Huffington Post
25 07 2014
Fumo, morì di cancro al polmone: 1 milione di risarcimento ai familiari. Tribunale di Milano condanna ex Monopoli di Stato
E' stato stroncato da un tumore ai polmoni a 64 anni dopo aver fumato, in una quarantina di anni, un milione di sigarette, in media un pacchetto e mezzo al giorno. Ora, a distanza di 10 anni dalla sua morte, il Tribunale civile di Milano ha condannato la British American Tobacco s.p.a. (già Ente Tabacchi spa) a versare poco meno di un milione di euro, compresi gli interessi, le spese legali e finanche il costo del funerale, alla moglie e ai tre figli.
Lo ha deciso il giudice Stefania Illarietti con una sentenza depositata nei giorni scorsi in cui ha riconosciuto ai familiari di un impiegato milanese, assistiti dagli avvocati Carlo Gasparro e Angelo Cardarella, il maxi-risarcimento. Il verdetto - che è immediatamente esecutivo ma di certo verrà impugnato - anche se è ben lontano dal quantificare il danno record di oltre 23 miliardi di dollari stabilito di recente negli Stati Uniti - secondo uno dei due legali, "è un provvedimento pilota che farà discutere".
Il giudice nella sua decisione si è basato innanzitutto su una sentenza con cui nel 2009 la Cassazione aveva stabilito che l'"attività di commercializzazione e produzione" di sigarette è "pericolosa" e che "la pretesa conoscenza" del rischio e della pericolosità stessa non escludeva "la configurabilità della responsabilità del produttore".
A ciò si è aggiunta la consulenza tecnica disposta dal Tribunale con la quale è stato accertato che l'uomo, che fumava da quando aveva 15 anni circa 30 sigarette al giorno, è morto nel novembre 2004 dopo che gli era stato diagnosticato un "carcinoma primitivamente polmonare" causato dal fumo. "Deve per tanto ritenersi sussistente il nesso causale - si legge nel provvedimento del giudice Illarietti - tra l'attività di tabagista (...) e la neoplasia polmonare (...)" insorta e che "la durata di esposizione al fumo è il fattore più rilevante nel definire il rischio individuale di un carcinoma broncogeno".
Il magistrato ha inoltre preso in considerazione il fatto che solo nel 1991, quando è diventato obbligatorio per legge, sui pacchetti di sigarette sono apparse le scritte, e al loro interno i foglietti 'illustrativi', con l'avvertenza dei danni provocati dal fumo e del "rischio cancerogeno". Dato questo che, incrociato con la letteratura scientifica sui cui si sono basati i periti, hanno portato il giudice a ritenere che, in relazione al rischio di sviluppare un tumore ai polmoni, in questo caso, "i 26-27 anni in cui" l'uomo "ebbe a fumare prima dell'entrata in vigore della norma sono molto più rilevanti dei 13-14 anni del periodo successivo" e, quindi, "che il ruolo dei primi 26-27 anni di esposizione (al fumo, ndr) è circa 20 volte più rilevante rispetto a quello dei successivi 13-14 anni".
Considerazioni queste che hanno condotto il Tribunale a sostenere che "non può dubitarsi del nesso causale fra l'attività di assunzione di tabacco messa in opera prima del 1991 e l'evento morte" alla quale l'uomo ha concorso "nella misura che si stima nel 20 per cento" in quanto non ha mai smesso di fumare, nemmeno dopo l'entrata in vigore della normativa che ha imposto ai produttori e ai distributori una corretta informazione dei danni provocati dal fumo.
Francesca Brunati
Corriere della Sera
14 07 2014
Il Rapporto annuale dell’Osservatorio nazionale fotografa una situazione preoccupante. Secondo gli esperti aumentare il costo è la più efficace misura di contrasto
di Vera Martinella
In Italia fuma più di un adolescente su cinque: nella fascia d’età tra i 15 e i 24 anni consuma abitualmente tabacco il 22 per cento dei ragazzi. In media i ragazzi iniziano a fumare intorno ai 17 anni, ma il 13 per cento dei fumatori ha cominciato prima dei 15 anni. Infatti, la maggior parte dei nostri connazionali (72,4 per cento) dichiara d’aver acceso la prima sigaretta tra i 15 e 20 anni. Il motivo? Nella maggioranza dei casi l’influenza di amici e compagni. Oltre alle sigarette classiche, oggi i giovani consumano molto quelle «fatte a mano», che si confezionano da soli usando il più economico tabacco trinciato, la cui vendita, infatti, è in aumento, addirittura raddoppiata nell’ultimo anno. «È prima di tutto una preferenza economica, perché il prezzo del tabacco trinciato per fare 20 sigarette (mediamente 2,7 euro) è più basso anche rispetto alle sigarette più economiche oggi sul mercato (3,9 euro) - spiega Roberta Pacifici, direttore dell’Osservatorio fumo alcol e droga dell’Istituto Superiore di Sanità , che costantemente analizza i dati per il Rapporto sul fumo in Italia elaborato ogni anno -. Poi, rollare il tabacco è ora anche una questione di “moda”».
