Corriere della Sera
24 09 2015
Varese « Mio figlio è morto schiacciato da un treno - sospira Stefania, con la voce spezzata -, eppure c’è chi ha festeggiato la tragedia su Facebook. È giusto fare finta di niente?». Dilaniato da un convoglio merci, alla stazione di Arona. Così è morto Edo (Edoardo Baccin), il giovane writer di Somma Lombardo, 19 anni, che la notte del 6 agosto non si accorse del passaggio di un treno tra i binari della stazione piemontese dove era entrato di nascosto con gli amici. Per dipingere, o forse imbrattare: dipende dai punti di vista. Per dare sfogo alla propria arte, anche se clandestinamente e in maniera illegale. Storia controversa, quella dei writer. Artisti o delinquenti? La tragedia avvenuta quella notte aggiunge altra carne al fuoco. Nessuno potrà restituirle il figlio, ma Stefania Pasqualon, 45 anni, ha deciso di non stare più zitta. Vuole lanciare un segnale, far discutere, e in special modo si rivolge agli utenti di internet.
Ieri ha presentato alla questura di Varese una denuncia contro un iscritto a Facebook, un ragazzo che commentò con crudeltà la notizia della scomparsa del figlio. Frasi violente, scritte dal giovane su un profilo personale ma anche aggiunte di proposito in una pagina pubblica di discussione. Parole come queste: «Sììì. Godooo....un bastardo bimbominkia in meno!». E altre. Perché tanta violenza? Non bisogna nascondere la verità. Le «crew» della bomboletta spray clandestina sono tante e sui treni hanno già causato danni per migliaia di euro. Denaro pubblico, di tutti i cittadini. E forse anche per questo motivo che quella mattina, quando i siti di notizie lanciarono la storia, alcuni utenti di Facebook non esitarono a esprimere soddisfazione per la morte di Edoardo. Mamma Stefania ha però deciso di ribellarsi al fatto che qualcuno possa festeggiare la morte di un 19enne, qualunque sia l’azione che abbia commesso. «Mio figlio era solo un ragazzo che dipingeva - osserva la signora Pasqualon - neanche a un animale vengono rivolte offese così gravi. Ho parlato con la polizia - continua - e ho deciso di querelare l’autore del commento più grave, perchè vorrei lanciare un segnale e far riflettere tutti sulla crudeltà che spesso si nasconde dietro alle tastiere di internet. Non si possono giudicare le persone e offendere i morti senza pietà».
La polizia, finora, si è mossa ipotizzando il reato di manifestazioni oltraggiose verso i defunti. La digos di Varese aveva già avviato una propria indagine quando, ad agosto, uno degli amministratori della pagina Facebook in cui comparve il commento incriminato, segnalò in questura l’autore delle offese. Ma in generale i commenti comparsi in rete contro il writer, quel giorno, non furono certo pochi. «Sapeva a che cosa poteva andare incontro...non mi strappo i capelli», scrisse un altro utente. Al quale seguirono ne seguirono altri ancora. «Capisco, ma in un caso si è andati davvero troppo oltre - ribatte Stefania -, non so se voglio incontrare questa persona, ma di sicuro gli lancio un appello. Chieda scusa e faccia una riflessione sul valore della vita umana. E io ritirerò la denuncia».
Secondo la madre di Edoardo Baccin è il pregiudizio il male oscuro che ha guidato i pensieri di chi, usando i social network, ha inveito contro il figlio: «Se non conosci questi ragazzi, li giudichi male, io stessa non volevo che Edo frequentasse i writer. Lui mi raccontava tutto, mi diceva che andava a pitturare. Io mi opponevo, non ero d’accordo. Oggi però li ho conosciuti e ho cambiato idea. Edo ha seguito un ideale e anche se alcune azioni sono illegali - fa notare la donna - non si tratta di delinquenti ma di artisti. Non uccidono, non spacciano. Scrivere sui treni, per loro, significa far viaggiare la propria arte per il mondo. So che può essere discutibile, ma è così. Inoltre non pitturano sempre in maniera illegale, ma spesso hanno partecipato a manifestazioni artistiche alla luce del sole, come quando mio figlio e i suoi amici si diedero da fare per abbellire i sottopassaggi comunali, grazie a uno spazio concesso dal comune di Somma Lombardo».
