Communianet
16 09 2015
Pubblichiamo la trascrizione di un intervento video di Eric Toussaint, portavoce del Cadtm International che ricostruisce il percorso che ha portato alla scelta di Tsipras di firmare il nuovo memorandum
La questione del debito greco è assolutamente centrale. A partire dal maggio 2010 e dal primo memorandum e dal momento in cui si è costituita la troika tra il Fondo Monetario Internazionale, la Banca centrale europea e l’Unione Europea, la questione resta assolutamente centrale anche nel corso dei prossimi anni.[1]
La commissione di audit cittadino del 2010
Nel dicembre 2010, la deputata Sofia Sakorafa interviene al Parlamento dicendo che bisognerebbe creare una Commissione di audit del debito greco ispirandosi dall’Ecuador che ne aveva costituita una nel 2007-08. La deputata fa riferimento alla mia partecipazione a quell’esperienza e dice che si potrebbe richiedere il mio aiuto.[2] Era chiaro che quel Parlamento, dominato dal PASOK e da Nuova Democrazia, non aveva alcun interesse a fare chiarezza sul debito, e quindi la proposta è stata respinta. Con una serie di movimenti sociali e la deputata Sofia Sakorafa si è deciso di creare un’iniziativa di audit cittadino del debito.[3] Sono occorsi alcuni mesi per lanciarla. Si è messo a punto un dispositivo di lancio, ad esempio appoggiandosi sulla realizzazione di un documentario, “Debtocracy”, del cineasta Aris Chatzistefanou, che avrebbe avuto una parte molto importante nella diffusione della proposta. Il documentario è stato scaricato in 6 settimane da più di 1,5 milioni di persone su una popolazione di 10 milioni; è dunque un’eco estremamente importante. Evidentemente non è passato sulle reti delle TV private o pubbliche ma ha avuto una risonanza straordinaria.[4] La popolazione che aveva partecipato a un grande numero di scioperi si è lanciata, sulla scia del movimento degli indignati spagnoli, nell’occupazione delle piazze pubbliche di molte di città, a partire da Atene e Salonicco, ma la cosa ha toccato città medie nei mesi di giugno e luglio 2011. I membri del Comitato di audit cittadino hanno trovato un’eco straordinaria a una proposta che presentava i risultati preliminari della rimessa in discussione dei debiti pretesi dalla Grecia e la spiegazione di come la Grecia aveva accumulato un debito tale che lo si poteva considerare illegittimo.
La posizione della direzione di Syriza rispetto al Comitato di audit cittadino del 2011.
Dal lato delle forze politiche organizzate a sinistra, c’era un assai scarso entusiasmo a sostenere questa iniziativa. Dal lato di Syriza, persone come Lafazanis [5], che in seguito è diventato ministro del governo Tsipras a partire dal gennaio 2015, o un’altra ministro del governo Tsipras, Nadia Valavani [6], sono persone che fin dall’inizio, vale a dire dal 2011, si sono impegnate nel sostegno alla Commissione, ma dal lato della maggioranza di Syriza non c’era proprio entusiasmo. Ad esempio, il ministro delle Finanze del governo Tsipras, Yanis Varoufakis, ha dichiarato quando lo abbiamo contattato nel 2011, che non poteva sostenere l’iniziativa di audit cittadino, perché se in seguito all’audit si trattava di proporre una sospensione del pagamento, ciò avrebbe riportato la Grecia all’età della pietra, ha scritto in una lettera pubblica.[7] Il che permette di capire delle cose che sono successe nel 2015 e il tipo di posizione assunta da uno come Varoufaki7]s.
Il programma di Syriza nelle elezioni legislative del maggio/giugno 2012
L’iniziativa di audit cittadino ha finalmente trovato un’eco in Syriza malgrado le difficoltà di partenza, e Syriza ha ripreso la proposta nel suo programma in cinque punti [8] per le elezioni di maggio, poi di giugno2012, per le quali i cinque punti erano:
1) L’abrogazione delle misure di austerità;
2) La sospensione del pagamento del debito fino al ritorno della crescita – ciò che implicava evidentemente tutta un’altra politica – e legare la sospensione del pagamento alla realizzazione dei un audit;
3) La socializzazione delle banche;
4) L’abolizione dell’immunità parlamentare per i responsabili;
5) Misure fiscali importanti per fare pagare quelli che avevano approfittato della crisi e che erano al riparo della fiscalità.
Con un tale programma radicale, Syriza ha compiuto un’avanzata elettorale molto importante, in quanto è passata dal 4% nel 2009 al 27% nel 2012, diventando il secondo partito dopo Nuova Democrazia, con una differenza di soli 2 punti. A partire da quel momento, Syriza è apparsa come una forza capace di accedere al governo nei mesi seguenti o qualche anno dopo.
Fine 2012: la direzione di Syriza modera le sue proposte
Quel che è veramente sconcertante è che mentre Syriza dimostra con il suo risultato che la sua radicalità trova un’eco nella popolazione greca, in particolare con la proposta della sospensione di pagamento del debito, la posizione della maggioranza di Syriza e di Alexis Tsipras è di moderare queste proposte con l’idea, secondo me sbagliata, che se Syriza arrivasse al governo le sarebbe difficile applicarla in pratica, mentre i cinque punti erano elementi assolutamente chiave nella soluzione da dare alla crisi. Non si può immaginare di abbandonare le politiche di austerità se non si risolve in maniera radicale la questione del debito. È impossibile abrogare una serie di misure se non si riduce radicalmente il debito. Perciò occorreva combinare l’abrogazione di una serie di misure imposte dalla troika, con la messa in pratica di una sospensione del pagamento e la riduzione radicale di una parte del debito, e bisognava anche trovare una risposta dal lato delle banche e della fiscalità. Ora, nell’ottobre 2012, quando sono invitato a tenere una conferenza al 1° festival dei giovani di Syriza [9], mi ritrovo in una discussione faccia a faccia con Alexis Tsipras, e di fatto mi rendo conto che lui sta abbandonando la proposta di sospensione di pagamento e sull’audit del debito e si orienta piuttosto verso un negoziato per ottenere una riduzione del debito da parte dei creditori senza ricorrere alla sospensione di pagamento, e gli comunico il mio stupore.
Lui risponde che il programma in cinque punti è mantenuto, ma mi rendo conto che non è la prospettiva concreta di Tsipras.
