×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 407

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 415

Immigrazione, una sfida che sappiamo solo perdere

Il Fatto Quotidiano
04 05 2014

di Furio Colombo 

Che dite, li prendiamo o li lasciamo in mezzo al mare, secondo la dottrina Maroni (ex ministro dell’Interno di fede leghista, qualcuno ricorda?) che non voleva neanche avvicinarsi per sapere se qualcuno di quelli che stavano annegando aveva diritto di asilo? Prenderli sono troppi, dice con giudizio la maggioranza degli italiani che, come tutti sanno, sono buoni ma non stupidi. Non c’è lavoro per noi, figuriamoci per loro.

Ma ricominciamo dal principio. Ci sono più sbarchi e arriva più gente. Secondo Matteo Salvini (sarebbe il segretario attuale della Lega Nord, se la Lega Nord esistesse ancora), secondo La Russa e Gasparri, politici che hanno fine sensibilità e vista lunga (durante il conflitto in Libia avevano predetto “un esodo biblico”) la causa maligna di questi sbarchi è l’operazione “Mare Nostrum”. Significa che, per la prima volta da quando l’Italia si è in parte liberata dalla infezione leghista (espressa bene da Bossi, che oggi non è nessuno ma allora era il capo, con le vivide parole “calci in culo e giù nel mare”) la Marina militare invece di respingere (lo facevano, a nome nostro, navi italiane donate a Gheddafi) adesso aiuta a salvarsi.

E subito arrivano messaggi di panico. Primo messaggio: “Hanno saputo che l’Italia accoglie e si imbarcano tutti”. Persino quando è in buona fede, questa frase è un messaggio insensato. Infatti, la gente salvata non sta arrivando in crociera. Non attraversa per settimane un deserto da cui molti non arrivano vivi, solo per un cambio di residenza. Dire che salvare chi è in pericolo in mare incentiva gli sbarchi è come dire che un ospedale incentiva la malattia. Il secondo messaggio, che si ripete anche presso rispettabili fonti, è: “Vedete? Gli sbarchi quest’anno sono il doppio dell’anno scorso”. Come non ricordare l’impressionante sequenza di barche rovesciate e di morti in mare, l’anno scorso, fra l’indifferenza di Malta (che fingeva di non essere coinvolta), il caos libico e una inerzia italiana così evidente che barche private e pescatori uscivano spontaneamente in mare e, in un caso, sono state salvate (da italiani, non dallo Stato) oltre duemila persone? Qualunque statistico, sulla base del confronto e dell’esperienza, sarebbe in grado di dire che, se adesso il numero di salvati è più grande, la ragione è che adesso è molto più piccolo il numero dei morti annegati. Molta gente, prima, veniva lasciata morire. È bene ricordare che, ai tempi del governo Berlusconi-Bossi, salvare naufraghi in mare era reato. Poteva essere punito con l’imputazione di “mercanti di carne umana”.

Ma la propaganda in favore dei morti in mare aggiunge un quarto messaggio: “I nostri centri di accoglienza sono allo stremo”. Qui si sommano un delitto e una grave negazione di verità. Il delitto è stato puntigliosamente compiuto dal governo Berlusconi-Maroni: hanno tolto ai centri tutto ciò che si poteva togliere per renderli invivibili. A Lampedusa, ad esempio, unico punto di salvezza per gli scampati alla polizia italo-libica, il solo centro di “accoglienza” nell’isola è stato del tutto smantellato. Ma la bugia è che si tratti di “centri di accoglienza”. Sono invece i famigerati centri di detenzione detti di “identificazione e di espulsione”, dove l’identificazione è impossibile (c’è solo lo sfortunato personale di guardia) e la detenzione non ha né termini né regole né garanzie precise. Dunque, alla politica leghista di negare il problema segue ora un’incredibile incapacità o non volontà di affrontarlo. In questa confusione colpevole, non si sa sulla base di quale “intelligence” un direttore generale del Viminale annuncia improvvisamente, nei giorni scorsi (se la sua dichiarazione è stata riportata correttamente) che sono in arrivo 800 mila profughi.

La cifra enorme non è nuova. È stata varie volte annunciata negli anni per consolidare la volontà italo-leghista di respingere. L’affermazione ricorda conversazioni occasionali (“magari ne arrivano 800 mila, magari ne arriva un milione”) ovviamente prive di fondamento, certo gravemente improprie, se dette da funzionari con alta responsabilità. Ma servono a ricordare il vuoto della nostra politica. “Ma non posiamo prenderli tutti”, è la frase più umana. È noto, e gli sbarcati lo ripetono continuamente, che la stragrande maggioranza di essi non vuole restare in Italia, sa e dice dove e presso chi vuole andare in Europa. Ma tutte queste indicazioni e notizie cadono nel vuoto. Inutile dire “l’Italia viene lasciata sola”. Finora l’Italia non si è mai fatta sentire sulla linea dei diritti-doveri che legano i Paesi dell’Unione. Un Paese serio e rispettabile, oltreché adempiere ai doveri degli impegni sottoscritti con i partner europei, ha il diritto di esigere che il movimento dei migranti sia libero nella Ue, e che solo una autorità europea possa decidere l’espulsione, considerando la sacralità del diritto di asilo. L’Italia continua a non farlo, a fare la vittima e a produrre vittime. Tutto ciò è l’esito di una pessima politica mai cancellata. Fa apparire l’Italia un Paese stupido e crudele.

