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Giovanni De Mauro, Internazionale
12 luglio 2013

Chi è un giornalista? La domanda sembrerà banale, ma negli Stati Uniti dalla risposta può dipendere se uno finisce in prigione oppure no. Per esempio: Gleen Greenwald è un giornalista, e quindi dopo il suo scoop sulle intercettazioni della National security agency è tutelato dal primo emendamento della costituzione americana?
E dai e dai, sta diventando un fatto nazionale. Si chiama la disfida di Sedriano. Perché hai voglia a minimizzare, convinto che il potere governi il mondo. Alla fine le cose scoppiano in mano. ...

Carta di Milano

Carta di Milano
Per il rispetto delle bambine e dei bambini nella comunicazione

Preambolo
Oggi l’attenzione di tutti noi cittadini è sempre più sollecitata da modelli educativi e comportamentali che, attraverso i media, raggiungono le nostre figlie e i nostri figli modellandone l’immaginario e, insieme ad esso, il loro presente e futuro.

Sentiamo come prioritario ripensare il rapporto tra media e minori, ripartendo dall’uso che della loro immagine viene fatto, soprattutto nella comunicazione massmediale. L’immagine delle bambine e dei bambini oggi sembra prestarsi a un uso esclusivamente strumentale che, se da un lato ne sminuisce la dignità, dall’altro finisce, spesso per rafforzare stereotipi discriminatori di genere o costruire stili di vita pericolosi.

Noi cittadini, genitori, psicologi, professionisti della comunicazione, rappresentanti delle istituzioni, dell’arte, della scuola, delle imprese e del diritto crediamo che il rispetto delle bambine e dei bambini richieda oggi nuovi strumenti e un nuovo impegno di responsabilità sociale da parte di tutti gli operatori coinvolti nel mondo della comunicazione. Per questo, stimolati da Terre des Hommes, abbiamo deciso di dare vita alla “Carta di Milano: per il rispetto delle bambine e dei bambini nella comunicazione”.

Nel redigere la Carta di Milano ci siamo ispirati alla Convenzione dei diritti del fanciullo, alla Carta di Treviso, al Keeping Children Safe, al Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale e all’esperienza maturata in cinque edizioni del Child Guardian Award di Terre des Hommes.

Con la Carta di Milano vogliamo suscitare un dibattito intorno al tema dell’immagine dei bambini e delle bambine, contribuendo a creare, per i nostri figli un mondo più rispettoso e attento. Per questo la consegniamo oggi alla società civile e agli addetti ai lavori affinché la facciano propria, la sottoscrivano e la adottino nel loro concreto agire quotidiano facendola diventare un punto di riferimento per tutti coloro che operano nel mondo della comunicazione e per tutti i cittadini che intendano far valere, in ogni istante, l’interesse prioritario dell’infanzia.

Principi generali
Il rispetto della dignità delle bambine e dei bambini, così come indicata dalla “Convenzione ONU sui diritti del fanciullo”, deve essere garantito in qualsiasi comunicazione, in modo particolare quando è l’immagine stessa delle bambine e dei bambini ad essere rappresentata.

Il rispetto della dignità delle bambine e dei bambini deve essere garantito, da tutti i soggetti coinvolti, in qualsiasi fase del processo produttivo che accompagna la creazione e la diffusione di una campagna di comunicazione: genitori e tutori, agenzie di casting, agenzie di comunicazione e creativi; aziende committenti e inserzionisti pubblicitari; case di produzione; editori e da chiunque diffonda la campagna di comunicazione.

Il rispetto della dignità delle bambine e dei bambini implica il loro coinvolgimento in tutte le fasi del processo produttivo, dalla concezione alla distribuzione, attraverso la partecipazione attiva, l’ascolto dei loro desideri, valori, tempi e opinioni, delle loro aspettative e dei loro diritti di lavoratori.

È fondamentale e urgente che tutto ciò diventi un impegno concreto di responsabilità sociale d’impresa, documentato con trasparenza da tutti i soggetti professionali coinvolti.