Ottobre 2013: Alexis Tsipras auspica una conferenza europea sul debito pubblico
Un anno dopo, Tsipras mi invita nuovamente e mi chiede di collaborare alla preparazione di una grande conferenza europea sul debito per ridurre il debito della Grecia, sull’immagine di quanto era successo con la conferenza di Londra del 1953, quando i vincitori della Seconda Guerra mondiale hanno concesso una riduzione molto importante del debito alla Germania dell’Ovest. Abbiamo avuto una discussione e io gli ho detto che mi sembrava perfettamente legittimo che lui interpellasse le opinioni pubbliche europee e le istituzioni europee per dire loro che sarebbe occorsa una conferenza europea sul debito, ma che non c’era nessuna possibilità di ottenerla. Bisogna assolutamente combinare questa idea con quella di un audit e con una sospensione di pagamento. La discussione termina con la proposta che io partecipi a un nucleo preparatorio di una conferenza europea sul debito che si doveva tendere nel marzo 2014, ma nel frattempo la proposta non era stata sostenuta in quella forma dal partito della sinistra europea, che finisce per convocare una conferenza a Bruxelles nella primavera 2014, ma nel frattempo questa proposta non era stata sostenuta in quella forma dal partito della sinistra europea, che finisce per convocare una conferenza europea a Bruxelles nella primavera 2014. Nella conferenza, alla quale ero invitato con Alexis Tsipras e altri dirigenti della sinistra europea, ridico chiaramente che occorreva un piano B, perché la prima proposta di conferenza europea non è sufficiente.[10] Mi ritrovo in una commissione che discute di questo con Euclide Tsakalotos, che è oggi ministro delle Finanze in sostituzione di Varoufakis, e mi rendo conto da quel momento che lui non è assolutamente favorevole a mettere a punto un piano B riguardante il debito, le banche, la fiscalità, e che il piano è di negoziare ad ogni costo con le istituzioni europee per ottenere una riduzione dello sforzo di austerità.
Syriza diventa il primo partito della Grecia alle elezioni europee del maggio 2014
Syriza ottiene una vittoria elettorale e diventa il primo partito greco. Per quanti lottavano sulla questione del debito era una doppia vittoria, in quanto sui sei deputati eletti al Parlamento europeo cinque erano favorevoli a una politica forte in materia di debito e di audit. Era così per Manolis Glezos, per George Katrougalos, che poi è diventato ministro, di Sofia Sakorafa, che era una delle iniziatrici con me dell’audit cittadino nel 2011, ma anche di Kouvenas e di un deputato proveniente dal PASOK. Abbiamo avuto a più riprese riunioni al Parlamento europeo anche con deputati di Podemos e di Izquierda Unida per avanzare l’idea dell’azione unilaterale e della sospensione di pagamento, ma nello stesso tempo mi sono reso conto che la linea ufficiale di Tsipras, sostenuto da persone come Katrougalos, era di andare verso il negoziato.[11] Ciò che è fondamentale per loro è la conferenza europea per la ristrutturazione del debito sul modello tedesco.
La vittoria del gennaio 2015
Vengono convocate elezioni anticipate per il 25 gennaio 2015. Il 2 gennaio sono contattato da un inviato di Tsipras, che mi chiede se potrei consigliare il governo in materia di debito. Accetto immediatamente e faccio una serie di proposte in continuità di quanto era stato proposto dal 2011.[12] Ma qualche giorno prima delle elezioni, mentre avevo fatto quelle proposte, il contatto si perde. Dopo le elezioni vado ad Atene, e una delle persone che incontro è George Katrougalos, diventato ministro della riforma amministrativa, che aveva sostenuto a fondo l’audit e che quando era deputato europeo sosteneva in qualche modo le proposte che facevo, e mi mette in contatto con la nuova presidente del Parlamento, Zoe Konstantopoulou, con la quale il contatto avviene direttamente. Alla fine di una discussione di un’ora ha reso pubblico il risultato della discussione dicendo che faceva appello alla mia collaborazione per lanciare una commissione di audit del debito greco.[13]
L’accordo funesto del 20 febbraio con i creditori istituzionali.
Dopo tre settimane di negoziati, un primo accordo è raggiunto il 20 febbraio tra i creditori, la Commissione europea, la Banca centrale europea e il governo greco, che segna per me una tappa già molto preoccupante.[14] Si tratta di un accordo in base al quale il governo greco si impegna a rispettare il calendario dei pagamenti e le somme da rimborsare a ciascun creditore. Dichiara anche che il governo greco farà una serie di proposte all’Eurogruppo, che sostituiva la Troika, in materia di riforme. Evidentemente, per l’Eurogruppo si trattava di riforme che continuavano il programma in corso, rimandando a fine giugno 2015 le misure di austerità negoziate con i creditori.
Un’altra politica era auspicabile e possibile
Da parte mia, penso che il governo greco avrebbe dovuto adottare un’altra politica. Già dall’inizio di febbraio era dimostrato che i creditori non erano disposti a permettere a Syriza di realizzare il suo programma (rivedere l’austerità e ottenere una riduzione del debito). Allora, come mezzo di pressione sui creditori, Tsipras avrebbe dovuto dire: «Io applico il regolamento europeo adottato il 21 maggio 2013, che prevede la realizzazione di un audit, per vedere in quali condizioni si è accumulato un debito che diventa insostenibile, e per scoprire eventuali irregolarità». È il testo esatto del regolamento europeo: «In quanto governo io lo applico, e sospendo il pagamento del debito durante la realizzazione dell’audit».
Se tu sospendi il pagamento del debito, cambi il rapporto di forza con i creditori. Di fronte a un rifiuto di pagamento, sono loro che devono chiedere di negoziare. Mentre fino ad allora era il governo che era alla ricerca del negoziato, di fronte a creditori che in realtà non volevano negoziare, se non a condizione di continuare le misure di austerità che erano state respinte dalla popolazione greca. Dunque, si sarebbe dovuto sospendere il pagamento, realizzare l’audit, prendere misure forti sulle banche. Bisogna sapere che nelle banche greche sono stati iniettati in modo permanente decine di miliardi, aumentando in tal modo il debito pubblico greco senza risolvere il problema delle banche. Si sarebbe anche dovuto prendere misure forti in materia di fiscalità per aumentare le entrate fiscali e poter condurre una politica antiausteritaria. Penso che se il governo greco non avesse firmato quell’accordo nefasto il 20 febbraio avrebbe potuto realmente impegnarsi in un processo interessante per la Grecia.
È anche interessante che la presidente del Parlamento greco ha detto ad Alexis Tsipras, insieme ad altri ministri, come Lafazanis che è uno dei ministri più importanti: «È fuori discussione sottoporre l’accordo del 20 febbraio al Parlamento greco per approvazione. Una serie di parlamentari greci non potranno approvare questo accordo che è contrario al mandato che Syriza è andata a cercare il 25 gennaio». In effetti, l’accordo del 20 febbraio è rimasto un accordo firmato dal governo, ma senza l’accordo del Parlamento, ed è un punto molto importante.
Lancio della Commissione per la verità sul debito greco da parte della presidente del Parlamento Ellenico.
Il 4 aprile 2015iniziano effettivamente i lavori della Commissione per la verità sul debito greco, istituita dalla presidente del Parlamento greco, e a me tocca il coordinamento dei suoi lavori. I lavori sono lanciati in una seduta pubblica che dura tutta una giornata, alla quale partecipano il primo ministro Alexis Tsipras , il presidente della Repubblica, la maggioranza dei ministri, una serie di parlamentari e una partecipazione molto importante di cittadini; sono presenti movimenti sociali greci.[15] L’audit è concepito come un audit a partecipazione cittadina. Ci lanciamo nei lavori che ci hanno richiesto un enorme lavoro. Per due mesi e mezzo abbiamo effettuato audizioni, abbiamo fatto venire un negoziatore greco all’ FMI per il periodo 2010-2011, abbiamo fatto venire un ex consigliere di Barroso, presidente della Commissione europea per il periodo 2010-2011-2012, abbiamo studiato tutti i debiti,come sono rivendicati dai creditori attuali della Grecia, in quali condizioni sono stati contratti, ecc., e abbiamo definito i criteri che avremmo utilizzato per identificare i debiti illegittimi, illegali, insostenibili o odiosi.[16] Sulla base di questi criteri e dell’analisi rigorosa dei debiti rivendicati, abbiamo prodotto un rapporto preliminare che abbiamo presentato il 17 e 18 giugno.[17] Il rapporto conclude che i debiti rivendicati dai creditori pubblici: la Troika, sono ai nostri occhi debiti illegittimi, illegali, insostenibili o odiosi. Quando dico «ai nostri occhi» è beninteso in base a criteri scientifici e criteri del diritto internazionale e del diritto nazionale.