Uisp al Coni: "Ius soli sportivo, noi lo facciamo da anni"

  • Venerdì, 18 Aprile 2014 15:13 ,
  • Pubblicato in Flash news

nelPaese.it
18 04 2014

Sport e integrazione, non basta dirlo. Si tratta di un percorso da costruire quotidianamente, come ha ribadito ieri il ministro al lavoro e alle politiche sociali, Giuliano Poletti, nell'incontro promosso dal Coni al Foro Italico. L'Uisp è su questa lunghezza d'onda. Perché si facciano passi in avanti occorrono fatti concreti, occorre misurarsi quotidianamente con il tema dei diritti e dell'interculturalità nello sport e nella società, occorre praticare l'idea che lo sport sia un grande mediatore sociale tra migranti e opinione pubblica. Come?

"Noi lo facciamo da anni – dice Vincenzo Manco, presidente nazionale Uisp - nelle nostre attività e nei nostri tornei tutti possono giocare, dai richiedenti asilo ai nuovi cittadini. L'Uisp chiede al Coni e alle Federazioni sportive di intervenire per adeguare statuti e regolamenti al riconoscimento dello ius soli. L'incontro e il giocare insieme in un campo sportivo rappresentano una risorsa per la coesione sociale e per la crescita umana e culturale: per questo abbiamo inventato da venti anni i Mondiali Antirazzisti e per questo organizziamo da sempre attività sportive con le varie comunità nelle città più multietniche d'Italia, da Roma a Bologna, Genova e Torino".

"È positivo che il Coni inserisca con forza nella sua agenda il tema dell'integrazione attraverso lo sport - conclude Manco - è positivo che il ministro Poletti riconosca allo sport un valore sociale capace di lubrificare le relazioni tra le persone. Siamo convinti che il ruolo dell'associazionismo e del volontariato sportivo non sia quello di gestire le emergenze, ma di creare nuovi legami sociali per il futuro del nostro Paese. Lo chiediamo da tempo: venga riconosciuto lo ius soli nello sport e nella legislazione italiana".

Il Fatto Quotidiano
31 03 2014

di Iside Gjergji 

Se sapete come funziona il gioco dell’oca, allora avete qualche chance di comprendere anche la logica di fondo dell’Accordo di Integrazione, stipulato tra lo straniero e lo Stato italiano, che è alla base del “permesso di soggiorno a punti”, entrato in vigore due anni fa. Infatti, proprio come accade con le regole del famoso gioco, anche nell’ambito dell’immigrazione il percorso socio-giuridico dello straniero è disegnato come una spirale, composta da numerose caselle/tappe contrassegnate con numeri o simboli, che talvolta consentono di procedere in avanti e altre, invece, che costringono alla retrocessione.

Cioè, se lo straniero, dopo due anni dalla stipula dell’Accordo, dimostra di avere alcuni requisiti (ad esempio: buona conoscenza della lingua italiana, frequentazione di scuole, corsi professionali o universitari, assenza di reati o multe per illeciti amministrativi e tributari, ecc.) può essere ammesso nella felice e prospera comunità italiana, fondata sulla “tradizione ebraico-cristiana”, altrimenti lo si rispedisce indietro, negandogli il diritto di vivere in mezzo a noi fortunati, che – si sa – siamo riusciti da un pezzo a raggiungere la casella centrale del gioco. Infatti, qui tutti parlano un italiano perfetto (per non dire poi delle altre lingue), si acculturano e frequentano corsi specializzanti a gogò e, sopra ogni altra cosa, non sanno neanche cosa sia il reato o l’illecito amministrativo e tributario, perché ormai sono cose che appartengono alla memoria del passato. Roba che si studia nei libri di storia.

Ma, attenzione, perché ne parlo ora, visto che l’Accordo di Integrazione è entrato in vigore il 10 marzo 2012 e di cui ormai molto si è già detto? Semplice, perché è giunto il momento di vederlo applicato per davvero. Infatti, il DPR n. 179/2011 prevede che la verifica dell’effettiva capacità di integrazione dello straniero avvenga esattamente dopo due anni dalla stipula dell’Accordo. E allora, ci siamo: il 10 marzo scorso si è concretamente iniziato a fare i conti con le regole dell’Accordo e con i “permessi a punti”. Anche per questo, il Ministero ha prontamente emanato la circolare n. 824 del 10 febbraio 2014, per spiegare come si devono muovere ora gli Sportelli Unici per l’immigrazione.

