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Il gene dello scommettitore, poker e roulette nel dna

  • Lunedì, 23 Giugno 2014 13:36 ,
  • Pubblicato in Flash news

Pagina99
23 06 2014

ELEONORA DEGANO

Secondo due tra i più recenti studi italiani le classi sociali più colpite sono quelle più fragili, come adolescenti e anziani. Inoltre è dimostrato che la tendenza all'azzardo può essere ereditaria

Qualche volta l'anno, qualche volta al mese, più volte a settimana. Qualunque sia la frequenza, il vortice del gioco d'azzardo coinvolge un numero di persone sempre maggiore, nutrendosi di precariato e povertà e ingigantendo un mercato che non conosce crisi. Secondo due tra i più recenti studi italiani, l'Espad 2013 dell'Ifc-Cnr (Istituto di Fisiologia Clinica del Centro Nazionale delle Ricerche) e l'indagine Anziani e azzardo di Auser, Gruppo Abele, Coop Piemonte e Libera, le classi sociali più colpite sono quelle più fragili, come adolescenti e anziani.

I primi, secondo i dati del rapporto, si avvicinano al gioco d'azzardo favoriti da computer o applicazioni per smartphone e tablet. I secondi, invece, trascorrono quantità di tempo preoccupanti tra ricevitorie, tabaccherie e bar: dai risultati emersi da 864 questionari, il 70,7% dei partecipanti (tutti over 65) aveva giocato d'azzardo almeno una volta nell'anno precedente. Il fenomeno non sembra voler fare marcia indietro, anzi, ormai da tempo suscita l'interesse della scienza, che ha iniziato a indagarne le possibili basi genetiche. Da un recente studio pubblicato su PNAS, infatti, è emersa una scoperta interessante: sono 12 i geni coinvolti nella regolazione della dopamina che intervengono nei meccanismi cerebrali legati al gioco d'azzardo.

Le decisioni prese, la fiducia accordata agli avversari, la capacità di prevederne le mosse e via dicendo, tutti questi elementi sono influenzati, in parte, da una componente genetica. Non è comunque la prima volta che viene identificato questo tipo di connessione: precedenti ricerche avevano già sottolineato il ruolo svolto dai geni nel comportamento antisociale e nella criminalità. La dopamina è un neurotrasmettitore, una sostanza chimica rilasciata dai neuroni, e svolge un ruolo chiave nel sistema del cervello deputato alla ricerca del piacere e alla ricompensa. Finora la ricerca scientifica si era concentrata sul ruolo che questo neurotrasmettitore svolge nell'ambito delle interazioni sociali, estendendo le possibili implicazioni anche alla sfera della ricerca sull'autismo.

Per la prima volta, tuttavia, gli scienziati hanno collegato questo aspetto ai geni specifici che ne regolano il funzionamento. Come spiega il leader della ricerca, Ming Hsu della UC Berkeley's Haas School of Business, “lo studio dimostra che i geni influenzano i comportamenti sociali complessi, in questo caso quello strategico. Si tratta di importanti indizi riguardo al meccanismo neurale attraverso il quale i geni intervengono sul nostro modo di agire”. Già due anni fa il team di Hsu aveva scoperto che quando le persone si ingaggiano in interazioni sociali competitive, come le scommesse, vengono coinvolte due particolari aree del cervello. Si tratta della corteccia prefrontale mediale e del corpo striato, che regola la motivazione e svolge un ruolo cruciale nell'apprendimento volto a ottenere risultati e ricompense. Grazie a tecniche di risonanza magnetica funzionale, durante l'ultimo studio gli scienziati hanno confermato un'intensa attività in queste aree durante il gioco d'azzardo. “Pensando al cervello come a un calcolatore, queste sono le aree che ricevono gli input, li convertono in un algoritmo e li traducono in output comportamentali”, spiega Hsu. “La cosa più interessante di queste zone è che sono entrambe innervate da neuroni che usano la dopamina”.