Il governo greco non si appoggia sull’audit.
Alexis Tsipras aveva dato il suo sostegno ai lavori della Commissione, ma in realtà, nel corso dei negoziati con i creditori non vi si è appoggiato in modo esplicito. Alexis Tsipras e Yanis Varoufakis hanno continuato il loro piano, che era di ottenere la conclusione del programma di austerità per la fine del mese di giugno, rinnovando un nuovo programma con i creditori, ma in condizioni largamente determinate dagli stessi. Senza mettere la pressione su di loro, rinunciando dunque alla sospensione di pagamento. Questo ha portato al vicolo cieco che conosciamo. I creditori non facevano alcuna concessione al governo greco, e anzi presentavano all’opinione pubblica internazionale il governo greco come incapace di presentare proposte serie. Ciò ha rivelato un fossato profondo tra l’iniziativa dell’audit e una situazione nella quale, proseguendo il negoziato, il governo greco utilizzava tutti i fondi disponibili per pagare i creditori. Per rimborsare l’FMI, la BCE, i creditori privati sono stati utilizzati sette miliardi, mentre le spese per risolvere il problema della crisi umanitaria (i problemi della salute, i problemi dei pensionati, le 300.000 famiglie che non avevano l’allacciamento alla rete elettrica), sono state di 200 milioni di euro. 200 milioni di euro di fronte a sette miliardi utilizzati per rimborsare i creditori! Si misura bene l’ampiezza del fossato.
In quanto coordinatore della Commissione, e con tutti i suoi membri, siamo caduti in una profonda frustrazione, una profonda inquietudine. Ci chiedevamo come era possibile che si continuasse a rimborsare il debito, mentre stavamo dimostrando che era illegittimo. Noi cominciamo adesso a dirlo pubblicamente: c’è un problema! Sono andato a incontrare Dimitris Stratoulis, il ministro in carica delle pensioni, quando annunciava che rifiutava nuove misure di riduzione delle pensioni, per portargli pubblicamente il mio sostegno.[18]
Sì, bisogna resistere alle pretese dei creditori. Per noi è fondamentale mostrare che c’è un legame tra i nostri lavori e le preoccupazioni della popolazione greca. Ho potuto misurare che incontravamo un’eco straordinaria presso la popolazione greca. Personalmente, come coordinatore della Commissione, la mia foto e le mie dichiarazioni comparivano sui media, e quando mi spostavo per le strade di Atene, o quando prendevo la metro, ero regolarmente fermato da cittadini greci che mi ringraziavano per i lavori che svolgevo e per l’aiuto che recavo al paese. Mentre i media dominanti, che rappresentano l’80% dell’ascolto denigravano i lavori della Commissione, la popolazione greca decodificava la politica di discredito lanciata dai media e ci appoggiava. Dimostrava un’attesa molto grande rispetto ai nostri lavori.
Dal referendum del 5 luglio all’accordo del 13 luglio 2015
Alcuni giorni dopo la presentazione pubblica dei nostri lavori, la Grecia era in stato di sospensione di fatto rispetto all’FMI (anche se non era ancora una sospensione ufficiale, era in ritardo di pagamento). La scadenza di pagamento era un momento critico. Così, i creditori hanno deciso di aumentare le loro esigenze rispetto ad Alexis Tsipras. Lui è quindi stato portato a indire un referendum il 5 luglio 2015. Mentre c’era una pressione massima dei creditori, come l’intervento di Junker che diceva al popolo greco che bisognava votare per le proposte che avanzavano essi stessi (e dunque per il SÌ al referendum), il 62% della popolazione greca ha detto NO alle proposte dei creditori. Questo fatto riapriva una situazione per la quale il governo Tsipras avrebbe potuto, sulla base del suo mandato del 25 gennaio, e sulla base del suo nuovo mandato rafforzato, 62% di NO alle pretese dei creditori, aprire un nuovo orientamento. Quello consistente nel dire: «noi abbiamo fatto tutte le concessioni possibili e immaginabili, abbiamo rimborsato 7 miliardi e voi, voi creditori, non fate alcuna concessione. Siamo costretti a prendere misure di autodifesa. Sospendiamo il pagamento del debito, risolviamo il problema delle banche mettendole in fallimento, ma proteggendo i depositi dei risparmiatori, prendiamo delle misure fiscali molto forti per fare pagare i ricchi e soprattutto quelli che sono responsabili della crisi. E ci impegniamo in un piano B perché il piano A non ha funzionato».
Invece di fare questo, il governo Tsipras, che tuttavia il 5 luglio aveva un mandato molto chiaro, il 6 luglio è andato a incontrare i dirigenti dei tre partiti che avevano fatto appello a votare SÌ e che avevano subito una disfatta terribile: il partito POTAMI, il partito PASOK, e il partito Nuova Democrazia. Propone loro un accordo. Questo accordo, molto nefasto, è sottoposto al Parlamento l’11 luglio.[19] Da una specie di Santa Alleanza fra la destra (sconfitta nel referendum) e Tsipras viene fuori una proposta, e Tsipras il 12 luglio va a Bruxelles con questa proposta. I creditori, che vogliono ottenere la capitolazione definitiva di Tsipras, dicono: «quello che proponete non è sufficiente, noi induriamo le nostre posizioni». E dopo 17 ore di negoziati, il 13 luglio, Tsipras firma un accordo assolutamente funesto. Non solo nuove misure colpiranno i pensionati (una volta di più), ma colpiranno tutta la popolazione con l’aumento dell’IVA su una serie di prodotti di consumo corrente, e in più c’è il famoso fondo di privatizzazioni che si accelera e arriva a 50 miliardi di euro. Si tratta né più né meno di una vendita all’asta di tutto ciò che non era ancora stato privatizzato. Questo accordo funesto è firmato da Tsipras il 13 luglio[20] e sottoposto al Parlamento greco nella notte dal 15 al 16 luglio.[21] Per me è la capitolazione.
