Comune - info
29 07 2015
Rete per il Diritto alla città
Il 7 maggio 2015, all’alba, veniva sgomberato Scup, spazio occupato a San Giovanni. Il 7 maggio 2015, al tramonto, veniva occupato il nuovo Scup da un corteo cittadino che denunciava lo sgombero, ma anche l’arroganza e le procedure anomale utilizzate dalla proprietà a scapito della volontà di un intero territorio. Nelle ultime ore stanno sopraggiungendo decine di denunce per quei fatti. La celerità, generalmente anomala alla magistratura romana, ci restituisce l’idea che evidentemente quella giornata non sia andata molto giù all’amministrazione, al prefetto e alle forze dell’ordine.
In effetti, ammettiamo, che le facce basite della questura siano un ricordo piacevole di quel pomeriggio. Ma ancor più soddisfacente è stato vedere tanti e tante, dopo essere stati tutta la mattina sotto al sole inermi a vedere le ruspe fare a pezzi Scup, attraversare le strade di San Giovanni con il preciso intento di non far precipitare nelle macerie la ricchezza che quello spazio ha significato per il territorio.
Nato da quella voglia collettiva, infatti, Scup ha ritrovato non solo casa, ma una vera complicità con la Roma solidale. Una soluzione di continuità che leggiamo come una piccola ma significativa vittoria, e certo non scontata nella fase che stiamo attraversando. Una fase che a suon di sgomberi, intimidazioni, ammende economiche e svendita del patrimonio pubblico al miglior offerente privato, sta determinando un tabula rasa ed un’aperta guerra agli spazi sociali.
Come rete per il diritto alla città abbiamo ben chiaro che le coercizioni che gli spazi sociali ed i suoi attivisti subiscono sono il ritratto di un cambio di paradigma più generale. Non è una casualità che proprio in questi giorni di afa, la giunta Marino (sotto lo scacco direttivo della segreteria nazionale del Pd), stia sancendo la definitiva messa a bando di un gran numero di servizi, dal trasporto alla gestione dei rifiuti, per citarne qualcuno. Così, mentre i romani in questi giorni afosi trovano rinfresco tra i nasoni di Roma (ancora per poco pubblici), la versione renziana della giunta Marino sta meschinamente predisponendo una sicura – ma non piacevole – doccia gelata per settembre che spazzerà definitamente quel poco che rimaneva dei servizi pubblici, di tutele sociali, garanzie e diritti.
Mentre il vergognoso scempio di Mafia Capitale ha lentamente consumato, depauperato e spremuto fino al midollo le casse del Campidoglio rendendo proficue persino le emergenze sociali, Roma viene investita dall’ignaro compito di essere archetipo e modello da seguire per risanare il dilapidato debito di bilancio comunale. E allora ecco che parallelamente a qualche bacchettata moralista contro il corrotto di turno e alla privatizzazione strategica delle politiche sociali e dei servizi, compaiono grandi e piccoli processi speculativi che in nome della rendita finanziaria ed immobiliare cementificheranno lupaettari di verde a Roma Sud per costruire il “necessario” stadio della Roma, costruiranno centri commerciali a Tor Pignattara, capovolgeranno la città in nome della candidatura di Roma alle Olimpiadi 2024.
Siamo di fronte ad una città allo sbaraglio, dove le sacche di resistenza, di denuncia politica e contrarietà vengono pedissequamente colpite in termini repressivi, mentre il resto di Roma si trova nel mezzo tra l’incudine del populismo grillino e il martello di una destra fascista che rimodula il suo pericoloso intervento politico e sociale. Una città che nel sociale cavalca la dottrina del decoro scambiando e riducendo il concetto di “qualità della vita” a quello della “sicurezza” e nel politico istituzionale propone l’uscita neoliberista di Mafia Capitale.
Che la situazione fosse complicata lo sapevamo da tempo ed è per questo che è da altrettanto tempo che stiamo sperimentando e scommettendo su forme nuove di rapporti sociali, su nuovi processi di definizione delle relazioni, di complicità, di mutualismo e di cooperazione che provino a ristabilire un equilibrio ed un’equità sociale che ad oggi è ridotta all’osso. L’esperienza di Roma Comune è stata solo l’inizio e non saranno certo le ennesime denunce intimidatorie che fermeranno le nostre rivendicazioni.
Dinamo Press
07 07 2015
Un nuovo attacco della giunta Marino: il Comune di Roma vuole mettere a bando gli spazi della Città dell'Utopia. 12 anni di attività contro le frontiere e per l'estensione della cittadinanza. Pubblichiamo una lettera aperta alla città di Roma
Care a Cari tutt*
Ci costa rabbia e fatica scrivere queste righe rivolte a voi tutt* e riguardanti il Casale Garibaldi e, nello specifico, il progetto La Città dell'Utopia. A voi che nel corso di questi anni avete più o meno direttamente attraversato questo progetto sociale di scambio, intercultura, stili di vita sostenibili e lavoro sul territorio di San Paolo, ma anche a voi che non lo avete ancora mai conosciuto.
