaretta tra i 15 e 20 anni. Il motivo? Nella maggioranza dei casi l’influenza di amici e compagni. Oltre alle sigarette classiche, oggi i giovani consumano molto quelle «fatte a mano», che si confezionano da soli usando il più economico tabacco trinciato, la cui vendita, infatti, è in aumento, addirittura raddoppiata nell’ultimo anno. «È prima di tutto una preferenza economica, perché il prezzo del tabacco trinciato per fare 20 sigarette (mediamente 2,7 euro) è più basso anche rispetto alle sigarette più economiche oggi sul mercato (3,9 euro) - spiega Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio fumo alcol e droga dell’Istituto Superiore di Sanità , che costantemente analizza i dati per il Rapporto sul fumo in Italia elaborato ogni anno -. Poi, rollare il tabacco è ora anche una questione di “moda”».
I 15-24enni fumano mediamente 10 sigarette al giorno, ma circa un terzo dei ragazzi (il 28 per cento) ammette di accenderne tra le 15 e le 24 nell’arco delle 24 ore. «E c’è di peggio - dice Pacifici -. Confrontando i dati di quest’anno con quelli del 2013, appare chiaro che i nostri ragazzi fumano sempre di più. È addirittura comparso un “gruppo” mai visto finora: un 1,3 per cento di intervistati che dichiara di superare le 25 sigarette al giorno». Nel Rapporto di quest’anno (realizzato tramite un’indagine DOXA, effettuata per conto dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri) c’è però anche la conferma di «un grande classico» quando si vanno ad indagare le motivazioni che portano a iniziare a fumare: tutto ruota infatti intorno ai coetanei. Quasi il 60 per cento degli interpellati dice di essere stato influenzato da amici o da compagni di scuola, di aver iniziato alle feste, di essersi lasciato tentare da altri ragazzi che già fumavano. In seconda posizione (17 per cento delle risposte) c’è un più semplice: «Ho provato e mi piaceva». Seguono: il desiderio di sentirsi più grande, l’influenza di familiari tabagisti o quella di un partner. Scattata la fotografia che inquadra la realtà, peraltro da parecchi anni con pochi e minimi miglioramenti o peggioramenti, non resta che chiedersi che cosa si può fare.
Gli esperti di tutti i Paesi concordano sulla proposta dell’Organizzazione Mondiale di Sanità: aumentare il prezzo del tabacco è il più significativo intervento per scoraggiare l’iniziazione nei giovani. «Secondo le stime diffuse dall’Oms - commenta Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano - soltanto l’otto per cento della popolazione mondiale vive in Paesi con una tassazione sufficientemente alta da scoraggiare il consumo di sigarette e sigari. L’Italia su questo fronte è indietro: siamo al 15esimo posto in Europa, ancora più in basso sul trinciato». «Il nostro Stato è riluttante e ambiguo - prosegue Garattini - perché, se diminuisce il consumo di tabacco, si riducono gli introiti del Monopolio. Certo, se lo Stato aumentasse di un euro il pacchetto di sigarette, calerebbero le vendite, ma le stime indicano che ci sarebbero in ogni caso introiti cospicui, derivanti dal prezzo più alto. Senza considerare quanto si risparmierebbe, sul fronte del Servizio sanitario nazionale, con il numero minore di malattie dovute al tabacco da curare se le persone smettessero o non iniziassero proprio a fumare».
«Bisogna poi lavorare sulla pubblicità indiretta - aggiunge Roberta Pacifici -. Nel Rapporto di quest’anno abbiamo segnalato che l’11,8 per cento della popolazione di età superiore ai 15 anni ha visto su internet oppure ha ricevuto via e-mail la pubblicità di sigarette o la proposta di acquisto. Inoltre, abbiamo riportato un recente studio pubblicato nel libro “Cenere di stelle. Cinema fumo e adolescenti” (di Altomare e Galetta, due medici appassionati di cinema) che ha analizzato oltre 160 film tra i migliori usciti l’anno scorso. Nel 60 per cento delle pellicole c’erano immagini in cui si fumavano sigarette, con una frequenza di 15 scene ogni ora (negli anni Cinquanta la frequenza era di 10 ogni ora)». «La nostra proposta, dunque - aggiunge l’esperta -, è quella d’introdurre regole più severe che limitino l’accesso di bambini e adolescenti a film che contengono non solo scene di violenza o sesso, ma anche scene di fumo pretestuose o ingiustificate. Anzi, sarebbe opportuno inserire spot antifumo che, allo stesso modo di quelli antipirateria, precedano l’inizio di film valutati come troppo “indulgenti” nei confronti del tabacco».
Ultimo, ma non meno importante: bisogna investire di più in educazione e campagne d’informazione sui danni del tabacco, andando a coinvolgere già i bambini delle elementari. È stato dimostrato infatti che intervenire precocemente è molto efficace, visto che gli “anticorpi” verso comportamenti insalubri si formano nei primi dieci anni di vita. Senza dimenticare, ancora, progetti come «Non fare autogol», promosso dall’Associazione italiana di oncologia medica: un tour a tappe nelle scuole superiori italiane che, sfruttando il fascino positivo di calciatori di serie A, punta a fornire un esempio positivo e a far conoscere ai giovanissimi l’importanza di uno stile di vita sano. All’insegna dell’intramontabile motto «prevenire è meglio che curare». Perché è più semplice spiegare a un bambino o a un ragazzino i danni del fumo e convincerlo a non accendersi mai la prima sigaretta, piuttosto che persuadere, poi, un giovane o un adulto a smettere.