Corriere della Sera
30 12 2014
Segnali positivi per la domanda interna. Tuttavia, dice l’Istat, «le condizioni del mercato del lavoro rimangono difficili» con il «tasso di disoccupazione in crescita»
«La fase di contrazione dell’economia italiana è attesa arrestarsi nei prossimi mesi, in presenza di segnali positivi per la domanda interna»: l’Istat apre uno spiraglio di nei dati diffusi con la Nota mensile sull’andamento dell’economia del Paese. Come dire: la recessione dovrebbe arrestarsi. Preoccupa, però, il mercato del lavoro. «Le condizioni del mercato del lavoro rimangono tuttavia difficili», aggiunge l’Istat, con il «tasso di disoccupazione in crescita».
«Sostanziale stazionarietà della crescita»
In Italia, nel terzo trimestre del 2014, l’attività economica ha continuato a mantenersi debole. Il prodotto lordo è risultato ancora in flessione (-0,1% su base congiunturale) a seguito dell’accentuarsi della contrazione del valore aggiunto sia nella manifattura sia nelle costruzioni (rispettivamente, -0,6% e -1,1%) ma in presenza di una stazionarietà nel settore dei servizi. Nel complesso, l’indicatore composito anticipatore dell’economia italiana, conclude l’Istat, «confermerebbe una sostanziale stazionarietà della crescita nel trimestre finale dell’anno».
Disoccupazione preoccupante
Il mercato del lavoro, invece, attraversa una fase di complessiva stagnazione. I dati più recenti delle forze di lavoro, si legge nel rapporto Istat, descrivono un’occupazione sostanzialmente stabile dall’inizio dell’anno, con un nuovo peggioramento nel mese di ottobre (-0,2% rispetto al mese precedente). Nel terzo trimestre i dati riferiti alle imprese con almeno dieci dipendenti, relativi a industria e servizi di mercato, hanno mostrato però una crescita delle ore lavorate sia in termini di monte ore complessivo (+0,4 rispetto al secondo trimestre) sia delle ore lavorate per dipendente (+0,3%). Un analogo andamento si è riscontrato nell’industria in senso stretto (+0,7% il monte ore, +0,6% le ore per dipendente), un settore che, allo stesso tempo, ha registrato una diminuzione del ricorso effettivo alla Cassa Integrazione (50,7 ore ogni mille ore lavorate, con una diminuzione di 10,9 ore rispetto allo stesso trimestre del 2013). La stasi del mercato del lavoro italiano si è riflessa anche nell’andamento del tasso di posti vacanti: i dati destagionalizzati relativi al terzo trimestre mostrano che l’indicatore di domanda di lavoro è rimasto ancorato ai valori di inizio anno. Il tasso di disoccupazione ha continuato a salire: in ottobre, i dati destagionalizzati hanno evidenziato una crescita di tre decimi di punto rispetto a settembre, raggiungendo il valore massimo di 13,2%, sensibilmente piu’ elevato rispetto alla media europea (11,5%).
Allungamento periodo di disoccupazione
La crescita del tasso di disoccupazione è visibile anche nei dati non destagionalizzati: nel terzo trimestre si è verificato un incremento di cinque decimi di punto rispetto allo stesso trimestre del 2013. L’andamento si deve alla crescita delle persone in cerca di occupazione (+5,8% l’aumento tendenziale) e tra queste è aumentata soprattutto la quota di disoccupati in cerca di prima occupazione (+17,6%). La crescita delle persone in cerca di lavoro si accompagna comunque ad un allungamento dei periodi di disoccupazione: l’incidenza dei disoccupati di lunga durata (quota di persone che cercano lavoro da più di un anno) è salita nell’anno in corso dal 56,9% al 62,3%. Questo gruppo di individui, generalmente considerati poco appetibili dalle imprese, costituisce un fattore di freno alla discesa della disoccupazione soprattutto nel Mezzogiorno. Alla crescita dei disoccupati si è aggiunta anche quella delle persone definite più vicine al mercato del lavoro (+8,3% rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente). Tra gli inattivi, inoltre, sono cresciuti coloro che non hanno cercato attivamente lavoro perché ritengono di non riuscire a trovarlo (lavoratori scoraggiati, +6,5%). Nel complesso la ricerca del posto di lavoro risulta caratterizzata da elementi contrastanti: da un lato nuovi attori si muovono alla ricerca di un posto di lavoro, dall’altra le persone già sul mercato sperimentano difficoltà crescenti nel trovare una occupazione.
