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Traffico di rifiuti: a breve saranno desecretati nuovi dossier

  • Giovedì, 29 Gennaio 2015 14:44 ,
  • Pubblicato in FAN PAGE

Fanpage
29 01 2015

Lo ha annunciato il presidente della commissione d'inchiesta sui rifiuti Alessandro Bratti, parlando del fenomeno delle "navi a perdere". La verità potrebbe essere più vicina su uno dei tanti misteri italiani

La commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti si appresta a varare, in accordo con la presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini, una nuova desecretazione dei documenti che riguardano le vicende legate al traffico internazionale di rifiuti. I documenti dovrebbero riguardare il fenomeno delle “navi a perdere” affondate nel Mediterraneo con il loro carico di rifiuti tossici. Ad annunciarlo è stato il presidente della Commissione d’inchiesta sui rifiuti, Alessandro Bratti, dopo la missione in Liguria della commissione.

Saranno desecretati i dossier sulle “navi a perdere”- La commissione parlamentare d’inchiesta sui rifiuti è stata in Liguria la scorsa settimana. Una missione per valutare una serie di temi: lo stato delle bonifiche dei siti inquinati; il ciclo dei rifiuti solidi urbani; la vicenda delle “navi a perdere”. Il crocevia più importante è stato senza dubbio La Spezia dove la commissione ha visitato il sito della ex discarica di Pitelli, in cui tra gli anni ottanta e gli anni novanta sono finite milioni di tonnallate di rifiuti pericolosi. Proprio l’inchiesta sulla discarica di Pitelli, conclusasi con l’assoluzione dall’accusa di disastro ambientale per l’imprenditore Orazio Duvia, portò alla luce un traffico di rifiuti internazionale tra l’Italia ed i paesi africani. Le indagini condotte dal Corpo Forestale dello Stato, permisero di raccogliere informazioni anche sul fenomeno delle cosiddette “navi a perdere”, ovvero navi cariche di rifiuti tossici che sarebbero state affondate nel Mediterraneo. Navi che sarebbero transitate anche nei porti italiani tra gli anni ottanta e gli anni novanta, tra cui anche quello di La Spezia. Proprio su queste vicende la commissione intende fare luce come ha spiegato ai microfoni di Fanpage, l’onorevole Alessandro Bratti del Partito Democratico, presidente della Commissione d’inchiesta sui rifiuti.

“Stiamo provando a fare un ragionamento diverso dal passato – ha spiegato Bratti – proviamo a partire dalla fine, ovvero cercare di capire dove sono finiti i rifiuti tossici che sono partiti da alcuni posti strategici del Libano e del Nord Africa. Prima di fare ipotesi sulle navi affondate dobbiamo capire dove sono finiti i rifiuti“. Seguendo questa pista la Commissione guidata da Bratti vuole provare a ricostruire i traffici di rifiuti internazionali di quegli anni, a partire proprio dal fenomeno delle “navi a perdere”. “In accordo con la presidenza della Camera – prosegue Bratti – stiamo provvedendo a desecretare e rendere pubblici tutti gli atti che si possono rendere per vedere se si trova qualche notizia in più“.

Si annuncia quindi una nuova desecretazione di documenti dopo quella avvenuta nel marzo dello scorso anno che rese pubblici centinaia di atti, dossier, informative dei servizi segreti, audizioni della stessa commissione di inchiesta, che riguardavano il tema delle “navi dei veleni” ed anche l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, i giornalisti italiani uccisi in Somalia nel 1994.

La vicenda delle “navi a perdere”, uno dei grandi misteri italiani, salì alla ribalta dopo la misteriosa morte del capitano di marina Natale De Grazia, morto misteriosamente il 13 dicembre del 1995 dopo aver mangiato in un autogrill nei pressi di Nocera Inferiore vicino Salerno, mentre in compagnia di altri colleghi si recava La Spezia dove doveva deporre davanti ai giudici della Procura Militare rispetto al fenomeno delle “navi a perdere”. De Grazia stava indagando sulla vicenda per conto della Procura della Repubblica di Reggio Calabria che avviò l’inchiesta sulla base delle dichiarazioni di alcuni pentiti. Furono in particolar modo le parole del collaboratore di giustizia Francesco Fonti, morto nel 2012, che furono rivelate da L’Espresso, a permettere ai giudici di Reggio Calabria di avviare l’inchiesta che ad oggi non ha portato ad alcun risultato. Sarebbero diverse decine, secondo i verbali di Fonti, le navi cariche di rifiuti tossici “sepolte” nel Mediterraneo.