Gli scienziati hanno studiato un gruppo di 217 studenti della National University di Singapore, individuando nel loro genoma 700.000 varianti genetiche. Tra queste, si sono concentrati su 143 in particolare, che riguardavano solamente 12 geni regolatori della dopamina. Hanno poi fatto competere i ragazzi in un esperimento al computer che prende il nome di patent race, in cui dovevano fare scommesse sfidando un avversario anonimo. Osservando l'attività cerebrale degli studenti mentre giocavano, hanno scoperto che tutti i comportamenti legati all'azzardo erano regolati dall'attività di alcuni di questi geni: tre coinvolti nell'anticipazione delle mosse dell'avversario e nel pensiero strategico, due legati all'apprendimento per prove ed errori (la rapidità con cui si dimenticano le esperienze passate e si cambia strategia) e così via. I risultati non stupiscono, e si affiancano alla crescente letteratura scientifica sull'argomento: un altro recente studio, pubblicato su The Journal of Clinical Psychiatry, ha scoperto come in una famiglia in cui ci sono giocatori le probabilità che la dipendenza si ripresenti nelle future generazioni sono otto volte più elevate rispetto a una famiglia in cui l'attitudine al gioco non è presente.

L'Espresso
09 06 2014

Un rapporto di coppia poco soddisfacente. Una ricerca di svaghi virtuali più assidua. Cyber Sex. Film porno. E poi il baratro. Non riuscire più a smettere. E perdere il controllo. Un 'sex addict' racconta la sua storia

DI ANGELA VITALIANO

“In fondo, cercavo solo una “distrazione” che mi permettesse di non tradire mia moglie, invece ho trovato l’inferno”. Parte da una conclusione e da una raccomandazione, che mi farà più volte durante l’intervista: non rivelare il suo nome. Come se un Charlie o un Michael, negli Stati Uniti, fossero facilmente riconoscibili anche solo fra quei 16 milioni che, secondo statistiche sicuramente non esaustive, sono “sex addict” dichiarati e in cerca di aiuto. Gli dico che il nome può sceglierlo lui e che io voglio solo ascoltare la sua storia per poterla raccontare. Steve, questo il nome che sceglie, mi ha chiamato per la prima volta dopo che un suo amico ha acconsentito a metterci in contatto. Ovviamente, il suo numero è schermato e la prima telefonata serve solo a presentarci brevemente. Si comprende subito la sua difficoltà a parlare, a raccontarsi senza essere sopraffatto da quel senso di vergogna che lo accompagna da un po'. Allo stesso tempo, però, ha voglia di fare qualcosa che gli faccia pensare che quel periodo, quello della sua “dipendenza”, è ormai alle spalle e, dunque, può essere condiviso. “Anche per aiutare altri – mi dice – perché è spesso difficile comprendere che il “sesso” sta diventando un problema, almeno finché non è troppo tardi”.

La prima volta che nel paese si è cominciato a parlare, in maniera “scientifica” di dipendenza sessuale è stato nel 1983 quando la Hazelden Foundation, un’organizzazione con sede in Minnesota, pubblicò un libro, ancora in circolazione, dal titolo “Out of the Shadows: Understanding Sexual Addictions”, scritto da Patrick Carnes il quale spiega che la dipendenza dal sesso funziona esattamente come tutte le altre, favorendo dei comportamenti compulsivi che poi, nel tempo, hanno conseguenze molto serie nella vita quotidiana dei soggetti malati.

“Ero sposato da 15 anni – dice Steve – e non avevo mai tradito mia moglie. La nostra era una vita “serena”, caratterizzata da una relazione consolidata, un figlio e una bella casa. Il mio lavoro, poi, nella finanza, mi teneva molto impegnato e mi dava anche delle discrete soddisfazioni. Solo il sesso, con mia moglie, era diventato sempre piu raro, troppo raro rispetto ai miei bisogni”. Steve, dunque, ricorre al “rimedio” più semplice e diffuso: la pornografia. “Era una “scappatoia” innocente – racconta – che mi consentiva di dare sfogo alle mie pulsioni sessuali senza, però, tradire mia moglie: punto che per me era fondamentale”.


Internet e la gratuità di molti siti, negli anni, hanno reso la fuga verso il porno sempre più immediata e senza troppi ostacoli. “In pochi mesi, guardare film – continua Steve – era diventata una necessità incontrollabile e, di conseguenza, anche la masturbazione. Non andavo in ufficio senza aver prima visto qualche spezzone di film e consumato il primo orgasmo della giornata e continuavo a ritmi che diventavano sempre più incontrollabili. Persino in ufficio, concentrarmi era diventato difficile e le mie “fughe” in bagno sempre più frequenti”.