Le lezioni della capitolazione del 13 luglio 2015
Bisogna trarre le lezioni della capitolazione del 13 luglio 2015.[22] Se non si fa ricorso a misure unilaterali di autodifesa di fronte ai creditori, in particolare la sospensione di pagamento del debito, è impossibile ottenere concessioni forti da parte dei creditori. Bisogna che le forze politiche e sociali europee capiscano che un negoziato nel quadro europeo attuale, rispettando le regole dettate dalla Commissione europea, la BCE, o l’FMI, non può funzionare. Bisogna disobbedire ai creditori. Solo disobbedendo ai creditori si può imporre loro di fare concessioni. Certo, non c’è solo la questione del debito. Bisogna ripetere che oggi, esistono misure chiave di alternativa: a lato della sospensione del debito occorre l’abbandono delle misure di austerità e l’adozione di leggi che proteggano le persone che sono state colpite dalle politiche di austerità. Occorre anche una soluzione dal lato delle banche. Ci vuole una socializzazione del sistema bancario. Bisogna che le banche private passino nel settore pubblico e rispondano a criteri di servizio pubblico per servire gli interessi della popolazione. Ci vuole una politica fiscale totalmente diversa. Bisogna che il percento più ricco, le grandi imprese, paghino realmente le tasse, e che si diminuisca il carico delle tasse sulla maggioranza della popolazione: bisogna abbassare il tasso dell’IVA, bisogna che si esonerino da certe tasse quelli in basso fissando una soglia di reddito. È dunque la combinazione di una politica che agisca sul debito, sulle banche, sulla fiscalità, mettendo fine all’austerità e creando lavoro, quella che permette di realizzare un’alternativa. Questa alternativa è del tutto possibile. La popolazione è pronta e dà il suo sostegno. Se no non si capisce perché il 62% dei greci, mentre erano minacciati del caos se votavano NO, perché, malgrado questo martellamento, questo ricatto, la chiusura delle banche greche, perché hanno votato contro le proposte dei creditori.
La conclusione è che un movimento che vuole assumere responsabilità di governo deve essere all’altezza del sostegno popolare. Deve essere pronto. Se si propone alla popolazione di respingere le proposte dei creditori, se si propone di realizzare un altro programma, bisogna essere pronti a prendere le misure che permettono di realizzare tale programma. Abbiamo bisogno delle forze sociali e politiche che sono concretamente pronte d affrontare i creditori. E a disobbedire ai creditori.
La lezione fondamentale da trarre è che la moderazione non permette di trovare una soluzione. Bisogna appoggiarsi sulla popolazione e prendere misure molto forti.
Una moneta complementare nel quadro di un piano B.
A lato di misure forti, come la sospensione unilaterale di pagamento del debito e la socializzazione delle banche, esistono misure molto concrete, come la creazione di una moneta complementare che può avere effetti estremamente interessanti. Per un paese che si trova a scarsità di euro, come la Grecia, perché è asfissiata dalla BCE, è perfettamente possibile creare una moneta complementare per via elettronica. È, ad esempio, quello che ha fatto l’Ecuador da due anni. In quanto banca centrale del paese, si tratta di aprire un credito tramite il cellulare, ad esempio di 100 euro, che permette alle persone che lo ricevono (come i pensionati che riceverebbero una parte della loro pensione, i dipendenti pubblici, le persone che ricevono un sussidio pubblico) di pagare ad esempio la bolletta dell’elettricità, dell’acqua, i trasporti pubblici. … Potrebbero usare tali crediti anche per fare acquisti nei supermercati, perché bisogna capire che anche se i supermercati privati non sarebbero entusiasti della creazione di una moneta complementare, finiranno per accettarla per non perdere i clienti, che andranno a fare la spesa nei negozi che l’accettano. Le autorità del paese saranno allora in grado di concedere aumenti dei salari, aumenti delle pensioni, senza dipendere direttamente dalla moneta ufficiale.
La prospettiva di un’uscita dalla zona euro.
Per paesi come la Grecia o il Portogallo, l’uscita dalla zona euro diventa una prospettiva del tutto giustificata. Per riprendere la padronanza dell’economia e applicare politiche che rispondano agli interessi del paese, bisogna essere pronti a ritornare a una moneta nazionale. Ma secondo me, la cosa è valida solo se va insieme alla socializzazione delle banche, con una riforma fiscale favorevole a quelli in basso, con una soluzione radicale al debito. [23] Se no, ci sarà un’uscita da destra dalla zona euro. È proprio per questo che una parte dell’estrema destra sostiene tale uscita in modo sovranista. Bisogna evitarlo. Ci vuole un’uscita progressista, favorevole al popolo. Per ritrovare il controllo della propria moneta, per condurre una politica monetaria favorevole al mercato locale, in particolare ai produttori locali, non bisogna avere come obiettivo di vendere all’estero, ma di basarsi sulle forze produttive del paese per rispondere ai bisogni della popolazione e diminuire in tal modo le importazioni e dunque i bisogni in valute forti.
Note
[1] Questa versione contiene numerose note che permettono di approfondire e referenziare gli argomenti trattati.
[2] Sofia Sakorafa, che ha rotto con il PASOK, quando questo ha accettato il memorandum del 2010, è stata rieletta deputata nel giugno 2012 sulla lista Syriza. In seguito, è stata eletta al parlamento europeo nel maggio 2014. Il 9 gennaio 2011, il terzo quotidiano greco, in termini di tiratura (all’epoca), mi ha intervistato sotto il titolo «Non è normale rimborsare i debiti che sono illegittimi. I popoli d’Europa hanno anche il diritto di controllare i loro creditori». Il quotidiano spiega che «Il lavoro del Comitato in Ecuador è stato recentemente citato nel Parlamento greco dalla deputata Sofia Sakorafa». Ethnos tis Kyriakis, di centrosinistra, era il terzo quotidiano greco in termini di tiratura (100.000 copie). Versione in greco dell’intervista pubblicata il 9 gennaio 2011:
http://www.ethnos.gr/article.asp?catid=22770&subid=2&pubid=49752949 Vedi la versione francese.
[3] Tra i promotori del comitato cittadino di audit (ELE in greco) hanno avuto un ruolo particolarmente attivo: Leonidas Vatikiotis, giornalista e militante politico di estrema sinistra molto attivo ( non è membro di Syriza, fa parte del NAR, membro di Antarsya), l’economista Costas Lapavitsas (non era membro di Syriza, è diventato deputato di Syriza nel gennaio 2015, ha votato contro il 3° memorandum e partecipa al nuovo movimento politico ‘Unità Popolare’, Giorgios e Sonia Mitralias (che avevano creato nel luglio 2010 il comitato greco contro il debito, membro della rete CADTM).
….
Tra gli articoli pubblicati alla fine del 2010 per preparare il lancio del comitato di audit, vedi quello apparso il 10 dicembre 2010 su una rivista greca: « Ouvrez les livres de compte de la dette publique ! .»
Costas Lapavitsas sosteneva attivamente la necessità di creare una commissione di audit «la Commissione internazionale di audit potrebbe avere la funzione di catalizzatore contribuendo alla necessaria trasparenza. Questa Commissione internazionale, composta da esperti di audit delle finanze pubbliche, da economisti, da sindacalisti, da rappresentanti dei movimenti sociali, dovrà essere totalmente indipendente dai partiti politici. Dovrà appoggiarsi su numerose organizzazioni che permetteranno di mobilitare strati sociali molto ampi. In questo modo, la partecipazione popolare, necessaria di fronte alla questione del debito, comincerà a diventare realtà». (articolo pubblicato il 5 dicembre 2010 dal quotidiano Eleftherotypia, vedi in françese).
[4] A proposito di Debtocracy, vedi: «Dette: les Grecs et la Debtocracy», pubblicato il 13 luglio 2011.
[5] Panagiotis Lafazanis, uno dei dirigenti della Piattaforma di Sinistra in Syriza, ministro dell’energia, è stato dimissionato da Alexis Tsipras perché si è opposto all’accordo del 13 luglio 2015. P. Lafazanis dirige Unità Popolare, che dal 21 agosto 20125 riunisce i 25 deputati che hanno lasciato Syriza, la Piattaforma di Sinistra e altre forze della sinistra radicale.
