Il Fatto Quotidiano
29 06 2015
Gas lacrimogeni, cannoni ad acqua e proiettili di gomma contro i manifestanti del Gay Pride ad Istanbul. La marcia, in programma per le 17, non ha fatto in tempo ad iniziare. La polizia antisommossa ha immediatamente bloccato le entrate di Istiklal, via icona della Istanbul turistica, aggredendo i manifestati dalle vie laterali. Le persone si sono rifugiate dentro negozi e bar, cercando di sfuggire alla repressione della polizia. Diverse ambulanze hanno portato via alcuni feriti. Quella di oggi doveva essere la tredicesima edizione della marcia per i diritti Lgbt in Turchia. La prima edizione ha avuto luogo nel 2003: quell’anno la partecipazione è stata molto bassa, secondo gli organizzatori. Il numero è aumentato nel 2011: circa 10.000 persone hanno aderito all’iniziativa. Ma solo dopo le manifestazioni di Gezi Park del 2013, c’è stato una massiccia adesione: secondo gli organizzatori, 100.000 persone erano presenti nella famosa piazza di Istanbul e nelle vie popolari adiacenti.
Da giorno di festa a scene di guerriglia urbana nel centro città per il tredicesimo Gay pride in Turchia. I ragazzi, rifugiati nei bar di viale Istiklal, si sono affacciati dalle finestre o sono saliti su alcune terrazze dei caffè che si affacciano sulla via, urlando a squarciagola slogan del tipo: “scappa, scappa Erdogan, arrivano i gay!” oppure “basta, ne abbiamo abbastanza!” ma anche “noi siamo gay, noi esistiamo!” per finire con “Tutti insieme contro il fascismo!”.
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Qualche manifestante – probabilmente alcuni organizzatori – ha cercato di parlare con i poliziotti per dissuaderli dal tormentare i manifestanti, ma senza successo. Un giovane, che guarda la scena dal terrazzo di un bar che si affaccia su piazza Taksim, racconta che “i poliziotti sono giovanissimi, ragazzini indottrinatati che devono ubbidire agli ordini dei superiori. È inutile parlare con loro”. Poi alzando leggermente il tono di voce, incalza: “È sempre bello vedere gente che prova a parlare con la polizia, ma il problema non sono loro, bensì i nostri dirigenti politici”. Poi attacca senza mezzi termini il Presidente: “in verità, il nostro unico problema si chiama Erdogan“.
Presenti, in testa alla marcia, alcuni deputati del partito repubblicano e del partito curdo Hdp, appena eletti in Parlamento. Non mancano anche cantanti famosi e star della televisione. Nessuna bandiera politica presente in Piazza Taksim o nelle vie limitrofe, né iniziali o sigle dei vari partiti. Si vedono sventolare ovunque, invece, le bandierine con i colori dell’arcobaleno, simbolo mondiale del Gay pride. Per le strade, si vedono tanti giovani e famiglie: “Come puoi vedere ci sono tante coppie e famiglie eterosessuali che oggi sono venute ad esternare il loro appoggio alla nostra causa. Non siamo soli in questa battaglia per i diritti” esclama una signora di mezza età che tiene teneramente la mano della sua compagna.
Secondo le prime agenzie, la motivazione della repressione violenta della polizia è dovuta al fatto che siamo nel mese del Ramadan, mese sacro per i musulmani. Questo annuncio, non convince Begum, una ragazza che si trova alla manifestazione turca: “La cosa assurda – spiega – è che la manifestazione era autorizzata. Dietro la repressione c’è ovviamente una motivazione politica”. Nel frattempo, la situazione in piazza Taksim non è migliorata: i cannoni ad acqua hanno colpito la folla. Nel marasma più totale, alcune persone, con il viso insanguinato, sono state fermate, ammanettate e portate via.
“È la prima volta che il Gay Pride in Turchia viene represso così brutalmente” spiega Begum che poi ripete con veemenza: “Il governo ha voluto mostrare alla gente che non c’è libertà in questo Paese, che il potere è strettamente saldo nelle mani di Erdogan e che per noi non c’è spazio. Come puoi vedere siamo in uno Stato di polizia”. La giovane, evidentemente sconvolta e preoccupata, chiama freneticamente al telefono gli amici dispersi durante gli attacchi della polizia, poi esclama: “anche l’anno scorso il Gay Pride è stato fatto nel mese del Ramadan, eppure non siamo stati aggrediti dalla polizia, abbiamo potuto manifestare”. Secondo Begum la motivazione è strettamente legata al risultato delle recenti elezioni politiche : “Questo significa che il governo ha paura della gente che la pensa diversamente. Il risultato delle elezioni è un indicatore degli umori dei Turchi: la popolazione sta cominciando a capire che non è bello vivere in uno statati autoritario.”