Da 12 anni, La Città dell’Utopia è un progetto del Servizio Civile Internazionale che crea opportunità di scambio e conoscenza, garantisce accesso diffuso alla cittadinanza italiana ed internazionale senza frontiere, senza distinzione di sesso, religione, età.
La Città dell’Utopia non è solo uno stabile di proprietà di Roma Capitale, ma è un capitale di esperienze, conoscenze, relazioni che non può essere arrestato o “liberato”. La Delibera 140 del 30 aprile impone la messa a bando di circa 860 immobili di proprietà comunale, una manovra volta a fare cassa, a un guadagno economico che cancellerebbe le esperienze di chi quelli immobili li anima: piccole attività commerciali di quartiere, associazioni, cooperative, teatri, centri sociali, occupazioni abitative. Il Casale Garibaldi rientra tra questi 860 immobili, e pochi giorni fa ci è stato comunicato che sopra le nostre teste pende un bando, e alla sua uscita, presumibilmente a settembre, l'immobile dovrà essere “liberato”. Tuttavia, “liberato non è un termine che accettiamo in questo contesto. Perchè gli immobili vengono liberati quando sono vivi, quando sono attraversati da persone e attività sociali e culturali. I bandi non liberano, i bandi cancellano. Lo fanno con un colpo di spugna sulla storia passata dell'immobile, su quel capitale umano e sociale costruito nel tempo grazie agli sforzi volontari di tante e tanti.
Nessuno si è mai sentito custode di uno stabile ma portatore di messaggi e pratiche che hanno reso in questi 12 anni l’utopia un traguardo raggiungibile.
Per continuare a portare avanti questi messaggi e pratiche stiamo provando strade alternative e previste dalla Delibera 140, ovvero la concessione diretta in quanto il Servizio Civile Internazionale, associazione che ha in assegnazione il Casale, è membro consultivo dell'UNESCO. Se questa strada andrà a buon fine, la nostra situazione particolare sarà risolta, ma questo non cancellerà il problema di tutti gli altri spazi cui continueremo a rimanere accanto.
Quello che succede a noi sta succedendo, è successo e potrebbe succedere ad altri spazi sociali che nel corso degli anni hanno costruito un altro modo intendere la socialità e le relazioni umane, in altre parole comunità nuove che non pongono il guadagno monetario alla base del loro agire. Gli uffici tecnici sostituiscono ormai gli organi politici preposti, ma quante quanti di questi hanno abbandonato numeri e tabelle per toccare con mano queste comunità nuove?
Questo Casale vuole restare un crocevia di esperienze e pratiche, per questo chiediamo a tutte e a tutti un impegno a difendere questo capitale in pericolo quando riceverete la nostra chiamata.
La volontà esplicita è quella di rincontrare a breve le persone che hanno conosciuto La Città dell’Utopia e ne riconoscono il valore, per difendere non solo un Casale ma un patrimonio collettivo che collettivamente va’ difeso, per continuare insieme questo cammino verso le utopia che abbiamo diritto di coltivare.
L’utopia non si cancella!!
Dinamo Press
23 06 2015
Sgomberato in mattinata il Cineteatro Preneste Liberato, prosegue l'attacco di Roma Capitale agli spazi sociali della città e si allunga la lista dei luoghi sgomberati o colpiti da provvedimenti amministrativi. Mentre a Roma prende piede l'ideologia del decoro e la convergenza tra grillismo e destre
Leggi il comunicato degli occupanti
È uno stillicidio senza tregua. Dopo il teatro Valle, l'aggressione ostinata a Scup, al cinema Volturno e alle occupazioni abitative, dopo le ruspe di Ponte Mammolo e la vergogna della Tiburtina, dopo gli assedi amministrativi all'Angelo Mai e al Corto Circuito, i sigilli a Casetta Rossa, le ritorsioni contro Cinema Aquila e l'ex Circolo degli artisti, dopo la prova muscolare dello scorso week end contro la Zona temporaneamente liberata di Roma Comune, arriva oggi l'ennesimo sgombero coatto. Questa volta viene colpito il Cinema Preneste e la sua parte abitativa, un'importante esperienza di cultura indipendente e accoglienza abitativa nel mare speculativo della capitale.