[6] Nadia Valavani, viceministro delle Finanze, che si è dimessa dal governo il 15 luglio perché si opponeva all’accordo del 13 luglio 2015. Nadia Valavani è conosciuta per la sua coraggiosa attività nella resistenza alla dittatura dei colonnelli (1967 – 1974).
[7] Vedi in greco: ΣχόλιαΓιάνης Βαρουφάκης Debtocracy : Γιατί δεν συνυπέγραψα
http://www.protagon.gr/?i=protagon.el.article&id=6245, pubblicato l’11 Απριλίου 2011.
In questa lunga lettera, Yanis Varoufakis, spiega perché non sostiene la creazione del comitato cittadino di audit (ELE). Varoufakis spiega che l’economista James Galbraith gli ha chiesto il 2 febbraio 2011 se bisognava firmare l’appello per la creazione di ELE. Per la cronaca, sono io che avevo scritto a Galbraith per chiedergli di firmare l’appello internazionale. Nel lungo testo pubblicato nell’aprile 2011, Varoufakis dà anche il suo parere sul documentario Debtocracy, nel quale è intervistato.
Da notare che nel marzo 2011ero stato invitato da Synaspismos (il principale partito della coalizione Syriza, diretta da Alexis Tsipras prima che Syriza si trasformasse in partito nel 2013 ed eleggesse A. Tsipras come presidente) come conferenziere ad Atene a una grande conferenza internazionale, nel corso della quale sono intervenuti, tra gli altri, Y.Varoufakis, Alexis Tsipras, Y. Dragasakis… Una parte della mia conferenza è stata pubblicata in inglese in un libro edito ad Atene da Elena Papadopoulou e Gabriel Sakellaridis (Edited by), THE POLITICAL ECONOMY OF PUBLIC DEBT AND AUSTERITY IN THE EU, Transform, Athens, 2012.
Tra gli autori: Yanis Varoufakis, Alexis Tsipras, Nicos Chountis, Yannis Dragasakis, Euclid Tsakalotos, Éric Toussaint …
http://transform-network.net/uploads/tx_news/public_debt.pdf Il contributo di Yannis Varoufakis dà una buona idea del suo orientamento moderato (vedi una versione più sviluppata della sua posizione: http://yanisvaroufakis.eu/euro-crisis/modest-proposal/ ) mentre quella di Alexis Tsipras riprende l’orientamento più radicale adottato da Syriza fino a giugno 2012. Alexis Tsipras si pronuncia per un audit integrale del debito, la socializzazione delle banche, la tassazione dei beni della Chiesa… La versione françese del mio contributo è stata scritta nel gennaio 2011.
[8] La proposta in 5 punti di Syriza è stata presentata il 9 maggio 2012 da Alexis Tsipras quando è stato incaricato, tra i due turni delle elezioni del 2012, di tentare di costituire un governo. Vedi il quotidiano conservatore greco Ekathimerini: «Tsipras lays out five points of coalition talks», 9 maggio 2012,
http://www.ekathimerini.com/141399/article/ekathimerini/news/tsipras-lay.... Questi 5 punti erano ricavati dai 40 punti del programma di Syriza per le elezioni del 2012, «Greece: SYRIZA’s 40-point program», http://links.org.au/node/2888
Occorre sottolineare che tale programma esigeva in particolare la nazionalizzazione delle banche, la deprivatizzazione delle imprese vendute ai privati, la nazionalizzazione degli ospedali privati, riforme costituzionali per separare la Chiesa e lo Stato, dei referendum sui trattati europei, l’uscita dalla NATO, la fine dell’accordo militare con Israele…
[9] Vedi il video del mio discorso al 1er festival della gioventù di Syriza Vedi il testo completo.
[10] Ho avuto l’occasione di sviluppare questo punto di vista in una interview che ho rilasciato al quotidiano greco Il giornale dei redattori (I Efimerida ton Syntakton - vicino a Syriza) nell’ottobre 2014.
La versione originale in greco è disponibile su: http://www.efsyn.gr/?p=245093 In questa intervista, sono espresse in maniera chiara e netta le proposte alternative all’orientamento che è stato messo in pratica da Alexis Tsipras e dalla maggioranza della direzione di Syriza.
Nel febbraio 2013, ero già stato intervistato dallo stesso quotidiano e avevo espresso timori in rapporto alla moderazione delle proposte di Syriza. Vedi Éric Toussaint: «La Grèce doit suspendre unilatéralement le remboursement de sa dette».
L’intervista originale è stata pubblicata il 23 febbraio 2013 dal quotidiano greco «efsyn»(Il giornale dei redattori): http://www.efsyn.gr/?p=25897
[11] Vedi « Dette : Quelles stratégies en Europe ? », Discussione tra Syriza, Podemos, el Bloco de Esquerda e il CADTM sulle strategie per fare fronte alla crisi del debito in Europa (Parlamento europeo – 20 gennaio 2015).
[12] Vedi La Grèce devrait mettre sur pied une commission d’audit de sa dette Vedi anche: «Si un gouvernement Syriza appliquait à la lettre un règlement de l’UE sur la dette...» pubblicato il 22 gennaio 2015.
[13] Vedi sul sito del parlamento greco: ttp://www.hellenicparliament.gr/En... (only in greek) Occorre sottolineare che Zoe Konstantopoulou era stata molto chiara sul tema del non pagamento del debito illegittimo il 6 febbraio 2015 in un discours prononcé lors de son élection en tant que Présidente du Parlement hellénique.
[14] Vedi la critica di Manolis Glezos, deputato europeo di Syriza,
Glezos: «Je demande au Peuple grec de me pardonner d’avoir contribué à cette illusion», pubblicato il 22 febbraio 2015
[15] Vedi Éric Toussaint, « 4 avril 2015 : Journée historique pour la recherche de la vérité sur la dette grecque », pubblicato il 5 aprile 2015, Zoe Konstantopoulou, « Discours de la présidente du Parlement grec, Zoe Konstantopoulou, à la session inaugurale de la Commission de vérité de la dette publique », pubblicato il 5 aprile 2015, Sergi Cutillas « Chronique des interventions de l’exécutif grec au Comité d’audit de la dette grecque ».
[16] Vedi Définition des dettes illégitimes, illégales, odieuses et insoutenables et Termes de référence de la Commission pour la Vérité sur la Dette grecque
[17] Video : Intervention d’Éric Toussaint à la présentation du rapport préliminaire de la Commission de la vérité
Rapport préliminaire de la Commission pour la vérité sur la dette publique grecque.
Video : Conférence de presse de clôture au Parlement grec.
[18] Communiqué d’Éric Toussaint in seguito all’incontro con il ministro Dimitris Stratoulis che ha l’incarico delle pensioni, pubblicato il 15 maggio 2015
[19] La presidente del parlamento greco si è opposta a questo accordo, come vari ministri e deputati di Syriza. Vedi Discours de Zoé Konstantopoulou, présidente du parlement grec, sur le projet soumis par le gouvernement aux créanciers l’11/07/2015.