Il Fatto Quotidiano
23 12 2014
Gli occupati sono il 2,1% in meno, così come i giovani laureati. Un'età media sempre più alta, così come la popolazione, di cui gli immigrati sono il 7,4%. Aumenta la spesa low cost, male la grande distribuzione e le piccole botteghe. In calo i viaggi. Si legge sempre meno e diminuisce l'amore per il cinema. Resistono radio, tv, teatri e musei
Gli italiani sono più vecchi, sempre meno occupati e poco interessati alla politica. È quanto è emerso dall’Annuario Statistico Italiano dell’Istat del 2014. I dati, relativi all’anno 2013, fotografano una nazione in cui, malgrado la popolazione sia cresciuta di un milione di persone, l’età media è la seconda più alta d’Europa e i giovani laureati sono solo al 12,3 per cento. Considerando l’ultimo posto nella graduatoria Ue per quanto riguarda la spesa pubblica per l’istruzione, poi, non sorprende che in Italia si leggano meno libri e quotidiani. È il lavoro, tuttavia, a destare le maggiori preoccupazioni: nel 2013 gli occupati sono stati 478mila in meno rispetto all’anno precedente. La precaria situazione lavorativa, in cui si riflette un incremento del part-time, si riversa sui consumi, che penalizzano le piccole botteghe a vantaggio del low-cost.
SEMPRE MENO OCCUPATI. Nel 2013 il numero degli occupati si è ridotto a 22,420 milioni di persone, con un calo del 2,1% rispetto al 2012. Il tasso di occupazione per la fascia 15-64 anni si ferma così al 55,6%, “molto al di sotto del dato Ue, 64,1%”. I disoccupati, per cui si intendono le persone in cerca di lavoro, salgono al 12,2%, per un incremento di 1,5 punti, mentre il tasso di inattività del 2013 è pari al 36,5%, “ben superiore alla media Ue, che si attesta al 28 per cento.
La crescita anagrafica della popolazione si rispecchia nell’aumento di lavoro per i 55-64enni (da 40,4% a 42,7%) e nella diminuzione degli occupati tra i 15-34enni (da 18,5% a 16,3%) e i 25-34enni (da 63,8% a 60,2%). Diminuiscono, secondo l’Istituto di statistica, i dipendenti con contratto a tempo indeterminato e quelli a termine, mentre, consequenzialmente, aumenta il lavoro part-time del 2,8 per cento. E così i lavoratori dipendenti sono 335mila in meno, 143mila gli indipendenti.
Il tasso di occupazione 2013 è al 55,6%, “valore che si mantiene ampiamente al di sotto della media Ue (64,1%)”. Quello maschile è al 64,8% (dal 66,5% del 2012), mentre il tasso riferito alle donne è al 46,5% (47,1% l’anno precedente). Rimangono ampi i divari territoriali, con il tasso di occupazione che al Nord (64,2%) è oltre venti punti più elevato di quello dell’area meridionale (42%)”.
Il calo, secondo l’Istat, “riguarda tutti i settori, ma i più colpiti sono costruzioni (-9,3%), con 163mila posti di lavoro persi e agricoltura (-4,2%, 163mila lavoratori in meno)”. Il secondario conta un calo di 89mila unità, meno di metà rispetto ai servizi, che perdono 191mila dipendenti. La disponibilità di posti vacanti tra industria e servizi è nel 2013 pari allo 0,5% del totale delle posizioni lavorative. Nelle grandi imprese l’indice generale dell’occupazione alle dipendenze flette in media dell’1,4%, come anche il ricorso alla Cassa integrazione (-1,4 ore ogni mille lavorate).