Il sindaco e la sua giunta, a voler essere ottimisti, fanno finta di niente. Paiono prigionieri di un'idea di governo schiacciata sulla gestione della miseria quotidiana di bilancio. Sembrano convinti che la "lezione" di Mafia Capitale consista in una spruzzata di moralismo, qualche poliziotto nei dipartimenti e la privatizzazione strategica delle politiche sociali e dei servizi, con il benestare delle fiaccole legalitarie dei sindacati confederali. Una politica senza politica, assediata dall'alto da Renzi e dai vincoli di bilancio mai messi in discussione, indifferente e ostile a qualsiasi relazione con la città dei beni comuni e del nuovo welfare, perennemente subalterna ai poteri forti (riverniciati) della rendita immobiliare e finanziaria.
Nel frattempo, nella dimensione virtuale e mediatica dei partiti, cresce l'opposizione "senza popolo" dei Cinque Stelle e i rigurgiti razzisti della destra salviniana, mentre la sinistra di governo "discute intensamente", non spostando di un centimetro il segno dell'amministrazione. La "sinistra radicale", invece, è ancora chiusa in laboratorio alla ricerca della formula alchemica, della pozione magica chiamata "Syriza".
Roma è una città stremata e impoverita da un blocco politico, economico e culturale senza precedenti, intrappolata in un gioco della parti che rischia di aprire praterie inattese alle "convergenze parallele" tra populismo grillino e una destra fascista di nuovo aggressiva dopo la tempesta giudiziaria. Corre trasversale l'ideologia del “decoro” che riduce la qualità della vita alla “sicurezza” e alla paranoia contro ogni forma di devianza.
Ancora una volta, solo i movimenti e le reti della città solidale, le esperienze di autogoverno territoriale e mutualismo, le frontiere della cultura indipendente possono far saltare il banco, contrastare l'esito liberista di Mafia Capitale, dare una prospettiva fuori dalle secche dei tagli e dei sacrifici. Per aprire un campo largo di attivazione sociale, un nuovo spazio politico pubblico, che rovesci il rapporto tra alto e basso, tra rappresentanza e sovranità, tra istituzioni e partecipazione, tra comunità locali e diktat europei. L'esordio di Roma Comune è una scommessa in questa direzione.
Dinamo Press
26 11 2014
Un decennio di autogestione, riappropriazione e conflitto. Il collettivo Esc compie dieci anni e invita gli spazi sociali a discutere del ruolo dei Centri Sociali al tempo della crisi. Il programma completo di "TEN • 28/29 NOV • 10 ANNI DI ESC"
Esc compie dieci anni. Così ci presentavamo al momento dell’occupazione:
Esc, eccedi sottrai crea, è un spazio occupato da studenti, dottorandi, ricercatori, precari. Un’occupazione, quindi un pezzo di felicità strappato alla speculazione. Un’occupazione, quindi uno spazio autogestito, forma di vita e sfera pubblica autonoma, recalcitrante nei confronti della democrazia delegata e della rappresentanza politica. L’unica forma democratica amata e praticata da Esc è la democrazia del «Tumulto». Il conflitto, intelligente, refrattario al ghetto e alle logiche tribali, è il linguaggio in uso. Esc è un’interfaccia tra Università e Metropoli. Per un verso la Metropoli e suoi flussi produttivi diffusi hanno sostituito la vecchia fabbrica fordista, mettendo al lavoro l’intera società, confondendo tempo di vita e tempo di produzione, rendendo inservibili le vecchie bussole del conflitto sociale. Per l’altro la conoscenza, l’innovazione, il linguaggio sono diventati principale risorsa produttiva. Tutto questo rende l’Università e il suo bacino un terreno non più separato dalla produzione di valore. Il confine tra Università e Metropoli sfuma, si fa sempre meno rigido. Dentro questo mutamento prende vita Esc.
Sin dalla sua nascita, Esc ha fatto della metropoli il luogo privilegiato della sperimentazione politica, un campo di battaglia e uno spazio da reinventare. Essere interfaccia tra l’Università e la Metropoli significava agire sulla sua linea di confine, spazializzando le pratiche di resistenza e di autoformazione che attraversavano le aule universitarie. Eccedi Sottrai Crea, non era e non è il rinvio a una pratica astratta, ma un concreto invito a trasformare la lotta politica in attività di reinvenzione radicale dello spazio urbano. A considerare la prassi politica come attività propriamente creativa.
Esc si è collocato all’interno di quella nobile linea di continuità – una continuità certamente discontinua – tracciata dalle tante generazioni di centri sociali che animano, in lungo e in largo, la città di Roma. Una città che deve orgogliosamente riconoscersi in questo dato, di essere la capitale europea delle occupazioni e dell’autogestione. E partendo da ciò, assumere che il violento attacco messo in campo in questi ultimi mesi contro gli spazi sociali è un attacco alle stesse condizioni di libertà della vita in comune.