Un’altra ragazza, un po’ in disparte, prende la parola, si chiama Irem: “Erdogan ci dipinge come malati e criminali. Guardati intorno: ci sono famiglie, bambini, anziani. Tutte persone pacifiche – omosessuali e non – che oggi volevano festeggiare l’amore e la pace. Ecco risultai: gas lacrimogeni e cannoni ad acqua”. Irem sembra molto lucida, vuole spiegare il suo punto di vista : “È un problema educativo: la gente pensa che che l’omosessualità sia una malattia che si può curare. Per molti, in Turchia, è ancora un tabù. Subiamo ogni tipo di ingiustizia, nel silenzio assordante della politica: ad esempio, non possiamo lavorare, se dichiariamo apertamente il nostro orientamento sessuale. Veniamo continuamente derisi e scherniti”. Irem, in modo concitato, racconta: “Io sono fortunata perché vivo ad Istanbul. Nei villaggi in Turchia esiste ancora “il delitto d’onore“: nel 2013 un ragazzo che conosco è stato ucciso dal padre perché gay. La famiglia non poteva accettare questa vergogna quindi ha preferito cancellare il problema dalla radice: sparare al figlio”. E’ un fiume in piena, prima di andarsene aggiunge: “Non so come è andato a finire il processo, ma purtroppo, nei villaggi, la maggior parte delle persone omosessuali non hanno il coraggio di dichiarare apertamente la propria omosessualità: è troppo pericoloso. Bisogna combattere prima di tutto l’ignoranza in questa Paese”.
Un’altra ragazza mentre parla stringe la mano della compagna : “Noi siamo qui oggi per mandare un chiaro messaggio al Presidente: è iniziato una nuova pagina politica in Turchia. Noi esistiamo e continueremo a manifestare. I gas lacrimogeni non ci spaventano più”. Poco più in là, un giovane, sulla ventina, con la bandiera arcobaleno appoggiata sul volto, utilizzata per proteggersi dai gas lacrimogeni, si ferma a parlare con dei giornalisti presenti e lancia un monito al Presidente: “Fino a quando anche una sola persona nel mondo sarà picchiata, oltraggiata o molestata, per ragioni sessuali, ci saranno altri 10.000 Pride!”. Poi – ancora evidentemente stordito e frastornato – si disperde tra la folla.
Dinamo Press
10 06 2015
Vite, energie, corpi favolosi e fuori controllo! Il 13 giugno partirà da Piazza della Repubblica il Roma Pride 2015. Appuntamento ore 15:00, Piazza della Repubblica
Lo attraverseremo come spazio conquistato e non concesso, dove rivendicheremo la libertà e i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, trans, queer, intersex insieme al diritto ad una città libera da pregiudizi e dal malaffare, per il rispetto della dignità di tutt*. Mentre il sindaco Ignazio Marino sostiene i diritti delle coppie gay, si schiera in prima fila insieme a chi sta svendendo la città, rispondendo con le ruspe alla necessità di diritti e sottraendo ai cittadini gli spazi sociali, di aggregazione e di produzione culturale. Scendiamo in piazza gridando no al Jobs Act, al Piano Casa e al decreto Salva Roma, no alle ruspe di Salvini e al silenzio sulle morti in mare dei migranti. La nostra città è diventata insopportabile, triste, grigia e vuota. Noi ci riprendiamo gli spazi che ci vengono sottratti e intrecciamo le lotte per un comune percorso di mobilitazione.
Contro la precarietà abitativa, culturale, lavorativa e affettiva, contro la tristezza e la solitudine, contro il silenzio e il razzismo, scendiamo in piazza e riprendiamoci le strade!
Noi non stiamo con Marino, siamo frocie fuori norma!
Siamo fuori controllo. Siamo posate ed educate. Siamo svogliate e sgraziate. Siamo artiste e fannullone, femministe e ricchione. Siamo frocie ineducate. Siamo mani delicate, bocche insaziate. Siamo figlie di un rigore che ci ha volute ribelli. Siamo corpi desideranti, corpi stanchi, corpi vivi e fuori forma. Viviamo le nostre vite di lotta e favolosità negli spazi che occupiamo. Il Pride, la parata, è uno spazio che occupiamo. Uno spazio che ci appartiene perché non ci è stato concesso, ma è stato da noi conquistato. Uno spazio in cui esprimiamo la nostra essenza, mostriamo i nostri corpi, urliamo i nostri desideri e cantiamo la nostra rivoluzione, senza paura e forti della resistenza che celebriamo, perché libere dalla norma, libere dalla classificazione e dalla costrizione. Le nostre vite reclamano spazi, e i nostri corpi se li prendono!