Resta da sottolineare una cosa: comunque la si pensi, i writer si stanno dimostrando una comunità. Hanno organizzato una giornata di ricordo per Edo. Qualcuno lo ha ritratto su un muro in provincia di Milano come un angelo con la bomboletta spray. «I suoi amici da quel terribile giorno mi stanno continuamente vicino - rivela la donna -, mi vengono a trovare a casa, mi impediscono di restare troppo da sola. Non giudicateli. I treni si possono pulire, alla morte invece non c’è rimedio».
Roberto Rotondo
l'Espresso
04 09 2015
E poi c'è la non notizia. La non notizia è la storia edificante. La non notizia è la buona novella, quella che tutto sommato non sposta niente perché il mondo in cui vogliamo vivere - fingendo invece di rifuggirlo, di volerlo diverso, di odiarlo - è un mondo fatto di sfiducia, di farabutti da temere, di lucchetti da chiudere e non di porte da aprire e di braccia da tendere. Camminiamo a spalle strette temendo di essere depredati, derubati, persino scacciati dal nostro stesso Paese.
Morto Gheddafi e seppellito l’infame accordo siglato con Silvio Berlusconi ad agosto del 2008, un accordo dal nome rassicurante, “Trattato di amicizia e cooperazione”, è divenuta di nuovo pressante la necessità di preservare, addirittura “difendere” le nostre coste e i nostri mari (nostri? come se una terra o un mare possano avere padroni) da chi fugge l’inferno e per anni ne ha trovato un altro, nei lager che l’Italia aveva commissionato alla Libia, dietro compenso (circa 5 miliardi di dollari in 20 anni, spacciati per risarcimento all’ex colonia). Luoghi in cui si infrangevano sogni, luoghi di tortura. In cui i detenuti non erano trattati da esseri umani, prova che la memoria dell’uomo è fin troppo labile e che l’unica vera leva che tutto muove è l’opportunismo. Eppure la visione di Berlusconi è stata di fatto l’ultimo scampolo di decisionismo in materia di immigrazione. Da quel momento il vuoto.
Meglio il vuoto, dirà qualcuno. Meglio il vuoto invece delle prigioni. Meglio morire in mare che essere torturati da aguzzini pagati bene, come era col governo libico. Ma io mi permetto di non voler scegliere. Non mi sembrano due opzioni possibili, così come forse l’esistenza di quell’orribile patto dal nome rassicurante, vorrei la ricordasse il ministro britannico dell’Interno, Theresa May, secondo cui le morti in mare di questi ultimi anni «sono state esasperate dal sistema europeo della libera circolazione». Non è così. Le morti in mare sono aumentate perché i migranti ora hanno il permesso di morire in mare e non vengono più torturati in prigioni di cui non vogliamo sapere nulla.
A parlare sono i numeri. Ad agosto del 2008 viene firmato a Bengasi il trattato tra Italia e Libia e nel 2010 il numero di clandestini che raggiungono le coste italiane diminuisce sensibilmente. Secondo i dati forniti da Frontex, dal 2008 al 2009 gli sbarchi sono diminuiti del 74 per cento. Quindi c’entrano poco gli accordi di Schengen e la libera circolazione e c’entra invece molto la caduta di Gheddafi e la fine dell’amicizia e della cooperazione.
E come le storie edificanti non incontrano i favori dei grandi media, anche quelle che ci sbattono in faccia la nostra meschinità hanno scarsa attenzione: la capacità aberrante di dimenticare la storia e di reiterare sofferenze, finisce per diventare, in fondo, non notizia.