Nel corso del 2013 sono stati rinnovati 17 contratti collettivi nazionali coinvolgendo poco più della metà dei lavoratori, con un aumento dell’indice delle retribuzioni orarie contrattuali dell’1,4%: l’Istat lo indica ricordando che con il blocco contrattuale anche nel 2013 non c’è stato invece alcun rinnovo nella pubblica amministrazione, dove quindi “gli aumenti sono pari a zero”. Quasi un dipendente su due è in attesa di vedere rinnovato il proprio contratto nazionale di lavoro (48,1% contro il 30,4% del 2012).
MENO GIOVANI NEGLI ATENEI Poco più della metà dei giovani che prendono il diploma si iscrivono all’Università: nell’anno accademico 2012-2013, solo il 55,7%, a fronte del 72 per cento dell’anno accademico 2003-2004. Ad avere il diploma di scuola superiore, ha sottolineato l’Annuario Istat, sono tre persone su dieci e i laureati sono circa 1.400 in meno rispetto all’anno precedente . Il passaggio dalle superiori all’Università è andato progressivamente riducendosi. I valori sono più alti per i residenti nelle regioni del Nord-Ovest e in quelle del Centro (entrambe 60,2). La popolazione universitaria è di 1.709.407 studenti, in flessione rispetto all’anno precedente (-2,4%). Sono soprattutto i liceali a proseguire gli studi: 6 su 10 si dichiarano studenti a tempo pieno contro meno del 20% dei diplomati degli istituti tecnici e il 6,7% di quelli degli istituti professionali. (-0,5%).
ULTIMI UE PER SPESA PUBBLICA ISTRUZIONE. I dati poco incoraggianti dell’Annuario sull’Università diventano più comprensibili se si considera che la spesa pubblica per l’istruzione in Italia si ferma al 4,6% del Pil, una percentuale che piazza la Penisola in fondo alla classifica dei Paesi europei. Graduatoria capeggiata dalla Danimarca (7,9%), ma fanno meglio anche Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Portogallo o Irlanda. I dati si basano su quelli Ocse del 2011, che si riferiscono a tutti i livelli d’istruzione e considerano come fonti di finanziamento le spese dirette pubbliche per gli istituti scolastici e i sussidi pubblici alle famiglie.
POCO INTERESSE PER LA POLITICA. La partecipazione degli italiani alle tornate elettorali diminuisce sempre di più. L’Annuario 2014 porta ad esempio sia le recenti europee che le ultime politiche. Per le politiche nel 2013 si è registrato un 72,3%, quando fino agli anni 80 la partecipazione al voto per entrambe le Camere si era mantenuta al di sopra della soglia del 90%. Negli anni, fa notare l’Istituto, il numero di cittadini italiani chiamati alle urne per le consultazioni europee è andato sempre aumentando, ma la quota di quanti hanno effettivamente partecipato è diminuita, scendendo dall’85,7% dei votanti del 1979 al 57,2% del 2014, il minimo storico.
PIU’ VECCHI. Solo la Germania, in Europa, ha un’età media più alta dell’Italia. Secondo l’Istat, al 1 gennaio 2013 l’indice di vecchiaia è di 151,4 anziani ogni 100 giovani (148,6 nel 2012). Di contro, grazie alla riduzione dei rischi di morte, prosegue anche nel 2013 l’incremento della speranza di vita alla nascita: per gli uomini da 79,6 del 2012 a 79,8 e per le donne da 84,4 a 84,6: nell’Unione, l’Italia è ai vertici insieme a Svezia, Spagna e Francia.
LA POPOLAZIONE AUMENTA. I residenti nel territorio nazionale sono stati oltre un milione in più in un anno. Più del 7,4% sono stranieri, + 8,3% rispetto al 2012. Il 28,3% di questi cittadini proviene dall’Ue, il 24,3% dall’Europa centro-orientale e il 14,1% dall’Africa settentrionale.
Stando alle rilevazioni dell’Istat, al 31 dicembre 2013 in Italia si contavano complessivamente 60.782.668 di persone, l’1,8 per cento in più rispetto all’inizio dell’anno. La ripartizione in cui si è registrato il maggiore incremento è il Centro (+3,3%), mentre quella più popolosa è il Nord-Ovest (26,5% del totale).