L’inchiesta della procura calabrese si intrecciò con il lavoro degli uomini del Corpo Forestale di Brescia che indagavano sulla discarica di Pitelli a La Spezia. Dalle intercettazioni telefoniche e da una serie di rivelazioni date da fonti confidenziali, gli uomini della Forestale acquisirono materiali che riguardavano proprio il traffico di rifiuti attraverso le navi. La morte misteriosa di De Grazia avvenne proprio alla vigilia di un importante incontro investigativo. Una vicenda, quella delle “navi a perdere”, che fu accostata anche alla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin i quali stavano indagando probabilmente proprio su un traffico di rifiuti via mare tra l’Italia e la Somalia quando vennero uccisi.

Il ruolo dei porti – Il porto di La Spezia sembra essere indicato in molti dei documenti a cui è già stato tolto il segreto, come un crocevia dei traffici di rifiuti. “Certo La Spezia è un porto da tenere sotto osservazione - continua Bratti - per la presenza della discarica di Pitelli, ma anche per la presenza delle fabbriche di armi“. A La Spezia infatti ha sede la Oto Melara una delle più grandi industrie belliche del paese controllata dalla Finmeccanica. Inoltre, sempre nella città del golfo dei poeti, c’è l’immensa area della ex Polveriera militare, luogo di esercitazioni ed ovviamente anche di transito di armi e produzione di rifiuti bellici. Ma Bratti drizza le antenne su tutti i porti italiani, soprattutto guarda al presente “oggi stiamo verificando il traffico transfrontaliero dei rifiuti per verificare cosa parte dall’Italia, ma non c’è solo La Spezia, li stiamo monitorando tutti attentamente“. Insomma bisognerà comprendere se quel presunto traffico internazionale di rifiuti che vedeva l’Italia come crocevia negli anni novanta, sia ancora oggi, magari in forme diverse, un fenomeno che alberga nei nostri porti.

La commissione dai tanti segreti – Sono tanti i documenti ancora sottoposti a segreto che giacciono nell’archivio della Camera dei Deputati. Si tratta dei documenti raccolti dalle attività delle Commissioni d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti dagli anni novanta ad oggi. Una commissione molto delicata quella sui rifiuti, tanto che nonostante il parlamento si sia rinnovato nel febbraio del 2013, e il disegno di legge per l’istituzione della commissione sia stato varato appena un mese dopo nel marzo del 2013, l’insediamento c’è stato soltanto quattro mesi fa nel settembre dello scorso anno. Con l’annuncio di un nuovo blocco di desecretazione l’attuale commissione guidata da Bratti sembra andare in controtendenza rispetto alla precedente commissione che fu guidata dall’avvocato Gaetano Pecorella del Pdl che utilizzò in molte occasioni lo strumento del segreto rispetto alle audizioni effettuate dalla commissione d’inchiesta ed in merito ai documenti acquisiti dalla stessa.

Nonostante nel marzo scorso ci sia stata una desecretazione di molti documenti, a seguito di una campagna messa in atto tra gli altri da Greenpeace e dal il quotidiano Il Manifesto, sono ancora tanti i misteri che ruotano intorno alla vicenda delle navi dei veleni e del caso dell’assassinio di Ilaria Alpi e la verità sembra ancora lontana e troppi sarebbero ancora i documenti su cui pesa il segreto. Su quei documenti resi pubblici lo scorso anno, non sono mancati i colpi di scena: come il caso di un documento desecretato dal Ministero delle Politiche Agricole, che fu dapprima reso pubblico ed a cui dopo venti giorni fu applicato nuovamente il segreto, rendendo dunque i contenuti del documento non divulgabili da parte della stampa.

Antonio Musella

 

Fan Page
26 01 2015

L’annuncio viene dato da Marino durante un dibattito attorno alle conseguenze di Magia Capitale tenutosi nel circolo del Partito democratico di Trastevere. “A breve scadrà il contratto di servizio con Ama – ha dichiarato il primo cittadino – Sono favorevole a scrivere nel nuovo contratto di servizio per la raccolta dei rifiuti che ci possa essere un affidamento in forma sperimentale non solo ad Ama, ma anche ad altri soggetti per testare altri strumenti di raccolta diversi e più innovativi. Così daremo una scossa a un sistema finora un po’ rigido”.

Così con nonchalance in una tranquilla domenica invernale Marino lancia una vera e proprio notizia bomba: se Ama perde il monopolio della raccolta dei rifiuti, aprendo a soggetti privati in via “sperimentale” perché Roma Capitale dovrebbe controllare l’azienda direttamente? Perché le sperimentazioni che ha in testa il sindaco non le può fare una società controllata, in teoria, dal comune stesso?

