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l'Espresso
13 11 2014

Una macchina sospetta che li segue. Poi li sperona. E a quel punto fugge. Un fatto inquietante: nell'auto blindata c'è l'inviato dell'Espresso Lirio Abbate con gli agenti della sua scorta. Da sette anni Lirio vive sotto protezione della Polizia di Stato per le minacce che ha ricevuto dalla Mafia.

Dopo lo speronamento, l’auto ha fatto una repentina marcia indietro per poi accelerare cercando di dileguarsi nel traffico del Lungotevere. Sembrava andata, persa. E invece gli agenti che proteggono Abbate l’hanno inseguita fino a quando l'auto dei fuggitivi è rimasta imprigionata nell'incolonnamento davanti a un semaforo. E' a questo punto che uno dei tre poliziotti della scorta è sceso, pistola in pugno, e ha iniziato a correre verso i fuggitivi riuscendo a bloccare il conducente.

All’interno dell'auto un ventenne romano, incensurato, che è stato consegnato agli agenti della squadra mobile che adesso indagano sulla vicenda. Dai primi riscontri non sarebbero emersi legami tra il ragazzo e i clan. Gli investigatori ritengono però quantomeno sospette le modalità con cui è avvenuto l'incidente e la reazione di fuga. Nel corso della perquisizione dell'auto da parte degli agenti è stato ritrovato anche un documento che appartiene a un cittadino straniero sul quale si stanno concentrando le indagini.

Gli investigatori hanno interrogato a lungo il giovane fermato e che si trovava alla guida dell'auto. Accertamenti sono stati fatti sul suo conto, mentre è partita la ricerca di filmati e immagini delle telecamere fisse di sorveglianza in città lungo il tragitto dell'inseguimento. In questura il giovane fermato non ha saputo spiegare il suo gesto. Anche i controlli alcolici e su sostanze stupefacenti sono risultati negativi.

Di certo, se ha agito per conto di qualcuno, questo qualcuno ha scelto molto bene e con cura l’esecutore dell’intimidazione che è persona incensurata senza collegamenti apparenti con la criminalità organizzata.

I detective della Mobile continueranno a indagare sull’episodio cercando di capire se c’è un collegamento con le precedenti minacce, anche recenti, ricevute da Lirio Abbate. Intimidazioni che, in alcuni casi, l'Espresso ha scelto di non raccontare per non intralciare le indagini ancora in corso.

Abbate ultimamente si è occupato di criminalità organizzata romana, raccontando il potere dei quattro Re di Roma, (Casamonica, Senese, Carminati, Fasciani), e dei rapporti tra alcuni boss della mala e gli ambienti politici e neofascisti della Capitale.

Giovanni Tizian

Tv: molto show, poco talk

Il Fatto Quotidiano
19 10 2014

di Marco Travaglio

Ma è così strano indignarsi davanti allo scempio di una città e di una Regione malgovernate da decenni che quasi ogni anno contano i morti e all’ipocrisia dei responsabili che cementificano tutto e poi pontificano in tv col culetto al caldo nei loro salotti? Davvero parlare di queste porcate chiamandole col loro nome e chiedendone conto a chi le ha fatte è violazione del bon ton e rifiuto del contraddittorio? Davvero è bestemmiare gli angeli invitare uno spalatore diciassettenne a guardare il faccione sformato di chi l’ha costretto e sempre lo costringerà a spalare, e a pretenderne spiegazioni anziché farsene ipnotizzare? Non sarà che il problema è opposto a quello agitato dalle suorine delle buone maniere e della linesotis delle presunte regole, e cioè che nessuno ha mai detto in faccia a questi sepolcri imbiancati (di calce) quel che si meritavano, aiutandoli a rimpinzarsi di voti e di soldi a suon di grattacieli, palazzi-alveare, parcheggi, ipermercati, porti turistici, dando fra l’altro un sacco di lavoro ai giudici e ai secondini? Se i colpevoli sono tutti al potere, convertiti in tarda età al renzismo per rottamare non si sa chi, è anche perché troppa gente si lascia abbindolare dai diversivi retorici tipo “angeli del fango” che, intendiamoci, fanno benissimo e vanno ringraziati, purché però non si prestino a distrarre l’attenzione dai portatori del fango.