Nel 2013 i decessi sono stati 600.744, in calo rispetto all’anno precedente (612.883). Parallelamente però si è assistito a una riduzione delle nascite (514.308 contro 534.186 del 2012). Di conseguenza, il saldo naturale (-86.436) è più negativo rispetto a quello dell’anno precedente (-78.697).
In calo, invece, le separazioni legali (che sono passate da 88.797 del 2011 a 88.288 del 2012) e i divorzi (da 53.806 a 51.319). Le separazioni consensuali sono molte di più di quelle giudiziali.
PIU’ SPESA LOW COST. Nel 2014 cresce solo la spesa low cost nei discount che fa segnare un aumento del 2,4%, mentre calano tutte le altre forme distributive sia alimentari che non. I dati, basati sui calcoli di Coldiretti, evidenziano un calo generale dell’1,3%. In particolare, un italiano su tre (32%) fa regolarmente scorta di cibo in offerta mentre la metà degli italiani (49,8%).
Leggermente in calo (-0,6%) risultano le vendite nella grande distribuzione ma un vero tonfo si rileva per le piccole botteghe, soprattutto alimentari, con un calo del 2,6% “che, precisa Coldiretti, ne mette a serio rischio la sopravvivenza”. Crescono invece gli acquisti di prodotti alimentari a basso prezzo nei discount, “a cui però può corrispondere anche una bassa qualità, con il rischio che il risparmio sia solo apparente.
MENO VIAGGI. Nell’ultimo quinquennio gli italiani hanno viaggiato sempre meno facendo registrare una perdita complessiva di quasi 51 milioni di viaggi e circa 263 milioni di notti in albergo. Le vacanze brevi subiscono la maggior diminuzione passando da circa 32,3 milioni nel 2012 a circa 24,8 milioni nel 2013. Anche le vacanze lunghe dei residenti con più di 15 anni sono sono molto al di sotto della media Ue, pari nel 2012 a 2,5 viaggi pro capite, contro il dato italiano che supera di poco l’unità.
Neanche sul turismo in ingresso i dati Istat fanno sorridere. Da un lato infatti l’Italia si colloca in terza posizione, tra i Paesi europei, per numero di presenze totali negli esercizi ricettivi, con un’incidenza di quelle straniere superiore alla media europea (47,4 rispetto a 42,7%). Dall’altro, però, il flusso dei clienti nel 2013 è di 376,7 milioni di presenze, in calo dell’1,1% rispetto al 2012, con una permanenza media di 3,63 notti (-0,04 notti). Nello stesso anno l’indice del fatturato nel settore dell’alloggio segna una contrazione dell’1,1%. I turisti sono più orientati verso gli alberghi a 4 e 5 stelle e preferiscono come mete le regioni del Veneto, Trentino-Alto Adige, Toscana e Lazio.
SI LEGGE MENO. I numeri dell’Istituto di statistica confermano la scarsa attitudine degli italiani a leggere quotidiani e libri. In calo anche l’interesse per il cinema, mentre la televisione rimane l’attrazione preferita soprattutto tra i bambini dai 3 anni in su e tra gli over 60. La radio può contare su un pubblico affezionato che non cala. Di contro però, si va di più a teatro, ai concerti, in discoteca e nei musei.
Nel dettaglio, nel 2013 è diminuita la tiratura di quasi un quinto dei libri (nel 2012 ne sono stati pubblicati 59.230, per un totale di 179 milioni di copie). In aumento solo le prime edizioni (il 64,8% della produzione). Il cinema è apprezzato dal 47,8% della popolazione (nel 2010 la percentuale era del 52,3%).
I consumi culturali invece “riprendono a crescere”, invece, nel 2014, soprattutto fuori casa. Il 62,6% della popolazione ha infatti assistito ad almeno uno spettacolo o un intrattenimento o ha visitato musei e mostre (61,1% nel 2013). Al top del gradimento, sottolinea l’Istat, le visite a musei, mostre e siti archeologici (dal 25,9% del 2013 al 27,9%) e la partecipazione a spettacoli sportivi (dal 24,4 al 25,2%).