Sul tema dei rifiuti è intervenuto anche il minisindaco Sabrina Alfonsi “Trastevere ancora oggi è il rione con la più alta percentuale di raccolta differenziata: il 78%. I cittadini di Trastevere sono un modello. Ma il quartiere ha un grosso problema: i rifiuti per strada, il rione ne è pieno”. “L’Ama deve trovare risposta nei segmenti dove non c’è – ha aggiunto – Basta sacchi di rifiuti per strada che diventano delle discariche. E il primo motivo di quanto accade sono le attività commerciali. Trastevere vorrebbe avere, come Firenze, Padova e Bologna, i cassonetti interrati. Secondo noi potrebbe essere una grande sperimentazione”.

Marino rilancia poi il comune nel business dei cartelli pubblicitari, per finanziare le spese per il decoro della città. “Penso che dovremmo fare un passo ulteriore sugli impianti pubblicitari. Ad esempio trasformando gli spazi con la scritta in ghisa Spqr in pannelli elettronici. Si potrebbe fare attraverso partnership con privati. In questo modo si può più facilmente cambiare le pubblicità ed affittare quegli spazi ad un prezzo superiore, portando così più decoro e più soldi nelle casse”.

 

Nei 55 comuni della "Terra dei Fuochi" ci si ammala di cancro e si muore significativamente di più che nel resto della Campania. ...

Il Fatto Quotidiano
05 12 2013

Giovanni Balestri è il geologo consulente tecnico delle principali inchieste giudiziarie sullo scempio ecologico campano. A cominciare dalla vicenda della Resit di Giugliano (Napoli), discarica autorizzata che ha finito per ingoiare ogni genere di veleno, oggetto di un processo concluso poche settimane fa con la condanna in primo grado del boss dei Casalesi, Francesco Bidognetti, a 20 anni per disastro ambientale. Ilfattoquotidiano.it lo ha intervistato, a pochi giorni dall’approvazione del decreto per intervenire nella Terra dei Fuochi.

Partiamo proprio dal decreto: altri 600 milioni di euro per bonificare questi territori gravemente compromessi sono sufficienti?

"Il problema non è avere soldi in abbondanza. Il problema è utilizzarli bene, ovvio. Un professionista oculato spende la metà per svolgere lo stesso lavoro di un professionista meno oculato o inesperto. In Italia i preventivi di spesa vengono sempre sforati, come se si fosse alle prese con un hard disk, lo si riempie fino in fondo sicuro che basti, ma poi se ne deve compra un altro. Io penso che 500 milioni di euro potrebbero essere sufficienti per bonificare tutti i siti campani che ho in mente. Ne arrivano 600? A maggior ragione dovrebbero bastare, purché ci sia in fondo una cultura di giudizio e di amor proprio per la cosa pubblica, che finora, purtroppo, non ho visto".

Marco De Marco, direttore del Corriere del Mezzogiorno, ha scritto che bisogna pensare all’ipotesi di interdire definitivamente al pubblico certe aree dove l’inquinamento è irrimediabile. Impedendo di viverci e di transitarci. Secondo lei potremmo essere già arrivati a questo punto?

"Le discariche nate autorizzate e morte in un certo qual modo abusive, hanno causato un danno, ma si sa dove stanno e possiamo pensare a un loro confinamento e risolvere il problema. Per quanto riguarda i posti dove hanno sversato di nascosto, si tratta di posti sub superficiali, dove il materiale è stato messo al massimo a cinque metri di profondità. Nella zona dell’agro-aversano, la falda è abbastanza lontana dalla superficie e interdire le aree potrebbe essere un provvedimento eccessivo. Basterebbe ripulirle dai rifiuti. Detto questo, basterebbe prendere le foto satellitari e aeree in archivio, effettuare anche nuovi voli, e vedere nel tempo le modifiche che non corrispondono a nessuna attività agricola, e in un mese la mappatura delle zone ipoteticamente contaminate è pronta per la verifica sul territorio, dopodiché la si interdice fino a quando non si bonifica".

Magari andava fatta prima.

"La proposi già nel 1998 alla Guardia di Finanza, che mi ha supportato in questi anni in tante attività di indagine e che ringrazio per l’ottimo lavoro. Però risposero che occorrevano 900.000 dollari per far tarare e aggiornare i sensori ormai obsoleti negli Stati Uniti. Ma quei soldi non c’erano e la faccenda fini lì. Nessuno poi ha fatto nulla. Direi che abbiamo perso 14 anni per soli 900.000 dollari. Sarebbero poi bastati quattro voli l’anno, uno a stagione. Pensi a quanto avremmo risparmiato adesso e quanti scempi avremmo evitato".