[20] Il giorno stesso ho pubblicato un articolo proponendo un’alternativa a questo accordo: Une alternative est possible au plan négocié entre Alexis Tsipras et les créanciers à Bruxelles, pubblicato il 13 luglio 2015
[21] 32 deputati di Syriza hanno votato contro questo accordo, con la presidente del parlamento greco e Yannis Varoufakis. Vedi Discours de Zoé Konstantopoulou en faveur du NON à l’accord imposé par les créanciers.
[22] Vedi Éric Toussaint, « Grèce : les conséquences de la capitulation » e Post-scriptum : Les conséquences de la capitulation.
[23] Avevo menzionato questa posizione in un’interview al quotidiano svizzero Le Courrier il 3 febbraio 2015.
Communia.net
14 09 2015
Trascorso del tempo dall'accordo tra Troika e Grecia si può provare a trarre qualche considerazione di più ampio respiro, provando a uscire dalla logica manichea traditore versus eroe popolare, capitolazione versus vittoria. Senza fare/farci sconti per capire cosa comporta quell'accordo e, in particolare, per considerare cosa fare per poter cambiare qui e ora. Questa terribile vicenda, infatti, pone seri problemi per una prospettiva di trasformazione. Dopo anni di marginalità su scala internazionale il cambiamento è parso alla portata nel piccolo paese ellenico, o, perlomeno, si è posta la concreta possibilità di iniziare un processo di controtendenza, rimettendo in discussione debito e austerità, cioè i pilastri della costituzione materiale del neoliberismo sul piano europeo. Le conseguenze di ciò che è accaduto, dunque, ricadono sull'agire politico di molteplici paesi.
Il piano B e le sue banalizzazioni
Con tutte le cautele del caso e la consapevolezza di non poter impartire lezioni ai greci, penso che nell'estenuante trattativa di luglio fosse necessario prevedere un piano B. Prima di spiegare perché fosse necessario preferisco concentrarmi sulle difficoltà di una sua realizzazione. Non mi convince, infatti, come da diverse parti esso sia stato banalizzato. Ridurre la complessità del contesto ellenico (ma che potrebbe riguardare molti altri paesi, almeno per diverse questioni) e perorare la causa del piano B senza comprenderne o sottovalutandone le difficoltà implicite rischia di diventare un autogol, in quanto non consente un'azione politica ad ampio raggio, riduce i soggetti sociali con cui interloquire, depotenzia in definitiva la rottura. Inoltre se non si hanno chiari i suoi punti deboli è più facile che esso si risolva in un fallimento anche dal punto di vista semplicemente tecnico, oltre che politico.
Per i fautori storici dell'uscita dall'euro il caso greco è l'ultima e più clamorosa dimostrazione della bontà delle loro tesi, tanto da non capacitarsi di chi ancora esprime dubbi e perplessità. L'uscita dalla moneta unica per questi costituisce non solo il punto di partenza, ma per molti versi anche quello di arrivo. Se i mali, in particolare dei paesi periferici, nascono quasi tutti dall'avvento dell'euro, sgomberare il campo dalla moneta unica significa di per sé giocare su un terreno più congeniale. Tale approccio non solo rimuove tutta la dimensione sovranazionale dei problemi che abbiamo di fronte, dall'ipercompetizione che destruttura il mercato del lavoro e lo stato sociale fino ai processi di privatizzazione e mercatizzazione di sempre più ampie aree di prodotti e di vita stessa. Ma rimuove persino le difficoltà più dirimenti sul piano monetario.
Le difficoltà di un'uscita dall'euro, indubbiamente, vengono ingigantite dagli estimatori dello status quo mentre Alberto Bagnai sottolinea, ad esempio, come i problemi di un aumento del costo della vita per un paese che dovesse svalutare la sua moneta non sono così stringenti e meccanici. Se si svaluta del 30% i prezzi non aumentano altrettanto, in passato si è registrato, infatti, l'intervento di una serie di meccanismi di riequilibrio tra consumi e prezzi tale da ridurre l'impatto della svalutazione.
Ma ciò che ha messo in evidenza la Grecia è che durante la rottura si apre una fase di crisi di liquidità. Non è solo un problema tecnico, le banche falliscono, sono necessari salvataggi pubblici e anche processi di rinazionalizzazione di parte del segmento del credito. Ciò si può fare immettendo una nuova moneta, congelando i movimenti di capitali e facendo ripartire progressivamente l'economia su una scala minore. Fin qui tutto è possibile.
Tsipras dopo l'accordo ha affermato che se avesse deciso di alzarsi dal tavolo e andarsene «in quel preciso istante sarebbero crollate le banche greche. Questo crollo avrebbe significato non il taglio dei depositi nei conti correnti ma che non ci sarebbero più stati conti correnti»[1]. Con questa affermazione ha ingigantito i problemi che il suo paese avrebbe dovuto immediatamente affrontare, se avesse deciso perlomeno di dare vita a una seconda moneta ad uso interno. Ma creare moneta, come travisano spesso una parte di keynesiani, non è operazione che può avvenire illimitatamente e senza alcuna verifica, specie per un piccolo paese con poche risorse interne. I sostenitori dello stampar moneta, in piccolo, ripropongono le medesime politiche monetarie espansive che le varie banche centrali in questa fase stanno applicando a livello globale. I successi risultano al di sotto delle attese, i limiti di una tale scelta sarebbero ancor più stringenti per un paese periferico.
Per la Grecia i nodi di ordine macroeconomico sarebbero giunti al pettine presto. Come evidenzia Emiliano Brancaccio l'uscita dall'euro avrebbe dovuto essere accompagnata da un minimo di politica espansiva, comportando per un periodo di certo non breve «un aumento del valore delle importazioni e quindi dell'indebitamento verso l'estero. La Grecia, dunque, avrebbe avuto bisogno di un sostegno finanziario esterno di due o tre anni per gestire la transizione dalla vecchia alla nuova moneta»[2]. Una rottura avrebbe comportato il ripudio parziale del debito sovrano, una scelta sostenibile per un paese in avanzo primario, almeno nell'immediato, ma la Grecia non è un paese stabilmente in avanzo primario e, soprattutto, ha anche un problema a livello della bilancia commerciale, tra entrate e uscite. Torniamo così alla questione degli aiuti.
Il giornalista economico David Wolman, in un testo che auspica la fine del contante, descrive come in America prima dell'indipendenza le economie locali fossero in carenza cronica di denaro circolante, poiché i coloni importavano molti beni dall'Europa, le monete «che entravano nei loro borsellini riattraversavano ben presto l'Atlantico»[3]. Riuscirono ad aggirare il problema immettendo progressivamente moneta cartacea, non più legata al valore di un metallo prezioso. Stamparono moneta differendo il momento della verifica del suo effettivo valore, lasciando a lungo aperta, specialmente negli Usa, la controversia «tra la paura della carta moneta e i vantaggi della valuta nazionale»[4]. Tale gioco degli specchi, protrattosi in buona misura fino a ora, non è detto che possa riuscire ancora a lungo nemmeno per la principale potenza economica.