Come per ogni altra dipendenza, anche quella sessuale non viene riconosciuta come un pericolo e l’addict ripete a sè stesso, come una cantilena, che potrebbe smettere in ogni momento. “Ci si prende in giro, magari smettendo per qualche giorno, quando ancora è possibile, solo per dimostrare a se stessi di esserne capaci – conferma Steve – ma poi il “richiamo” è troppo forte e si cede senza nemmeno opporsi più di tanto”.


Quando il porno e la masturbazione, però, non bastano più, allora si comincia a diventare più “audaci”, cercando delle donne vere con le quali relazionarsi. “All’inizio – racconta – mi sono limitato al sesso virtuale; cercavo donne che vivessero lontano da me, perché ancora non mi sentivo pronto a tradire mia moglie, ma i film da soli non bastavano più. Con tutte davo sfogo a fantasie che non avevo mai sperimentato e della loro vita reale non mi importava nulla, non mi chiedevo nemmeno se il nome o l’età che mi dicevano di avere fossero reali”.


Uno dei sintomi della dipendenza sessuale sta, infatti, proprio nel considerare i partner solo degli oggetti di consumo e mai come delle persone con cui stabilire una situazione “intima”. “Quando mia moglie, insospettita dal mio cambiamento – racconta ancora Steve – ha scoperto tutto per me è stato dolorosissimo comprendere il male che le avevo fatto e anche separarmi da mio figlio. Ho provato, perciò, a cambiare, smettendola con la pornografia e frequentando una donna in maniera “regolare”. Con lei, però, non riuscivo a sentire nessuna intimità e, quindi, in breve, ho cominciato a considerarla come le donne che incontravo online: un semplice oggetto di consumo”.

Naturalmente, con il “fallimento” del tentativo relazionale, il ritorno al porno e al cyber sex è inevitabile; solo che ora gli stimoli devono essere sempre più intensi e, dunque, le amanti “virtuali” vengono sostituite da amanti reali, incontrate tramite annunci su siti per appuntamenti. “Ero un “consumatore” compulsivo e non me ne rendevo conto – dice – ma il mio lavoro aveva cominciato a risentirne e prendevo sempre più giorni di ferie per poter restare a casa a guardare porno per ore. A quel punto ero malato ma ancora non pronto ad ammetterlo”.

Un giorno, poi, mentre Steve sta andando a prendere suo figlio a scuola, in metropolitana adocchia una donna: si guardano e quando lei scende lui la segue fino a casa dove fanno sesso. “Mio figlio era uscito dalla mia mente completamente – confessa – e quando ho trovato tutte le sue chiamate sul cellulare mi sono sentito veramente un fallito”.

Da qualche mese, Steve frequenta gli incontri dei SAA, Sexual Addict Anonymous, e ha, finalmente, capito la gravità della sua dipendenza. “Come per gli alcolisti o i tossicodipendenti – dice – anche io devo stare “lontano” dalla fonte di dipendenza: niente porno, niente masturbazione e niente incontri casuali. è difficile. Una delle cose più difficili che abbia dovuto fare, ma sono determinato a uscirne fuori. Soprattutto per mio figlio, ma anche per me che, nonostante tutto, sento di aver diritto alla felicità come tutti”.

Ambasciatrice involontaria dell`estetizzazione dell' alcol è stata Jacqueline Kennedy. Nel 1962, la televisione trasmise un tour nella Casa Bianca e milioni di cittadini americani rimasero colpiti dalla presenza di due calici di vino sulla tavola presidenziale. ...

Quando l'euforia diventa furore

  • Martedì, 13 Maggio 2014 07:05 ,
  • Pubblicato in Dossier
Il Fatto Quotidiano
12 maggio 2014

Non è solo un problema di violenza fisica, ma anche psicologica e sessuale. Nelle varie fasi dell'ubriacatura, quella dell'aggressività è una costante. Ma che cosa scatena il più delle volte questo tipo di aggressione? I motivi possono essere diversi, e non tutti sempre così chiari. ...
Dunque, con il tempo e gli studi, siamo riusciti a dimostrare che oltre a essere la terza causa di morte, la causa principale di incidenti stradali e quella di cirrosi epatiche, l'alcol è anche una delle principali cause del tumore al seno. ...

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