Nel suo ruolo di consulente della Procura ha ispezionato una dozzina tra le località più inquinate tra Napoli e Caserta. Quale sta messa peggio?

"Giugliano e le sue discariche. Ma anche la problematicità di Castelvolturno è molto grave: c’è il mare vicino, ci sono i cosiddetti laghetti e la falda si trova ad appena un metro sotto il piano di campagna. Lì, a parità di condizioni rispetto ad altre aree, la potenzialità della contaminazione è maggiore".

Eppure a Giugliano vorrebbero realizzare quello che la politica chiama termovalorizzatore e i comitati chiamano inceneritore. Quel territorio già così compromesso è in grado di assorbire il peso di questo impianto?

"Io sono solo un fornitore di dati scientifici, sono consulente della Procura ancora adesso e non esprimo giudizi. Dico però che la normativa prevede che i siti adibiti a discarica, una volta chiusi, non possono essere riavviati ulteriormente. Il legislatore intendeva così evitare di sovraccaricare lo stesso territorio di ulteriori problematicità ambientali: dunque penso che intendesse dire che se non si deve insistere con le discariche, non si dovrebbe insistere nemmeno con altro".

Lei oltre alla Campania è stato consulente anche in Calabria e in Sicilia: qual è la mafia che ha fatto più danni all’ambiente?

"La malavita calabrese forse è la peggiore in assoluto, ma spesso ha realizzato discariche abusive in zone così lontane dalla civiltà che quasi quasi nessuno se ne accorge. In Sicilia ho riscontrato sì un forte degrado ambientale, ma forse il mafioso siciliano ama la propria terra più del camorrista campano e ha realizzato cose meno impattanti ed eclatanti. La camorra è stata invece capace di inquinare territori fertili invidiati ovunque".

In una perizia allegata agli atti di un paio di processi sulle vicende della Resit di Giugliano, lei ha definito le analisi della falda compiute dall’Arpa Campania dei primi anni 2000 "carenti, inutili, superficiali" e orientate a occultare i danni in corso. Oggi, a distanza di dieci anni, possiamo fidarci della qualità dei controlli svolti dalle autorità pubbliche?

"Penso di sì, grazie anche a una pressione mediatica molto forte, personale e laboratori si sono allineati su pratiche efficienti e scientificamente corrette. Però ci si disperde un pò, c’è una sovrabbondanza di dati. Un'ordinanza della presidenza del Consiglio dei Ministri riporta che tutto ciò che parte dai commissariati per le bonifiche debba essere fatto in sintonia con l’autorità giudiziaria. Cosa vuol dire? Significa che ad esempio il commissario De Biase, che lavora alla problematica della Resit e di altri siti vicini, sa che tutto ciò che fa, passa sulla scrivania del pm Milita, che a sua volta gira le carte a me per un giudizio sommario, quindi entro certi limiti. Quindi so per certo che si producono migliaia di dati, e quando me li vedo arrivare tutti insieme mi chiedo se addirittura non siano troppi. Tante cose si fanno per eccesso di scrupolo, e il risultato è che si allungano i tempi, forse anche si dilatano i costi, ma non entro in merito, e l’obiettivo magari si allontana. Ma questo è un tipico approccio all’italiana, viziato anche da prassi amministrative veramente contorte. E lo dico senza spirito polemico".

A proposito di costi, quante risorse necessitano per accertare i danni ambientali?

"Non ci vuole molto, basta fare le cose con buon senso, intelligenza e soprattutto con esperienza, spesso in questa materia complessa e multidisciplinare ci si improvvisa. Il costo enorme invece consiste nel ripararli. Con le bonifiche. Peraltro, le tabelle ministeriali dei compensi di qualunque consulente tecnico che opera nel mio campo, di qualunque procura italiana, hanno del ridicolo, prezzi che sono quasi un decimo del tariffario del mio ordine professionale".

Vincenzo Iurillo

Sud pattumiera del Nord (Francesca Pilla, Il Manifesto)

  • Sabato, 16 Novembre 2013 00:00 ,
  • Pubblicato in primopiano 2
Provate a contare fino a 410 mila e poi fatevi un'idea di quanti sono stati i camion che hanno viaggiato da Nord a Sud per arrivare a sversare, in 22 anni, 10 milioni di tonnellate di veleni nelle province di Napoli e Caserta. Sono questi i dati raccapriccianti che ieri Legambiente ha riproposto nel suo dossier sulla Terra dei Fuochi. ...

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