I 15-24enni fumano mediamente 10 sigarette al giorno, ma circa un terzo dei ragazzi (il 28 per cento) ammette di accenderne tra le 15 e le 24 nell’arco delle 24 ore. «E c’è di peggio - dice Pacifici -. Confrontando i dati di quest’anno con quelli del 2013, appare chiaro che i nostri ragazzi fumano sempre di più. È addirittura comparso un “gruppo” mai visto finora: un 1,3 per cento di intervistati che dichiara di superare le 25 sigarette al giorno». Nel Rapporto di quest’anno (realizzato tramite un’indagine DOXA, effettuata per conto dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri) c’è però anche la conferma di «un grande classico» quando si vanno ad indagare le motivazioni che portano a iniziare a fumare: tutto ruota infatti intorno ai coetanei. Quasi il 60 per cento degli interpellati dice di essere stato influenzato da amici o da compagni di scuola, di aver iniziato alle feste, di essersi lasciato tentare da altri ragazzi che già fumavano. In seconda posizione (17 per cento delle risposte) c’è un più semplice: «Ho provato e mi piaceva». Seguono: il desiderio di sentirsi più grande, l’influenza di familiari tabagisti o quella di un partner. Scattata la fotografia che inquadra la realtà, peraltro da parecchi anni con pochi e minimi miglioramenti o peggioramenti, non resta che chiedersi che cosa si può fare.
Gli esperti di tutti i Paesi concordano sulla proposta dell’Organizzazione Mondiale di Sanità: aumentare il prezzo del tabacco è il più significativo intervento per scoraggiare l’iniziazione nei giovani. «Secondo le stime diffuse dall’Oms - commenta Silvio Garattini, direttore dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano - soltanto l’otto per cento della popolazione mondiale vive in Paesi con una tassazione sufficientemente alta da scoraggiare il consumo di sigarette e sigari. L’Italia su questo fronte è indietro: siamo al 15esimo posto in Europa, ancora più in basso sul trinciato». «Il nostro Stato è riluttante e ambiguo - prosegue Garattini - perché, se diminuisce il consumo di tabacco, si riducono gli introiti del Monopolio. Certo, se lo Stato aumentasse di un euro il pacchetto di sigarette, calerebbero le vendite, ma le stime indicano che ci sarebbero in ogni caso introiti cospicui, derivanti dal prezzo più alto. Senza considerare quanto si risparmierebbe, sul fronte del Servizio sanitario nazionale, con il numero minore di malattie dovute al tabacco da curare se le persone smettessero o non iniziassero proprio a fumare».
«Bisogna poi lavorare sulla pubblicità indiretta - aggiunge Roberta Pacifici -. Nel Rapporto di quest’anno abbiamo segnalato che l’11,8 per cento della popolazione di età superiore ai 15 anni ha visto su internet oppure ha ricevuto via e-mail la pubblicità di sigarette o la proposta di acquisto. Inoltre, abbiamo riportato un recente studio pubblicato nel libro “Cenere di stelle. Cinema fumo e adolescenti” (di Altomare e Galetta, due medici appassionati di cinema) che ha analizzato oltre 160 film tra i migliori usciti l’anno scorso. Nel 60 per cento delle pellicole c’erano immagini in cui si fumavano sigarette, con una frequenza di 15 scene ogni ora (negli anni Cinquanta la frequenza era di 10 ogni ora)». «La nostra proposta, dunque - aggiunge l’esperta -, è quella d’introdurre regole più severe che limitino l’accesso di bambini e adolescenti a film che contengono non solo scene di violenza o sesso, ma anche scene di fumo pretestuose o ingiustificate. Anzi, sarebbe opportuno inserire spot antifumo che, allo stesso modo di quelli antipirateria, precedano l’inizio di film valutati come troppo “indulgenti” nei confronti del tabacco».
Ultimo, ma non meno importante: bisogna investire di più in educazione e campagne d’informazione sui danni del tabacco, andando a coinvolgere già i bambini delle elementari. È stato dimostrato infatti che intervenire precocemente è molto efficace, visto che gli “anticorpi” verso comportamenti insalubri si formano nei primi dieci anni di vita. Senza dimenticare, ancora, progetti come «Non fare autogol», promosso dall’Associazione italiana di oncologia medica: un tour a tappe nelle scuole superiori italiane che, sfruttando il fascino positivo di calciatori di serie A, punta a fornire un esempio positivo e a far conoscere ai giovanissimi l’importanza di uno stile di vita sano. All’insegna dell’intramontabile motto «prevenire è meglio che curare». Perché è più semplice spiegare a un bambino o a un ragazzino i danni del fumo e convincerlo a non accendersi mai la prima sigaretta, piuttosto che persuadere, poi, un giovane o un adulto a smettere.
Corriere della Sera
29 05 2014
Per i milanesi sembra valere quel famoso sketch di Walter Chiari che, nel tentativo di smettere di fumare, tra un'intensa boccata e un'altra ancora più profonda, diceva: "Piccola sigaretta, io ti brucio!".
Perchè secondo un'indagine dell'istituto di sondaggi Doxa sembra che, più che smettere, i milanesi abbiano aumentato la loro "dose" di nicotina giornaliera: su del 14% rispetto al 2013. ...