1. Le bambine e i bambini non sono oggetti, bensì soggetti attivi, con la loro dignità, i loro gusti, speranze, sensibilità, idee e valori di cui si arricchiscono e che con loro si rafforzano. Hanno diritti inalienabili e doveri. La rappresentazione delle bambine e dei bambini dovrebbe sempre tenere conto di questa grande ricchezza coinvolgendoli in modo attivo e coerente con gli obiettivi di comunicazione ed evitando l’uso meramente ostensivo, sensazionalistico e artificioso della loro immagine.

2. I bambini e le bambine sono tali indipendentemente dal colore della loro pelle, dalla provenienza etnica, dalla loro fede religiosa e dalla loro condizione sociale. La comunicazione deve saper raccontare tutte le diversità etniche, religiose, sociali e geografiche evitando stereotipi e messaggi discriminatori.

3. La comunicazione deve tenere conto delle differenti età dei bambini e delle bambine coinvolti rispettandone la naturale evoluzione. Non bisogna rappresentarli in comportamenti, atteggiamenti e pose inadeguati alla loro età e comunque non corrispondenti al loro sviluppo psichico, fisico ed emotivo. Ogni precoce erotizzazione dei bambini e delle bambine va bandita dalla comunicazione.

4. La comunicazione dovrebbe rappresentare le bambine e i bambini in maniera veritiera, rifuggendo da ogni idealizzazione, buonismo o pietismo e bandendo, nel contempo, ogni promozione o incitamento di comportamenti devianti o violenti. La comunicazione dovrebbe rispettare la fantasia, la creatività e la curiosità dei bambini e delle bambine, così come quel delicato mondo di relazioni e interazioni in cui vivono ogni giorno.

5. I bambini e le bambine non devono essere rappresentati attraverso la raffigurazione adultizzata di stati d’animo negativi quali noia, depressione, rabbia, paura, o insoddisfazione che mirano solo a una loro strumentalizzazione a fini commerciali. Quando questi sentimenti negativi vengono rappresentati, lo devono essere secondo una modalità coerente, autenticamente corrispondente al significato che essi hanno per i bambini.

6. I bambini sono bambini. Sono femmine e sono maschi, con lo stesso diritto a essere rispettati come persone a tutto tondo. La comunicazione non deve rappresentare il genere in categorie fisse, esaltando attributi di virilità e forza, da un lato, di dolcezza e remissività dall’altro. La comunicazione non deve presentare continuamente i bambini e le bambine in attività convenzionalmente destinate a uomini o a donne, rafforzando le discriminazioni di genere.

7. Le bambine e i bambini hanno bisogno di punti di riferimento forti che trovano soprattutto nei loro familiari e nelle figure affettive a loro più vicine ovvero in chiunque si prenda cura del loro benessere psico-fisico. La comunicazione non dovrebbe sminuire nessuna di queste figure, togliendo ai bambini, specie i più piccoli, la fiducia nelle persone che sono fondamentali per il loro sviluppo psicologico, fisico e per la loro educazione.

8. La fragilità dei bambini e delle bambine e il loro bisogno di protezione non devono essere strumentalizzati per indurre negli adulti senso di colpa, inadeguatezza o allarmismo.

9. La rappresentazione di bambini e bambine affetti da patologie non deve ricorrere a immagini, descrizioni o discorsi che possano ledere la loro dignità.

10. Il benessere delle bambine e dei bambini è prezioso e la loro alimentazione è fondamentale perché possano crescere in modo sano ed equilibrato. La comunicazione dovrebbe promuovere un corretto stile di vita fisico e alimentare, cercando di rafforzare comportamenti che salvaguardino il benessere presente e futuro dei bambini.

A chiusura di settimana

  • Venerdì, 10 Maggio 2013 07:41 ,
  • Pubblicato in Flash news
Lipperatura
10 05 2013

Sul Corriere della Sera, Pierluigi Battista scrive un articolo molto interessante (lo trovate qui). Sono osservazioni da cui mi piacerebbe ripartire: proprio perché dai tempi della parolaccia libera a Radio Radicale (che anche Battista cita, perché quell’episodio fu, effettivamente, uno spartiacque) sono passati non pochi lustri. Certo, il paese non è cambiato molto, da quel 1986: non la mentalità, almeno, e il “tornatene in Congo” lanciato appena ieri alla ministra Kyenge ne è un esempio perfetto.