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Quanto a me, attendo che qualcuno mi dica un solo fatto non vero tra quelli che ho ricordato giovedì. Ma temo che anche stavolta, come sempre dal Satyricon di Luttazzi nel 2001, la domanda resterà inevasa. Molto più facile dipingere i fatti come “insulti” e le critiche come “rissa”, anche se me ne sono andato proprio per evitare di trascendere davvero negl’insulti e nella rissa. Restare calmi e zitti in quella bolgia di bugie e ipocrisie è un’impresa che può riuscire ai figuranti da talk show, marionette senza sangue che s’incazzano e si placano a comando, poi vanno a farsi due spaghi insieme. Io, quando sento certe balle e vedo certe facce, mi indigno per davvero, specie se ci sono morti che chiedono giustizia. Chi insinua dissensi politici fra il conduttore renziano e il collaboratore grillino, risentimenti per l’ora tarda, nervosismi da share, gelosie da primedonne, mente per la gola. Qui la questione è un po’ più seria. Esiste ancora nel talk show uno spazio indipendente per il talk inteso come racconto di fatti veri al riparo dallo show, cioè del pollaio gabellato per “contraddittorio” e “ascolto” dove chi ha torto e mente passa dalla parte della ragione e della verità solo perché se ne sta comodo a cuccia, certo dell’impunità politica che gli consente di sgovernare da 30 anni, in una notte dove tutte le vacche sono nere? Prima di domandarsi se il collaboratore fa la pace col conduttore e torna a bordo, andrebbe sciolto un rebus: cosa rimane, del giornalismo come lo conosciamo tutti, nei talk show?

Resterebbe da parlare del solito Merlo che, in perfetta simbiosi col mèchato di Libero, mi accusa su Repubblica di essermi “illividito da maramaldo in cattiverie biografiche contro Burlando”, anzi “il povero Burlando”, dopo una vita di “tv dell’insulto” (ma quali? me ne dica uno) “senza contraddittorio, senza risposte né domande, chiuso e protetto nel recinto del monologo sprezzante”. Questo presunto giornalista di cui sfuggono le notizie e soprattutto i lettori (quando Repubblica testava con sondaggi le sue firme più lette, Merlo guadagnava sempre l’ultima posizione), questo finto frondeur che si crede Sciascia e Brancati solo perché è nato in Sicilia orientale e passa il tempo a intrecciare merletti barocchi senza mai prendere posizione, se non per bastonare chi si oppone al sistema, non ha mai visto una puntata di Annozero e Servizio Pubblico. Sennò saprebbe che in 8 anni ho risposto a migliaia di domande e affrontato centinaia di contraddittorii, senza che nessuno riuscisse a smentire una sola mia parola. Piuttosto, quando mai il Merlettaio s’è sottoposto al contraddittorio? Perché non chiede al direttore di Repubblica di affiancare ai suoi articoli una replica del primo che passa? Forse perché già conosce la replica: “Ma chi è questo Merlo?”.

Guerre: dal 2004 uccisi 619 giornalisti in tutto il mondo

  • Mercoledì, 27 Agosto 2014 10:58 ,
  • Pubblicato in Flash news

Globalist
27 08 2014

Creata una mappa che mostra dove e quanti professioni di radio, carta stampata, online e fotografi sono stati assassinati in 10 anni.

James Foley è stato il 32esimo giornalista ucciso nel 2014, secondo il Comitato per proteggere i giornalisti, che ha documentato le "morti sul lavoro" di ogni membro dei media dal 1992.

Globalpost ha utilizzato i dati di CPJ per creare questo grafico, che fornisce informazioni sui giornalisti uccisi in tutto il mondo negli ultimi dieci anni, dal 2004 al 2014. In tutto il mondo, in diversi teatri di guerra, sono stati uccisi, accidentalmente o di proposito, ben 619 membri della stampa, tra giornalisti, fotografi, blogger, freelance, cameraman eccetera e citizen journalist.