Durante le trattative gli esponenti del governo greco affermano, credibilmente, che i potenziali nuovi partner politici e commerciali non hanno garantito alcun aiuto significativo. Un aiuto che non sarebbe stato privo di contropartite, ma che comunque non valeva la pena fornire al prezzo di una ulteriore destabilizzazione a livello europeo. Qui torna anche il quadro sovranazionale e l'incatenamento dell'economia mondiale. Russia e, soprattutto, Cina non avevano nulla da guadagnare dalle fibrillazioni dell'euro. Altra cosa sarebbe stato, dentro un quadro pacificato, poter acquistare a prezzo di saldo infrastrutture. In questo periodo neppure la geopolitica fa miracoli. Il nodo che pone Brancaccio, fautore egli stesso di una rottura per il caso greco, è lasciato aperto, in quanto di non facile soluzione. Ciò dimostra che il batter moneta non sia una panacea, che esistono condizioni economiche da fronteggiare perché una moneta risulti poi sostenibile nel tempo. E dimostra come non sia semplicemente ipotizzabile un regime di svalutazione competitiva per far ripartire un paese, come i processi globali stringano le economie nazionali, come si debbano affiancare processi di sottrazione ai vincoli di mercato e di alternative economiche più profonde.
E allora?
Insomma se le contraddizioni principali restano strutturali e globali non è possibile risolverle sul piano locale. Ogni tentativo finisce per cozzare con tale dimensione dei problemi. Su questo rimane la distanza con l'impostazione no euro. Gli espedienti monetari non riescono a risolvere le aporie della contemporaneità, rischiano solo di far scivolare verso una logica competitiva e mercantilista in scala minore. Ma il caso greco ha costituito una prima occasione concreta di cambiamento con dilemmi di non facile soluzione. Non possiamo cavarcela dicendo che non c'erano i rapporti di forza sufficienti oppure che il rischio era quello di fare il gioco del nemico, cioè di uscire dall'euro come chiedeva a gran voce il blocco concentrato attorno alla Germania.
Alla domanda di trasformazione costituita da Syriza prima e soprattutto dal risultato del referendum dopo non si può rispondere con l'accettazione sostanziale dei consueti diktat delle classi dirigenti europee. Provare a valorizzare anche in questo caso la logica del meno peggio costituisce un'immensa sproporzione rispetto alle spinte provenienti dalla società greca da un lato e dalla postazione di potere raggiunta per la prima volta da una forza dichiaratamente contro l'austerità dall'altro.
Il Terzo Memorandum rischia così di sancire oltre che la fine della socialdemocrazia, anche quella di una qualsivoglia sinistra. La socialdemocrazia, come afferma Jacques Sapir, «ha contribuito a schiacciare un tentativo di costruire un'altra direzione economica in Europa»[5], mentre la sinistra non è riuscita a ipotizzare vie di uscita da questa operazione. C'è stata una perdita di senso drammatica se si considera che prima delle elezioni Syriza dichiarava: «Noi ci assumiamo la responsabilità di varare un piano di rinascita nazionale che sostituirà il memorandum della Troika appena saremo al governo, prima e indipendentemente dal risultato dei negoziati con la Ue»[6]. Oppure immediatamente dopo il clamoroso risultato il governo sosteneva l'indisponibilità a proseguire nelle politiche concordate nei precedenti memorandum per poter ottenere l'ultima tranche di aiuti da 7 miliardi di euro a fine febbraio. Dal potenziale rifiuto di un ulteriore aiuto da 7 miliardi si è passati a concordarne uno da 86.
Il problema così è sulla natura del cambiamento e persino sulla sua possibilità. Si dice che non vi erano i rapporti di forza sufficienti, ma in realtà si pensa che non vi fossero le condizioni finanziarie per reggere una rottura. Ma questa è la strada possibile? È ipotizzabile disarcionare la finanza a mezzo della finanza? Oppure il cambiamento deve battere strade diverse? Certo si poteva immaginare una maggiore arrendevolezza nella zona euro ma, una volta registrata l'intransigenza, era necessario imboccare comunque la strada del cambiamento oppure dichiararne apertamente l'impraticabilità, con tutto ciò che ne consegue?
A tal proposito non si può sottacere il clamoroso significato del risultato referendario. I greci a netta maggioranza hanno detto non solo No (Oxi) ai piani europei, ma hanno dimostrato che erano disposti a correre il rischio che le code ai bancomat si allungassero ancora o peggio, come sosteneva l'intero establishment continentale, che non vi fossero più poiché sarebbero finiti i soldi nelle banche. Una tale dimostrazione di determinazione verso il cambiamento da far risultare incomprensibile come non sia stata compresa e valorizzata dopo il referendum stesso.
Sul cambiamento c'è una sorta di fraintendimento tra quelli che vi aspirano. Si parla di un ritorno della politica, oggi dominata dall'economia, ma al primo passaggio concreto di verifica si torna alla bismarkiana politica come «arte del possibile», dove però il possibile si esaurisce in ciò che soddisfa l'economia dominante. Qui sembra emergere una sottovalutazione di come il neoliberismo sia giunto in profondità. In La nuova ragione del mondo[7] Pierre Dardot e Christian Laval descrivono il potere intrinseco dei meccanismi economici dominanti, come essi abbiano ricadute su tutte le sfere del vivere sociale, quale sia in definitiva la loro efficienza, la loro presa, la loro razionalità. Non si può ipotizzare di cambiare tale quadro senza traumi, a meno che non si pensi di rimanere nell'ambito della propaganda o peggio nell'arroccamento su posizioni consolidate.
Alain Badiou considerava il tentativo di cambiare sviluppatosi in Grecia come «una vera avventura»[8], ma appunto nelle avventure non vi sono assicurazioni sulla riuscita, il finale felice non è garantito. Dopo decenni di strapotere neoliberista e di involuzioni politico-sociali non è possibile intendere il cambiamento se non come un tentativo pieno di incognite e di sperimentazioni in mare aperto. Un dirigente di Syriza deluso dall'accordo ha affermato che «è meglio un salto nel vuoto che uno nel nulla». Questo è il vero tema su cui vale la pena riflettere. Il caso greco per la prima volta ha messo concretamente a tema il cambiamento, non si tratta di dare pagelle a Syriza e meno che mai di accusare di tradimento i suoi dirigenti, ma di ragionare sui dilemmi del mancato avvio di un processo di cambiamento.
Cosa faremmo in Italia o negli altri paesi periferici se dovessimo fronteggiare una condizione simile? In cosa consiste il cambiamento, stante le attuali condizioni (queste sì, considerate realisticamente e non confuse con i nostri desiderata)? Invece di parlare di «sinistra di governo», definizione che ribalta maldestramente un obiettivo in un profilo identitario, bisognerebbe comprendere davvero come si esce dall'attuale economia dominante, ma non al prezzo di una sua riproposizione gestita in maniera più illuminata. Le difficoltà sono enormi, ma al momento le idee ancora poche, si tratta di riconoscerlo e non di far finta di niente. L'alternativa è problematica da pensare e mettere in pratica, ma rimuoverla dall'orizzonte non aiuta a darci senso, tra cambiamento e conservazione dell'esistente tertium non datur. Il rischio è condannarci alla marginalità perenne. Una condanna a questo punto piuttosto meritata se continuiamo ad auto-censurarci, aspettando tempi migliori che dovrebbero scaturire da non si sa cosa.
*Fonte articolo: http://temi.repubblica.it/micromega-online/grecia-la-necessita-di-un-pia...
