Dopo le amenità profuse su Mario Balotelli per la sua insolente reazione su Instagram all’ennesimo commento razzista, oggi “Libero” ha dato il via a una nuova campagna di squadrismo 2.0 contro il rapper romano Amir Issaa (nel senso di: nato e cresciuto a Roma, se – porca puttana- dovesse essere necessario precisare.) Amir sarebbe reo di “incitamento all’odio e alla violenza” per il video qui sotto, in cui compare anche il deputato PD Khalid Chaouki, quello che si era barricato insieme ai profughi e migranti nel cosidetto “Centro di accoglienza” a Lampedusa.
Per squadrismo 2.0. intendo quella pratica per cui una testata piuttosto visibile o ben ramificata (giornale o blog noto) inquadra il bersaglio e apre le danze alla diffusione sui social media di messaggi d’odio che vanno dal più gentile “torna in Africa!” agli auspici e alle minacce di morte esplicite, che in questo caso sono valanga.
Sinora il meccanismo dello hate-speech propagato in rete non si è ancora tradotto in violenza fisica organizzata (qualcuno però si è sucididato), ma non è detto che questo rito di sfogo collettivo debba restare per sempre confinato alla realtà virtuale. Chi si serve di questo strumento, oltre a scatenare una indubitabile violenza simbolico-verbale, in ogni caso espone una o più persone con nome e cognome che esistono in carne e ossa a una schiera di nemici anonimi, di cui magari qualcuno possiede qualche mazza o spranga e avrebbe piacere di usarla non solo nelle vicinanze di uno stadio. Questo è naturalmente più facile che avvenga nel caso in cui il bersaglio non sia superfamoso e dunque superprotetto. Ma – sempre naturalmente- questo non è un problema dell’incendiario che si è semplicemente avvalso della sacrosanta libertà d’opinione.
Non mi pare casuale che l’attacco in questione avvenga sulla scia della questione Balotelli, secondo me parecchio sottovalutata da molte persone senza dubbio non razziste, ma qui dovrei fare un discorso diverso (rimando, per chi non l’avesse visto, a un divertente articolo di Quit the Doner) e assai più lungo.
Qui invece il problema mi pare risaltare in modo adamantino. Il problema – per “Libero” e per una grossa pancia assai più gonfia di flatulenze tossiche – è il semplice fatto che gli italiani non “etnici” esistono e sono tanti. Peggio: che hanno coscienza di sé, coscienza dei loro diritti negati o ostacolati con ogni cavillo e mezzuccio sporco (inclusi i costi vergognosi per le pratiche di cittadinaza che partono da 200 euro a capoccia). Coscienza di dover lottare per il proprio riconoscimento, coscienza – in questo caso – di come vorrebbero fosse l’Italia, per loro, ma non soltanto.
Questo è un rap: genere per definizione veicolo di rabbia, ricettacolo di turpiloquio, esaltazione della violenza più disparata e talvolta più schifosa (tipo omofobica, biecamente maschilista, persino nazi), articolato in un sottogenere che si chiama gangsta-rap – nonostante il nome dica tutto, passato come global mainstream beccandosi solo le intermittenti accuse di essere un pelo diseducativo. Solo Jovanotti, con rispetto parlando e per quel che ne sappia, ha sviluppato una versione molto nostrana dove “esiste solo una grande chiesa che passa da CHE GUEVARA e arriva fino a MADRE TERESA passando da MALCOM X attraverso GANDHI e SAN PATRIGNANO…”.
Insomma Amir in questa canzone non dice “volemose bene” o “vogliateci bene, siamo tanto bravi e carucci, come in un poster Benetton” e ha ottime ragioni per non farlo. Rivendica l’assalto al diritto (anche del futuro), prognostica casini se non cambia lo stato delle cose (il ché è diverso dal minacciare o incitare alla rivolta, cosa che tra l’altro, ogni sorta di musicisti anche superaffermati fanno), nomina con disprezzo una parte degli italiani che (gli) fa schifo.
Vale a dire: esprime, con il proprio linguaggio musicale, quella che si chiamava una coscienza politica anche se questa non si esplicita in invito alla militanza e tantomeno sovrastruttura ideologica. E questo, a mio avviso, è utile non solo per loro, i G2, la seconda generazione di immigrati (ossimoro che dovrebbe allappare i denti).
Ius Music (testo)
I miei fratelli sono afro fieri, maghreb e cinesi, filippini con i piedi qua e il sangue da altri paesi, chi ha la madre che lavora nelle case di ignoranti che abbandonano le loro sole in braccio alle badanti. Gente stupida rimasta ancora al medioevo, li sveglio di notte sono l’incubo dell’uomo nero e se il futuro è il nostro lo vogliamo in esclusiva, stanchi di elemosinare diritti e metterci in fila, Da Palermo a Torino scoppierà un casino, se l’Europa è un altra storia se Roma non è Berlino, è la paura di qualcosa che ormai vive qua vicino e non ti salverai in Padania non esiste in nessun libro, Non sono un G2 Italiano col trattino, una Fiat uno col bazooka sul tettino è la storia di un normale cittadino impazzito era clandestino adesso è un assassino.