E invece io questa notizia voglio raccontarla e mi piacerebbe che venisse ripetuta ogni qual volta degli stranieri, di chi viene da Paesi che non appartengono alla comunità europea, si narrano gesta infami. È una notizia triste e in fondo non fa notizia perché racconta una verità fin troppo ovvia che conviene ignorare: non esistono persone buone o persone cattive, non esistono categorie di persone che agiscono nel bene e altre che non lo fanno. Men che meno possiamo attribuire una qualche inclinazione alla violenza o una particolare predisposizione al crimine a seconda della razza o della nazionalità. Anatolij Karol, era ucraino ed è morto a 38 anni mentre in un supermercato di Castello di Cisterna, in provincia di Napoli, ha voluto sventare una rapina. Non è stato un caso, l’ha proprio voluto perché era con sua figlia di un anno e mezzo e aveva già finito di fare la spesa. Stava andando via quando si accorge che due uomini arrivati a bordo di una motocicletta avevano fatto irruzione. Anatolij ha messo in salvo sua figlia ed è tornato indietro. Ha immobilizzato un rapinatore ma l’altro gli ha sparato. Su di lui poi hanno infierito con diversi colpi alla nuca forse procurati non con un coltello ma addirittura con una penna, brandita con rabbia cieca.
Questo ha fatto notizia nei media tradizionali solo dopo che i social network ne avevano diffuso il racconto ma nessun commento importante da parte del governo. Anatolij era ucraino. Fosse stato italiano e il suo assassino uno straniero, oggi su questo caso avremmo avuto attenzione, raccolte di firme, cortei. Fino a che i quotidiani sbatteranno in prima pagina il mostro straniero, magari sospettato e non ancora condannato, non ci sarà spazio per altro e saremo destinati a vivere nella paura del diverso, piuttosto che crederci arricchiti da quanti con noi creano ormai una comunità e più di noi muoiono per difenderla.
Roberto Saviano
La Stampa
28 08 2015
Fabbriche abbandonate, rifiuti pericolosi nascosti o interrati, cumuli di scorie ammassati dove capita e bonifiche che non sono mai state effettuate. E nel Torinese scatta l’allarme ambientale. L’ultima scoperta è stata fatta dalla Guardia di Finanza di Torino, a San Gillio, piccolo paese immerso nel verde che dista meno di una ventina di chilometri dal capoluogo. In una vecchia officina meccanica e di stampaggio di materiali a freddo, dichiarata fallita nel maggio 2006, i baschi verdi hanno rinvenuto e sequestrato 450 tonnellate di rifiuti speciali pericolosi. Tra questi ci sono ben 12 tonnellate di lastre di eternit. Gran parte di queste sono rimaste come copertura dello stabilimento, altre sono state accatastate su un’area di circa 5mila metri quadrati che confina con un palazzo abitato. Ma, come hanno evidenziato gli investigatori: «Nessuno si è mai lamentato di nulla».
I baschi verdi e i tecnici dell’Arpa hanno anche scoperto sei quintali di oli esausti da decontaminare, stoccati in bidoni non sigillati. Per questo gli inquirenti stanno anche cercando di capire se i veleni si siano infiltrati nel terreno e negli scarichi per il recupero delle acque piovane. I militari del «Nucleo operativo pronto impiego» hanno poi sequestrato 430 tonnellate di masserizie provenienti da lavori di demolizione dell’edificio e denunciato per deposito incontrollato di rifiuti l’amministratore unico della società immobiliare proprietaria del sito. Solo un mese fa, a Givoletto, un altro Comune della zona, la finanza aveva scoperto una «bomba ecologica»: acido cloridrico, acido solforico, cloruro ferrico, acque di galvanica, solfati, oli esausti e vernici poliuretaniche. Veleni abbandonati nella zona industriale, nel cortile di una ditta fallita lo scorso anno.
Al termine delle attività di rilevazione gli investigatori hanno recuperato rifiuti chimici pericolosi e corrosivi per circa 170 tonnellate oltre a 90 tonnellate di rifiuti speciali accumulati in maniera disordinata in un’area di circa 6 mila metri quadrati. I finanzieri hanno identificato e denunciato cinque italiani per deposito incontrollato di rifiuti e inquinamento ambientale. All’origine di questi scempi all’ambiente ci sarebbero i costi di smaltimento dei rifiuti, considerati troppo esosi da qualche imprenditore.
Gianni Giacomino