NOTE
[1] Dellolanes D., Il contrattacco possibile di Syriza, in «il manifesto», 12 agosto 2015.
[2] Russo Spena G. intervista Brancaccio E., Serve un “piano B”, la sinistra impari dalla debacle di Tsipras, in www.temi.repubblica.it/micromega-online, 16 luglio 2015.
[3] Wolman D., The End of Money, Laterza, Bari, p. 25.
[4] Ibidem, p. 26.
[5] Sapir J., La Grecia, la sinistra e la sinistra della sinistra, in www.vocidallestero.it, 24 luglio 2015.
[6] Livini E., Addio austerity, ecco il programma economico di Syriza, in www.repubblica.it, 7 gennaio 2015.
[7] Dardot P., Laval C., La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista, DeriveApprodi, Roma 2013.
[8] Badiou A., Onze points mélancolique sur le devenir de la situation grecque, in www.liberation.fr, 20 agosto 2015.
Dinamo Press
14 09 2015
C'è un cartello appeso da poco alla biglietteria della stazione dei bus di Salonicco, dove per dieci euro ti compri la possibilità di provare a oltrepassare un'altra frontiera, un passo avanti in fuga dalla guerra. Pros Eidomeni, per Idomeni, località greca al confine con la Macedonia, nel bel mezzo del nulla [...] : filo spinato, polvere, sporco e tanta, troppa polizia, l'unica incaricata ufficialmente di organizzare gli attraversamenti e gestire la situazione come si trattasse di un qualsiasi problema di ordine pubblico.
Dunque, un'ora scarsa di autobus (a dieci euro) che neppure ti conduce al confine informale tramite cui il governo di Skopje ha deciso di far passare migliaia e migliaia di uomini, donne, bambini (Migranti, rifugiati o expat, cfr. l'interessante riflessione di Andrea Natella).
Oggi ci fermiamo circa 7 km prima di Idomeni, perché la polizia greca, che cambia idea ogni giorno e forse più volte al giorno, ferma gli autobus, consegna un numero a un “responsabile” scelto nel mucchio, in genere qualcuno che capisce l'inglese, e obbliga i gruppi così formati a aspettare anche per ore il proprio turno; finita l'attesa, il gruppo - nel frattempo disperso, riformato a suon di minacce, mescolato o abbandonato perché le conflittualità etniche e nazionali sono spesso motivo di attrito, soprattutto in condizioni di stanchezza e tensione - ottiene il permesso, bimbi in spalla e polvere negli occhi, di incamminarsi fino a Idomeni, sedersi e attendere, di nuovo. Qualcuno non ce la fa? Ci sono bambini con una gamba rotta o persone anziane?
Nessun problema, un folto plotone di tassisti, in rapporti di amicizia quanto meno ambigua con la polizia greca, è pronto a accompagnarti al confine per soli altri dieci euro, che poi che saranno mai, se ne hai pagati migliaia per attraversare il mare su un gommone? Idomeni, dunque. Tira vento, è quasi freddo, la polvere si alza minacciosa e l'orizzonte è zeppo dei resti dell'accampamento di ieri, quando le persone erano all'incirca diecimila, ci dicono. Oggi la situazione pare tranquilla, dopo i lacrimogeni lanciati nella notte tutti sono passati e qui, freschi e riposati, ci sono solo i “nuovi”.
Passati dove? È la prima domanda che sorge spontanea, folle come il tentativo di bloccare questa marea umana. Non c'è niente davanti a noi, se non filo spinato messo lì alla bell'è meglio, a indicare che da una parte il prato è greco e dall'altra macedone. Una frontiera non ufficiale, ci dicono, l'unica da cui possono passare, divisi in altri gruppi ancora, per poi ricominciare a camminare. L'inconsistenza materiale di un concetto e insieme la profonda fisicità dei corpi immobilizzati, dell'impossibilità di movimento, dello scontro con la polizia, un rischio sempre dietro l'angolo, per qualsiasi minimo segno di protesta. Ore infinite e sospese, con la netta sensazione dell'inutilità di tutto questo e con in testa una serie di domande a cui nessuno dà risposta.
«Non va bene qui, ci sono bambini piccoli, è sporco, non sappiamo dove sederci. Perché ci trattano così?», ti sputa in faccia un quindicenne siriano, che parla inglese perfettamente e ha lasciato, solo, la famiglia in Turchia con in testa il sogno della Germania. «Nessuno parla con noi, nessuno ci spiega niente, so solo che non abbiamo un piano B, e arriveremo dove dobbiamo, punto», ammette un padre di famiglia iracheno, che sa già a chi rivolgersi per trovare il modo di attraversare l'Ungheria con tre bambini in un camion, senza essere visto perché «abbiamo visto le immagini, a Budapest ti mettono in prigione, preferisco rischiare in un altro modo». Storie di contatti presi al telefono e di migliaia di euro immessi nel mercato del traffico umano, dubbi e piani confusi: «Com'è la Norvegia, credi che potrò continuare lì il mio dottorato?». Storie di fuga dall'IS e di case crollate, storia di tanta, tanta disperazione e altrettanta speranza, storie che un po' si assomigliano tutte, ma anche no, e quando te le trovi di fronte una in fila all'altra non puoi che augurare a tutti buona fortuna, con in testa però il capitolo di violenza che seguirà, altri confini, altra polizia, altro razzismo, altro sfruttamento.
Idomeni è un luogo di passaggio, dove gli sforzi eccezionali, a tratti insostenibili, ai limiti e oltre l'auto-sfruttamento, dei volontari, gruppi di solidarietà e singoli - compreso il sindaco - riescono a coprire solo minimamente i bisogni reali e dove l'assenza di un piano generale di gestione dell'emergenza stride con le dichiarazioni ufficiali, altisonanti e calcolate, degli ultimi giorni: piani di accoglienza, obbligo di ripartizione e via dicendo. Ottimo, se, almeno in parte, sono state le spontanee mobilitazioni delle popolazioni europee e l'ostinazione dei migranti a forzare queste decisioni.
Ma il terreno è scivoloso, e difficile realizzare fino in fondo come, dove, quando agire per intersecare le lotte di chi, fuggendo verso la libertà di un continente con le mani perennemente insanguinate, si scontra con i suoi muri, con l'ipocrisia delle sue leggi democratiche e delle sue gerarchie interne, con un'inclusione riservata solo a chi è - temporaneamente - utile in termini economici e di calcolo politico. Come incontrare queste popolazioni che si spostano senza sosta e si allontanano verso un orizzonte sempre nuovo, questi uomini e queste donne con cui condividiamo il sogno di un mondo dove muoversi sia sempre una decisione, e possa essere perseguita senza rischi e senza limitazioni?
Non è facile, ma forse ora è davvero il momento di cercare una risposta, pratica e condivisa, perché questa storia sia in parte, e nelle sue fasi più conflittuali, costruttive e di lotta, anche la nostra.
da seguire:
noborders20miglia.noblogs.org/ (verso la tre giorni del presidio NoBorders di Ventimiglia, 11-12-13 settembre)
Eidomeni Coordinating Refugees Help (FB)
Refugee Solidarity Movement Thessaloniki (FB)
Κοινωνικό Κέντρο / Στέκι Μεταναστών (FB)
foto e racconti da Kos e Idomeni (in aggiornamento): www.timon-photography.jimdo.com