La preferenza è per la musica. Nella graduatoria vincono le discoteche e balere (19,4%), segue a ruota il teatro (18,9%), gli altri concerti e, all’ultimo posto, la musica classica, che interessa appena il 9,3% della popolazione.
Fanno sorridere i dati sui musei, che registrano 1,8 milioni di visitatori in più nel 2013 rispetto all’anno precedente. Lo scorso anno sono stati oltre 38 milioni e 190 mila le persone hanno varcato la soglia dei 431 luoghi di antichità e arte presenti sulla Penisola. Ma sono quelli del Lazio, con 17,6 milioni di ingressi, e della Toscana, che da sola registra quasi lo stesso numero di visite (poco più di 6,1 milioni) totalizzate dall’insieme delle regioni del Nord, ad essere presi d’assalto.
Anche il piccolo schermo registra una disaffezione pur rimanendo tra le attrazioni più apprezzate: la guarda il 91,1% della popolazione di tre anni e più (92,3% nel 2013). La tv attrae spettatori in tutte le fasce di età, anche se i più accaniti sono i giovanissimi di 6-14 anni (94%) e i 60-74enni (94%). La radio non perde ascoltatori e rimane una abitudine per il 56,7% della popolazione. I programmi radiofonici hanno le maggiori audience fra i giovani di 18-24 anni (68%) e fra i 25-44enni (72%).
Corriere della Sera
03 11 2014
«A partire dal secondo trimestre del 2013, l’economia italiana è entrata in una fase di sostanziale stagnazione»
«Nel 2015, la variazione del Pil tornerà debolmente positiva (+0,5%), chiudendo la lunga recessione del triennio precedente». Lo rileva l’Istat, spiegando che tecnicamente si conclude una fase, ma, avverte, si tratterà di un’uscita «graduale». «Pur in presenza di una dinamica eccezionalmente bassa dell’inflazione, il potere d’acquisto delle famiglie risulterà sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente», ovvero fermo sul 2013. Lo rileva l’Istat. Dopo tre anni di riduzione, dunque, nel 2014, la spesa delle famiglie segnerà un aumento dello 0,3%, in parte grazie all’effetto di una riduzione della propensione al risparmio.
«A partire dal secondo trimestre del 2013, l’economia italiana è entrata in una fase di sostanziale stagnazione», ricorda l’Istat, spiegando che «le prospettive di breve termine risentiranno sia del deterioramento delle condizioni della domanda interna sia della minore espansione del commercio mondiale». La flessione del prodotto lordo secondo l’Istituto «proseguirà nei trimestri finali dell’anno in corso» (-0,3% in 2014), mentre, aggiunge, «nel biennio successivo, la graduale distensione dello scenario macroeconomico, insieme all’adozione di misure di sostegno dell’attività economica, supportano l’uscita graduale dell’economia italiana dalla fase recessiva». Tuttavia l’Istat sottolinea come «l’attuale scenario di previsione sia caratterizzato da elevati livelli di incertezza. Gli ampi margini di variabilità - evidenzia - sono legati all’evoluzione del commercio internazionale, alle condizioni di incertezza economica e politica che influenzano gli operatori economici nelle loro decisioni e all’efficacia dei recenti provvedimenti normativi contenuti nella Legge di Stabilità»
La Stampa
31 10 2014
Cresce, a settembre, il numero di occupati in Italia. Secondo le stime provvisorie dell’Istat, lo scorso mese, gli occupati sono 22 milioni 457mila, in aumento di 82mila unità (+0,4%) su base mensile e di 130mila (+0,6) su base annua. Il tasso di occupazione, dopo 4 mesi di stasi, torna a salire attestandosi al 55,9%. Secondo i tecnici dell’Istat, l’aumento del numero di occupati «è un primo segnale positivo dopo mesi in cui l’occupazione aveva raggiunto livelli minimi». Il tasso di occupazione, pari al 55,9%, è cresciuto di 0,2 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,5 punti rispetto a dodici mesi prima.