I centri sociali devono avere oggi la capacità di difendere il patrimonio di lavoro politico, di produzione culturale alternativa, di attraversamento sociale dei territori, accumulato nel corso della loro esperienza e, nello stesso tempo, andare oltre sé stessi. Le reti e le coalizioni nate negli ultimi tempi dimostrano che questa sfida è realizzabile. I centri sociali possono trasformarsi, insieme, in Comuni urbane e in Camere del lavoro autonomo e precario: divenire luoghi di ricomposizione politica del lavoro precario e sfruttato, del non lavoro, dei non sindacalizzati e, insieme, basi di organizzazione del mutualismo e della solidarietà attiva nei quartieri impoveriti dalla crisi, dalla privatizzazione dei servizi e dalla finanziarizzazione delle risorse comuni.
Le lotte per i commons, la sperimentazione di pratiche dell'“inappropriabile” e dell’accesso comune ai servizi e ai beni, devono intrecciarsi con le lotte per la liberazione dallo sfruttamento del lavoro - è questa la vera portata del claim «diritto alla città».
Solo così possiamo riporre la questione delle periferie romane, esplosa con tanto clamore nel discorso pubblico e mediatico, su un piano verticale, individuando cioè il vero nemico.
Lotte contro lo spossessamento e lotte contro lo sfruttamento sono due facce della stessa medaglia: a noi spetta il compito di unificarle.
Per questa ragione invitiamo le esperienze di autogestione e occupazione della città di Roma e di molte altre città italiane a discutere di questi temi venerdì 28 novembre alle 18. E a festeggiare, con noi, i nostri dieci anni.
Esc - Eccedi, Sottrai, Crea
Huffingtonpost
22 11 2014
"Le città non sono fatte di abitazioni, ma di abitanti", c'è scritto sul sito di DAR-casa, una delle cooperative a proprietà indivisa che hanno meglio operato nell'edilizia sociale a Milano.
Dovremmo scrivercela nel pensiero questa frase.
Le occupazioni, gli inquilini morosi, l'abbandono, gli sgomberi, le porte sprangate...non devono essere gestiti solo come un problema di spazi e vani: da liberare o da riassegnare.
In Italia ci sono più appartamenti che famiglie; e più vani che abitanti.
Ci sono decine di migliaia di appartamenti di Edilizia Residenziale Pubblica vuoti (e altre migliaia occupati abusivamente) e 700mila cittadini in lista di attesa; con la media attuale ci vorrebbero 1000 anni per farli entrare tutti nell'abitazione a cui hanno diritto.
In Italia ci sono decine di migliaia di persone (soprattutto giovani) che non rientrano nei parametri ERP ma non riescono ad accedere al mercato libero. E centinaia di migliaia di appartamenti e uffici privati vuoti, perché sfitti e invenduti.
Ma questi paradossi non si risolvono solo con l'efficienza di chi amministra e con la forza legittima degli sgomberi. Non basta, da solo, un piano per gestire meglio la contabilità e le procedure di assegnazione degli ex IACP (oggi Aler); e neppure -bisogna saperlo- è sufficiente una politica di ripristino della legalità che eviti, finalmente, che la fragilità di chi occupa le case ERP annulli i diritti ad abitare dei cittadini in lista di attesa, spesso ancora più fragili.
Serve per la casa lo stesso ribaltamento di paradigma che si è fatto per il lavoro, quando l'attenzione delle politiche pubbliche si è spostata: dal posto di lavoro alla vita di chi lavora.
Quello che serve oggi è una politica per la casa che sposti l'attenzione: dagli spazi da abitare - agli abitanti e alle loro vite.
Serve un intervento coordinato -città per città- che coordini i progetti di recupero e riequilibrio del patrimonio ERP, con il potenziamento dei progetti di Social Housing (che affittano al doppio dell'ERP e alle metà del mercato libero) e con le politiche per reimmettere sul mercato delle abitazioni a basso costo le migliaia di appartamenti e uffici privati vuoti.
E per far questo, servono nelle grandi città Agenzie della Casa che affrontino con una visione integrata il problema dell'abitare.
Coinvolgendo gli enti locali, le banche e il mondo dei piccoli proprietari privati. Agenzie per la Casa con una regia pubblica, che uniscano le politiche sulla casa a quelle sui servizi sociali e sulla cultura. Che orientino ogni intervento secondo una visione integrata dei problemi di quel territorio. E che si affidino per questi alle cooperative e i soggetti del privato sociale; i soli che sanno come intervenire nella vita degli inquilini delle abitazioni popolari; come sostenerli nell'accesso ai servizi di quartiere (asili, centri anziani, ma anche biblioteche di condominio...) e nella ricerca di un lavoro; come accompagnarne le scelte di mobilità; come aiutarli ad uscire dalla morosità o dall'illegalità.
Le città non sono fatte di abitazioni, ma di abitanti.