Politici incapaci costringono la nostra quotidianità in città come modellini di plastica, costruiti da grosse mani inesperte, che non riescono a gestire i particolari. Le nostre vite hanno bisogno di città amiche, città morbide che parlano lingue diverse e mangiano cibi colorati; città gestite da chi riempie le sue strade e fa vivere i suoi spazi. Le città che vogliamo non hanno centri commerciali tra le baracche di piccoli commercianti; non hanno parcheggi sterminati al posto di parchi né decorazioni futuriste di cemento al posto di case popolari circondate da giardini. Le nostre città non accettano ricatti e compromessi; per questo noi non ci pieghiamo ai dettami politici che ci vedono come problema di ordine e decoro, ci stigmatizzano come fannullone delinquenti e pericolose, e ci ghettizzano in periferie abbandonate o in quartieri frocifriendly. Le città che vogliamo non si muovono su ruoli ritenuti rispettabili da un’autorità che non ci rappresenta, ma camminano sulle gambe di donne pelose e uomini sui tacchi, di bambine vestite male e di mamme con la barba. Le famiglie che abitano le nostre case sono scomposte e incasinate, non vanno a messa la domenica ma praticano il cunnilingus; non vanno al family day ma giocano nei centri sociali.
Emblema della strumentalizzazione che delle nostre soggettività viene fatta è Expo2015, che si è impossessata di costruzioni ideologiche da benpensanti per proporre modelli di città ecosostenibili, modelli di nutrizione sana e di integrazione di tutte le culture e di tutte le sessualità, per niente, però, supportati da credibilità e concretezza. Quello che expo è stato in grado di proporre fin’ora è solo sfruttamento dei territori, mercificazione dei corpi e sfruttamento del lavoro di giovani sottopagati. Ci opponiamo al modello expo, e rifiutiamo di sostenere il Pride ufficiale milanese che di tutto questo decide di farsi bandiera. Non vogliamo essere normalizzate; non vogliamo essere identificate in ruoli o controllate da norme. Vogliamo essere libere di autodeterminarci e usufruire di tutti gli strumenti che scegliamo per farlo.
Menti politiche illuminate impongono un regime economico di austerity definanziando le strutture pubbliche e sostenendo banche e grandi imprese; smantellano le forme di organizzazione sociale costruite dal basso e riconoscono un modello familiare irreale. La sanità deve essere pubblica, gratuita e libera dall’intervento delle lobby cattoliche! Gli interventi per il cambio di sesso si realizzano come sperimentazioni sui nostri corpi guidate da macellai che ci vedono come mostri. Ci ritroviamo a dover scegliere se ricoprire un ruolo maschile o un ruolo femminile e a dover regolare ogni aspetto della nostra vita sulla base di questa scelta. Ce lo impongono da bambine, e lì dobbiamo scegliere se essere principesse rosa o guerriere solitarie. Noi siamo principesse guerriere! E non siamo mai sole! Ci propongono lavori adatti alle nostre “Specificità”, all’immagine che di noi vogliono dare, all’aspetto più attraente della nostra personalità …o dei nostri culi.
Siamo brave casalinghe e badanti. Siamo negre puttane e zingare bastarde. Siamo migranti in cerca di vita, che vengono accolte da razzismo, sessismo e fascismo. Non vogliamo piacere alle belle forme dei salotti in cui si decidono le sorti di migranti che poi vengono lasciati morire sul tappetino di casa come fossero zanzare. Il nostro Paese si fa forte di grandi elogi sulle sue capacità di accogliere i migranti; cita enormi cifre stanziate a loro favore e bacchetta l’Europa che inerme assiste a tutto questo, ma non parla di CIE, non parla del lavoro in nero da schiavi, non parla del totale abbandono riservato a chi richiede asilo, e propone soluzioni ridicole da fumetto. Non ci riconosciamo in queste politiche, per questo decidiamo di non esserne schiave e trasgredire. Saremo in ogni città, in ogni lotta, in ogni parata, in ogni casa!
Ci riprendiamo la città, perché è tutta nostra!