RENZI: L’ITALIA STA RIPARTENDO
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha commentato su Twitter i dati diffusi dall’Istat: «Aumentano i posti di lavoro: più 82mila sul mese scorso, più 150mila da aprile. Solo con il lavoro l’Italia riparte».
POLETTI: «DATI FANNO BEN SPERARE»
«I dati fanno ben sperare» è il commento di Giuliano Poletti. Il ministro del Lavoro ha poi aggiunto che il dato sulla disoccupazione si può leggere in maniera positiva: l’aumento significa che è cresciuto il numero delle persone che cercano lavoro, tra quelle che fino a poco fa non provavano nemmeno. Dello stesso avviso Confcommercio, che ha parlato di «segnali incoraggianti». Per il presidente di Italia Lavoro, Paolo Reboani, legge il dato positivo di settembre come un segno che «le politiche attive iniziano a essere efficaci».
PIU’ OCCUPATI, MA LA DISOCCUPAZIONE CONTINUA A CRESCERE
Nonostante gli occupati siano aumentati, il tasso di disoccupazione risale ai massimi (12,6%). Il numero dei disoccupati si attesta a 3milioni236mila, in aumento dell’1,5% rispetto ad agosto, pari a 48mila disoccupati in più, e dell’1,8% su base annua, ossia 58mila disoccupati in più. Gli occupati sono 22milioni457mila, in aumento dello 0,4% s rispetto ad agosto, ossia 82mila persone in più, e dello 0,6% su anno, ossia 130mila occupati in più.
Il numero di inattivi tra i 15 e i 64 anni diminuisce dello 0,9% rispetto al mese precedente e del 2,1% rispetto a dodici mesi prima. Il tasso di inattività, pari al 35,9%, cala di 0,3 punti percentuali in termini congiunturali e di 0,7 punti su base annua.
DISOCCUPAZIONE GIOVANILE IN LIEVE CALO
I disoccupati tra i 15-24enni sono 698 mila. L’incidenza dei disoccupati di 15-24 anni sulla popolazione in questa fascia di età è pari all’11,7%, in calo di 0,1 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 0,6 punti su base annua. Il tasso di disoccupazione dei 15-24enni, ovvero la quota dei disoccupati sul totale di quelli occupati o in cerca, è pari al 42,9%, in calo di 0,8 punti percentuali rispetto al mese precedente ma in aumento di 1,9 punti nel confronto tendenziale.
INFLAZIONE: A OTTOBRE PREZZI IN AUMENTO
Ad ottobre i prezzi al consumo sono saliti dello 0,1% sia rispetto a settembre sia rispetto ad ottobre 2013. A settembre il tasso tendenziale era -0,2%. L’inflazione acquisita per il 2014 sale così allo 0,3% dallo 0,2% del mese scorso. La ripresa dell’inflazione è dovuta principalmente al ridimensionamento delle flessioni tendenziali dei prezzi dei beni energetici regolamentati (-2,6% da -6,6% di settembre) e dei servizi relativi alle comunicazioni (-1% da -5,6% di settembre). Il rialzo mensile dell’indice generale dipende principalmente dagli aumenti dei prezzi del gas naturale (+4,6%) e dell’energia elettrica (+1,6%) a contenere questo rialzo sono stati i cali congiunturali dei prezzi degli energetici non regolamentati (-0,9%) e dei servizi relativi ai trasporti (-0,7%).
L’Istat segnala che su base congiunturale sono aumentati soprattutto i prezzi di abitazione, acqua ed elettricità (+1,2%) e dell’istruzione (+1,1% su settembre). Rispetto ad ottobre 2013 corrono rispetto alla media i prezzi dell’istruzione (-1,8%), dei servizi ricettivi e di ristorazione (+0,7%) e dei mobili e servizi per la casa (+0,6%). I prezzi delle comunicazioni aumentano dello 0,4% ad ottobre rispetto a settembre ma diminuiscono del 3,5% rispetto ad ottobre 2013.