L’Unità sospende le pubblicazioni

Internazionale
30 07 2014

L’Unità non sarà più in edicola dal 1 agosto. Lo hanno comunicato i liquidatori della Nuova iniziativa editoriale, la società editrice del quotidiano. La mattina del 29 luglio l’assemblea dei soci ha bocciato il piano dell’azionista di maggioranza Matteo Fago che, scrive il Secolo XIX, aveva proposto l’affitto della testata per 12 mesi e il salvataggio dei lavoratori.

Da mesi l’Unità soffre di una crisi di liquidità e ha accumulato 25 milioni di euro di debiti. I giornalisti della testata hanno protestato diverse volte, scioperando e non firmando gli articoli. Il 14 luglio la deputata di Forza Italia Daniela Santanchè e la conduttrice televisiva Paola Ferrari avevano presentato un’offerta per rilevare il quotidiano, ma il comitato di redazione si è opposto alla cessione.

Il comitato di redazione ha commentato la notizia con un comunicato sul sito del giornale.

Le Monde
10 07 2014

La journaliste Marzieh Rasouli est selon un proverbe persan "un ver de livres", en d'autres termes une passionnée de la lecture. Depuis mardi 8 juillet, cette Iranienne est à la prison tristement célèbre d'Evin à Téhéran où elle doit passer les deux prochaines années. A sa peine de prison s'ajoute également une condamnation à cinquante coups de fouet.

Le dessein de l'Iranien Mana Neyestani sur la confirmation de la condamnation de la journaliste, Marzieh Rasouli, aux cinquante coups de fouet. Marzieh Rasouli a été convoquée , le 8 juillet, à la prison d'Evin à Téhéran, pour purger sa peine de deux ans ferme.
Dessin de l'Iranien Mana Neyestani.
Les chefs d'inculpation, comme l'a expliqué sur son compte Twitter cette journaliste culturelle : "propagande contre le régime" et "perturbation de l'ordre public en participant à des manifestations". Cette dernière accusation fait référence à des mouvements de contestation nés à la suite de la réélection controversée de Mahmoud Ahmadinejad en juin 2009.

Marzieh Rasouli est également blogueuse. Ses écrits se démarquent par leur humour, un regard décalé et des propos directs, faisant l'économie de toute fausse courtoisie, en totale contradiction avec l'hypocrisie dont font preuve certains Iraniens.

Cette ancienne collaboratrice de quotidiens réformateurs, dont Etemaad et Shargh, a été arrêtée pour la première fois en janvier 2012, pendant six semaines, pour avoir collaboré avec la chaîne BBC Persian, diffusée en persan depuis Londres, considérée comme subversive par les autorités iraniennes.


Avec elle ont été également arrêtés deux autres journalistes, Parastoo Dokouhaki et Sahhaméddin Borghani. Leurs aveux, obtenus sous pression, ont été diffusés après leur libération sous caution dans un film visant à dénoncer leurs activités subversives. Marzieh Rasouli a été condamnée à deux ans de prison et à cinquante coups de fouet, et Parastoo Dokouhaki à six mois de prison avec sursis.

Sur son compte Twitter, Marzieh Rasouli a écrit, le 7 juillet, que lors d'un appel téléphonique du Tribunal d’application des peines de la prison d’Evin, elle avait appris la confirmation en appel de sa condamnation. Elle soutenait pourtant n'avoir toujours pas reçu la lettre officielle faisant état du verdict.


L'application de sa peine d'une manière aussi abrupte survient tandis qu'une autre journaliste, Reihaneh Tabataie, a également été convoquée à Evin, le 21 juin, pour purger une peine d'un an de prison ferme. Une autre jeune journaliste, Saba Azarpeyk, elle, a été arrêtée, le 28 mai, et subit depuis des interrogatoires pour un nouveau dossier judiciaire constitué contre elle pour "propagande contre le régime". Son avocat a annoncé, début juillet, que sa détention temporaire avait été prolongée d'un mois.


Selon Reporters sans frontières, 64 journalistes et cyberactivistes sont emprisonnés en Iran, ce qui fait de ce pays "l’une des cinq plus grandes prisons du monde pour les professionnels de l’information".

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