Alla fine di una settimana che ha visto delinearsi - come prevedibile - uno schieramento che appare terribilmente netto e dentro il quale si riversano altri infiniti stati d’animo (risentimenti generazionali e di classe, delusione politica, astute ricerche di visibilità, in alcuni casi), mi sembra che bisogna tornare a concentrarsi sul problema, cercando un po’ di lucidità in più. E il problema,  più che legislativo, è nella benedetta testolina di molti signori: che quando devono contestare qualcosa a una donna, invece di ricorrere ad argomenti più o meno validi, non trovano di meglio che ricorrere allo scherno sessuale. Anche perché partecipare a quello scherno, o approvarlo anche solo con un “mi piace”, che è l’equivalente web della strizzata d’occhio o della gomitata complice, significa quasi automaticamente mettersi al riparo: c’è un modo molto semplice per non venire attaccati nella rete, ed è quello di mettersi dalla parte dello schernitore, di mostrarsi simpatico, pronto “all’ironia”, meglio se di gruppo. Dinamica antica quanto gli esseri umani, peraltro.

Però. Mi piacerebbe che venisse presa in considerazione, per quanto riguarda il sessismo, una faccenda che non ha nulla a che vedere con il “moralismo” (ma che noia), bensì con un atteggiamento che non si vuole approfondire (comprensibilmente, perché è scomodo assai). Molto spesso, si prende parte a quello scherno anche perché viene condiviso, nel profondo di se stessi. Federico Faloppa, nell’introduzione al rapporto Naga sul razzismo dei colti, quello che traspare in molti articoli di giornale, scrive:
“Si prenda ad esempio il discorso riportato – riportato spesso senza dichiarare la fonte – che veicola non solo lo stereotipo più trito, ma che diventa – in mancanza di confini chiari, specie in presenza di un discorso indiretto – pure il punto di vista del giornalista: un modo semplice ma brillante per far dire ad altri ciò che si vorrebbe (ma non si potrebbe) dire in proprio”.

Riassumendo, dunque: quello che provo a dire da giorni, nella complicata via mediana, è che questa è la questione centrale, e che di questa nessun cavaliere del web parla, o se lo fa la minimizza. Inoltre,  che non è con una stretta di vite legislativa o un’azione giudiziaria, salvo eccezioni, che si risolve la vicenda. Parole, temo, inutili, visto che ormai siamo in piena crociata, e la crociata è stata posta nei termini “tecnofobici versus tecnolibertari”, “paladini del futuro versus neodemocristiani censuratori” e il resto, par di capire, viene considerato tragicamente ininfluente.

Invece, è il cuore del problema. In altri termini: se siamo un paese tendenzialmente razzista, sessista e omofobo, un paese che appena trova la possibilità di far sentire la propria voce lo fa con le parole del ventre, che si fa? Non si tratta di gridare “aiuto, vogliono educare la rete”. Si tratta di chiedersi: “ma che caspita sto facendo, dicendo, scrivendo?”

Buon week end.

Domande imbarazzanti

  • Mercoledì, 08 Maggio 2013 15:13 ,
  • Pubblicato in L'Intervento
Igiaba Scego, Corriere Immigrazione
6 maggio 2013

Mi sono rovinata la Domenica! Giuro non erano queste le mie intenzioni. Ma è andata così. Il mio piano era perfetto, però… Porta Portese, passeggiatina, un buon affare in qualche bancarella e poi a casa da mia cugina Zahra, pranzo da nababbi, pastarelle, riposino, WOW insomma. La perfezione domenicale.

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Zeroviolenza è un progetto di informazione indipendente che legge le dinamiche sociali ed economiche attraverso la relazione tra uomini e donne e tra generazioni differenti.

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