Questa è Ius Music, Ius Music
Questa è Ius Music, Ius Music
Questa è Ius Music, Ius Music
Non c’è frontiera quando la mia gente parla
Questa è Ius Music, Ius Music
Questa è Ius Music, Ius Music
Questa è Ius Music, Ius Music
Orfano di quest’Italia un superstite resto a galla
La mia non è una razza la mia è una tribù quelli sempre al centro del mirino è questa la mia crew, la mia gente stanca di essere accusata di essere considerata il pericolo dentro casa
amici laureati fermati da uno con la terza media umiliati e maltrattati, e non c’è scusa quando l’ignoranza parla se qua l’essere Italiano è solamente sulla carta, Se ti senti fuori luogo in questa situazione, e diventi uno straniero nella tua nazione, stessa lingua stessa rabbia stesso cibo, siamo nella stessa merda non sono io il tuo nemico, siamo scacchi nella stessa battaglia noi orfani superstiti fratelli d’Italia, oltre i muri le frontiere e i confini Balotelli faccio gol e sono tutti felici.
Ps. Siete mai passati da un campo di calcio dell’oratorio? Quelli dove vanno i ragazzini di tutti colori, alcuni che corrono dietro al pallone in Salwar Kamiz, approdati freschi dal Pakistan? (copyright: oratorio del centro di Gallarate) Se sì, magari vi sarete resi conto che un’ apertura decente allo Ius Soli e alla naturalizzazione di chi in Italia vive e cresce, sarebbe un’ottima risposta al coro di lamenti sul declino del calcio italiano che ci hanno rintronato in questi giorni. Non che questo sia prioritario. Più interessante sarebbe invece immaginare che nei prossimi quattro anni Balotelli mettesse “la testa apposto”, diventasse fortissimo ma poi decidesse: “fanculo, gioco per il Ghana!” O Stephan El Sharawy…
Helena Janeczek
27ora
30 04 2014
Da quando la rapper diciottenne egiziana Mayam Mahmoud è apparsa in tv nel programma “Arabs Got Talent” lo scorso ottobre, è diventata una celebrità. Nei giorni scorsi, mentre riceveva il prestigioso “Index Freedom of Expression Award” a Londra, ha spiegato ai giornalisti che “i rapper uomini parlano spesso delle donne, dando loro la colpa di tutti i loro problemi. Io ho deciso di occuparmi dei problemi delle donne”. Ha cominciato a 10 anni (considera il rap una “estensione” delle poesie che scriveva sin da bambina), e ora studia scienze politiche e sociali. Eppure su YouTube, tra i commenti al suo video si legge: ”E’ carina e sarebbe molto più carina senza quella tovaglia in testa”.
La canzone che l’ha resa famosa si intitola “Femminilità”, e parla del modo di vestire delle ragazze e dei condizionamenti della società:
Le donne della nostra società sono divise
C’è l’hijab, il niqab e in mezzo un po’ di tutto
ci sono molte questioni che ci circondano, legate alle ragazze
sugli abiti e l’apparenza, che non era una condizione in origine
Come puoi controllare tu i miei capelli o il velo sulla testa?
Tu mi guardi, io non mi vergogno
Tu flirti e mi molesti, eppure pensi di non avere torto
Ma queste sono solo parole, non è flirtare, e non sono pietre
Non ci siamo vestite in modo sconveniente, ma l’idea è problematica?
…. Chi dice che la femminilità dipende da come ti vesti?
La femminilità si vede dall’intelligenza…
Proprio un paio di giorni fa, El Paìs raccontava la storia di Ramika Khabari, rapper afghana che dà voce alle rivendicazioni delle donne. Ma ha deciso di non portare più il velo, mentre Mayam vuole dimostrare che non deve per forza essere un simbolo di oppressione.
"Nel mio Paese molte ragazze che indossano l’hijab rinunciano al mondo dello spettacolo, mettono da parte la musica, la recitazione. La mia risposta è: perché guardate solo il velo che porto in testa mentre saltello sul palco, ma non ascoltate quello che dico?"
In realtà, Mayam non è l’unica rapper velata, nè la prima. Yukka, 23 anni, studentessa di giurisprudenza, compone dal 2011 canzoni sulla rivoluzione egiziana vista dal punto di vista delle donne. Anche lei ha cominciato a 10 anni, anche lei porta il velo, ma la sua famiglia non la sostiene (a differenza di quella di Mayam), e dice che è difficile per una ragazza come lei trovare un fidanzato. Ha avuto anche problemi con le autorità (non perché sia donna ma perché le sue canzoni criticavano il governo).
Di recente, un gruppo di donne musulmane che vivono in America hanno lanciato una campagna per dimostrare che si può essere islamiche e alla moda allo stesso tempo. Si fanno chiamare Mipsterz (cioè hipster musulmane) e hanno lanciato un video diventato “virale” su internet, anche se poi alcune di loro hanno finito per criticare il risultato.
"Non sapevamo che saremmo apparse in un filmato con il sottofondo di Jay-Z che parla di ‘niggers’ e ‘bitches’ e cose che non ci rappresentano."
La prossima volta potranno usare la musica dell’egiziana Mayam.