Cosa dice la circolare? Nulla di nuovo, in realtà, poiché riprendendo (in parte) quanto già stabilito nel Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgs 286/1998) e nel DPR 179/2011, specifica che chi dimostrerà di conoscere bene la lingua italiana (tramite i test, i titoli scolastici oppure frequentando un corso d’italiano a pagamento) conquisterà dai 10 ai 30 punti, a seconda del livello di conoscenza. Otterrà fino a un massimo di 50 punti, però, chi dimostrerà di frequentare istituti tecnici o corsi universitari, oppure chi insegna nelle università. La “generosità” mostrata nei confronti dei più istruiti tra gli stranieri, scompare però nei confronti di coloro che hanno conseguito soltanto un diploma di istruzione secondaria, oppure che hanno semplicemente aggiornato le proprie competenze con corsi di formazione professionale: per loro sono previsti al massimo 5 punti.
Strano? Ma no, è risaputo ormai che il mercato del lavoro italiano assorbe soltanto i soggetti altamente istruiti, perché della bassa manovalanza non si sa bene che farne. Quindi, si preferisce non incoraggiare la permanenza dei soggetti non altamente scolarizzati nella comunità italiana. Ma così, direste voi, questi diventano soggetti a rischio di espulsione, più degli altri, oppure, com’è più facile, di essere ricacciati nella clandestinità. Non siate malpensanti, l’economia italiana non ha bisogno di lavoratori precari, ricattabili e a basso costo, come sarebbero infatti i lavoratori “clandestini”. Aumentare i salari e le garanzie per tutti i lavoratori, a costo di andare anche contro i desideri di questi ultimi, è ormai un obiettivo fisso per ogni governo che si succede senza elezioni.

La casella “alloggio regolare” (per tornare al gioco dell’oca) prevede poi soltanto 6 punti per coloro che hanno un regolare contratto di affitto o di acquisto della casa, e soli 4 punti per chi ha scelto un medico di base. Oh, qualche casella sfortunata ci deve pur essere per animare il tutto, altrimenti che gioco è? Le sanzioni penali e le multe previste per i reati e gli illeciti amministrativi e tributari comportano, invece, la perdita fino a un massimo di 25 punti. Beh, è giusto, questo non è mica un paese guidato da banditi, evasori, truffatori e corruttori. E allora, via, indietro nella casella di partenza, o addirittura ancora peggio: dietro le sbarre dei Cie, oppure dentro quei barconi che vengono accolti o respinti (non stiamo qui a sottilizzare) con raffiche di mitra.

Epperò non affliggiamoci, perché per tutti gli altri, cioè per tutti coloro che riescono finalmente a ‘varcare la soglia’ e, quindi, sono considerati meritevoli di vivere con noi che siamo già parte della “comunità di persone e di valori”, la vita cambia drasticamente: permessi di soggiorno che non dipendono più dalla volontà dei padroni (altro che “contratto di soggiorno” e schiavitù annessa, com’era un tempo); permessi rinnovati automaticamente e senza dover pagare centinaia di euro per ogni membro della famiglia (come accadeva una volta, quando parte della procedura di rinnovo era stata esternalizzata ed affidata ad una azienda privata, le Poste Spa); figli nati in Italia che non fanno manco in tempo ad aprire gli occhi che subito un funzionario del ministero sta lì pronto a consegnare il passaporto italiano (e non come accadeva tempo fa, quando bisognava attendere 18 anni per fare la domanda e almeno altri 4 per la risposta del Ministero); l’attesa per la cittadinanza degli adulti fissata perentoriamente a pochissimi anni, quasi mesi, si potrebbe dire (e non come quando erano necessari dieci anni per chiedere la cittadinanza e sotto forma di supplica); il riconoscimento dei titoli di studio conseguiti in patria, per evitare il sottoinquadramento e lo sfruttamento dei lavoratori stranieri (mica vogliamo avere come “badanti” o come operai semplici gli architetti, gli ingegneri ed i fisici); conservazione dei contributi degli anni di fatica dello straniero, anche se questi decide di tornare nel suo paese (non come prima, quando lo Stato rapinava i contributi dello straniero che aveva lavorato per anni in Italia); accesso a tutti i benefici previsti dal welfare, i cui fondi ogni anno crescono a dismisura (perché ora ciò che conta per i governi è il benessere dei cittadini e dei lavoratori, anche stranieri, mica le banche e gli interessi delle aziende)…e chi più ne ha più ne metta.

Insomma, a tutti voi che riuscirete a ‘varcare’ quella porta: benvenuti nell’integrazione perfetta e paritaria!

"Sei un'irresponsabile a far ottenere permessi di soggiorno a questi genitori, tanto poi i bambini muoiono e questi non tornano più a casa loro". ...
"Non avrai mica paura, Habiba?" Le parole della mamma le rimbombavano in testa, mentre si rialzava a fatica. "Una bambina grande come te, così fifona! Vergogna!". ...

facebook