Il Fatto Quotidiano
30 10 2014
Dal rapporto su Reddito e condizioni di vita emerge che l'indicatore è sceso rispetto al 2012, ma è peggiorato per le famiglie numerose. Il 20% più ricco delle famiglie residenti percepisce il 37,7% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta solo il 7,9%
Il 28,4% dei residenti in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale secondo la definizione adottata nell’ambito della strategia Europa 2020. Cioè è in una condizione di “grave deprivazione materiale” o “bassa intensità di lavoro”. Il dato, relativo al 2013, arriva dall’Istat, che ha diffuso il rapporto annuale su Reddito e condizioni di vita. Il rischio povertà è in calo rispetto al 2012, ma sale per le famiglie numerose. Dal dossier dell’istituto di statistica emerge anche la metà delle famiglie ha percepito un reddito netto non superiore a 24.215 euro l’anno, pari a circa 2.017 euro al mese. Ma, come sempre, nel Sud e nelle Isole va peggio: qui il 50% delle famiglie guadagna meno di 19.955 euro, vale a dire circa 1.663 euro mensili. Il reddito mediano delle famiglie che vivono nel Mezzogiorno è pari al 74% di quello delle famiglie residenti al Nord.
L’indicatore relativo alla povertà è diminuito di 1,5 punti percentuali rispetto al 2012 in seguito della diminuzione della quota di persone in famiglie gravemente deprivate, che scende dal 14,5% al 12,4%. Perché, fortunatamente, sono diminuiti dal 16,8 al 14,2% gli individui che riferiscono di non potersi permettere un pasto proteico adeguato ogni due giorni, quelli che non riescono a sostenere spese impreviste di 800 euro (dal 42,5 al 40,3%) e quelli che non hanno potuto riscaldare adeguatamente la propria abitazione (dal 21,2% al 19,1%). Resta stabile, invece, la percentuale di residenti che vivono in famiglie a rischio di povertà (19,1%), mentre è in leggero aumento quella di chi vive in famiglie a bassa intensità lavorativa (dal 10,3% all’11%).
Il rischio di povertà o esclusione sociale mostra però la diminuzione più accentuata al Centro e al Nord (-7,7% e -5,9% rispettivamente), mentre nel Mezzogiorno, dove si registra una diminuzione del 3,7%, il valore si attesta al 46,2%, più che doppio rispetto al resto del Paese.
Oltre che nel Sud e nelle Isole, l’Istat registra valori elevati dell’indicatore tra le famiglie numerose (39,8%), in cui lavora una sola persona (46,1%), con fonte di reddito principale proveniente da pensione o altri trasferimenti (34,9%) e tra quelle con altri redditi non provenienti da attività lavorativa (56,5%). Inoltre è più elevato tra le famiglie con reddito principale da lavoro autonomo (30,3%) rispetto a quelle con reddito da lavoro dipendente (22,3%).
Rispetto al 2012, l’istituto segnala come il rischio di povertà o esclusione sociale diminuisca tra gli anziani soli (dal 38,0% al 32,2%), i genitori single (dal 41,7% al 38,3%), le coppie con un figlio (dal 24,3% al 21,7%), tra le famiglie con un minore (dal 29,1% al 26,8%) o con un anziano (dal 32,3% al 28,9%). Tra le famiglie con tre o più figli si osserva, invece, un peggioramento: dal 39,8% si sale al 43,7%, a seguito dell’aumento del rischio di povertà (dal 32,2% al 35,1%).
Quanto alla distribuzione dei redditi, il 20% più ricco delle famiglie residenti in Italia percepisce il 37,7% del reddito totale, mentre al 20% più povero spetta il 7,9%. Differenze significative si registrano anche rispetto alla ripartizione geografica: il 37,1% delle famiglie residenti nel Sud e nelle Isole appartiene al quinto dei redditi più bassi, rispetto al 13,5% di quelle che vivono nel Centro e all’11,5% delle famiglie del Nord. Nello stesso tempo, nel Nord e nel Centro una famiglia su quattro appartiene al quinto più ricco della distribuzione, quello con i redditi più alti, rispetto all’8,5% di quelle che vivono nel Sud e nelle Isole.