Lettera 4305 11 2015Il governo degli Stati Uniti ha dato il suo ok: dopo la Gran Bretagna, l'Italia è il secondo Paese autorizzato dagli Usa ad armare i droni prodotti dalla General Atomics Aeronautical Systems, modello MQ-9 Reaper.
Velivoli senza pilota dotati di un motore da 950 cavalli, che potranno essere equipaggiati con missili air-to-ground, bombe a guida laser e altre munizioni.
ARMAMENTO DEL VALORE DI 129 MILIONI. Secondo la Reuters, che ha anticipato la notizia poi confermata dal ministero della Difesa italiano, l'autorizzazione riguarda l'armamento per due droni, per un valore complessivo di 129,6 milioni di dollari.
Armare i droni è possibile solo con licenza americana: il Pentagono ha così soddisfatto una richiesta arrivata da Roma nel 2011.
Ma per che tipo di missioni potranno essere utilizzati? E in quale dei tanti scenari di guerra aperti sullo scacchiere internazionale?
Attualmente sono tre le missioni in cui l'Italia utilizza gli aerei senza pilota con funzioni di ricognizione e sorveglianza: in Iraq, nell'ambito della coalizione di contrasto all'Isis. E nelle due missioni nel Mediterraneo, quella nazionale Mare sicuro e quella europea antiscafisti EunavforMed. In passato, i droni erano stati impiegati anche in Afghanistan e a Gibuti.
IN SIRIA O IN IRAQ. Il generale Leonardo Tricarico spiega a Lettera43.it: «Questi droni possono essere equipaggiati con missili Agm-88 Hellfire e sono in grado di colpire qualsiasi obiettivo. In Siria oppure in Iraq, dove sono già presenti con funzioni di sorveglianza, potrebbero colpire i campi d'addestramento e i pozzi di petrolio in mano all'Isis».
L'autorizzazione fornita dal Pentagono, del resto, è generica.
Nel senso che non è riferita a una missione all'estero in particolare.
IPOTESI LIBIA? DIFFICILE. L'ipotesi che i due droni armati possano essere usati anche per colpire in Libia le basi dei trafficanti di esseri umani, tuttavia, non convince il generale Tricarico: «Un'eventualità del genere potrebbe verificarsi soltanto se l'Onu acconsentisse a far passare la missione EunavforMed alla cosiddetta fase 3, ma allo stato attuale mi sembra difficile».
Agli occhi del generale, non c'è nessuno che in questo momento si stia spendendo «con la dovuta energia» per promuovere la necessaria risoluzione del Consiglio di sicurezza.
Anche perché la comunità internazionale, in Libia, continua a ricercare la via di un dialogo che appare sempre più complicato.
ACCORDO ANCORA LONTANO. Il successore di Bernardino Leon, il tedesco Martin Kobler, è stato confermato nel ruolo di nuovo inviato delle Nazioni unite. Il passaggio di consegne è previsto a novembre, ma per il generale Tricarico «un accordo tra le fazioni libiche è ancora molto lontano, addirittura in alto mare».
In questo contesto l'intervento militare, anche con il solo impiego di velivoli armati senza pilota, non appare praticabile.
«A meno che», aggiunge Tricarico, «a prescindere dal raggiungimento di un accordo tra i rappresentanti politici delle fazioni libiche, non si decida di forzare la mano. Ma mi sembra molto improbabile».
EUNAVFORMED UNO SPRECO DI RISORSE. Nel Mediterraneo lo scenario più verosimile, con o senza droni armati italiani, resterà quello 'dominato' dalla missione EunavforMed: «Una missione che fatta così non ha alcun senso e che continua a consumare inutilmente milioni di euro», è il severo giudizio del generale Tricarico.
D'altra parte, prima che i droni siano effettivamente operativi con la nuova dotazione missilistica, dovrà passare qualche mese.
E dell'altro tempo è necessario agli equipaggi dell'Aeronautica, che devono imparare a pilotarli con il controllo remoto.
PERSONALE GIÀ ADDESTRATO. Anche se, rivela il generale Tricarico, «il personale militare italiano dispone già di alcune unità di livello Top gun», il più alto e maggiormente specializzato nel manovrare i droni.
Un piccolissimo drappello, composto da meno di 10 persone. Che al riparo da occhi indiscreti, assicura il generale, hanno già imparato a usare le nuove armi.
Davide Gangale