Huffingtonpost31 07 2013Sono già intervenuta più volte sul tema degli ospedali psichiatrici giudiziari, sostenendo con forza il dovere delle istituzioni di adoperarsi affinché fosse realizzata l'agognata chiusura di questi istituti. Adesso, a seguito delle preoccupazioni e delle perplessità rilanciate dal Comitato StopOPG, mi sento in dovere di intervenire di nuovo.
L'annosa e dolorosa questione - sulla quale speravamo di poter finalmente pronunciare la parola "fine" nei tempi indicati dal decreto legge n. 24 del 2013 - sembra ancora lontana dalla sua conclusione e sembra aver intrapreso un percorso diretto a realizzare gran parte di quelle criticità e problematiche che, come Sinistra Ecologia Libertà, avevamo più volte sollevato e contrastato durante l'approvazione della legge di conversione del decreto in questione.
Ritengo utile ricordare brevemente le travagliate vicende normative che hanno determinato la permanenza e attuale operatività degli ospedali psichiatrici giudiziari. All'inizio del 2012, con la conversione del decreto legge n. 211 del dicembre 2011, si fissava il termine per il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari allo scorso febbraio, con il compito - assegnato alle regioni - di mettere a punto specifici piani per il raggiungimento di tale obiettivo.
Preso atto dell'impossibilità, per le istituzioni coinvolte, di giungere alla auspicata chiusura nei termini stabiliti, il 25 marzo veniva disposta la proroga di un ulteriore anno per lo smantellamento degli Opg, ora fissata al primo aprile 2014.
Nel prendere la sofferta decisione di ricorrere all'ennesima proroga sulla questione, ci siamo fatti portavoce delle associazioni che da anni si battono con tenacia per la chiusura degli istituti, perché, se la realtà imponeva un rinvio dei termini di chiusura degli Opg, le condizioni dei 1.400 internati e le violazioni dei loro diritti esigevano, senza discussioni e con assoluta chiarezza, che tale proroga fosse l'ultima.
Facendo nostra la valutazione sugli ospedali psichiatrici giudiziari più volte ribadita dal Comitato StopOpg, che li ritiene inaccettabili per "la loro natura, il loro mandato, per l'incongrua legislazione a sostegno, frutto di obsolete concezioni della malattia mentale e del sapere psichiatrico", abbiamo preteso che, alla proroga della loro chiusura, corrispondessero il rispetto delle condizioni e dei percorsi di cura e il reinserimento sociale dei degenti, nonché tempi certi e impegni precisi da parte di tutte le istituzioni, in modo da voltare definitivamente questa vergognosa pagina della storia italiana.
Grazie anche all'attività parlamentare di Sinistra Ecologia Libertà - un'interrogazione rivolta al Ministro della Salute presentata da me e dal capogruppo alla Camera Gennaro Migliore e numerosi emendamenti alla legge presentati in Senato - siamo riusciti a ottenere che la chiusura degli Opg fosse garantita dalla presentazione, entro il 15 maggio 2013, di piani regionali che prevedessero tempi certi nei quali effettuare, oltre a interventi strutturali, soprattutto attività volte a incrementare percorsi terapeutico-riabilitativi individuali, prevedendo anche la dimissione di tutti coloro per i quali l'autorità giudiziaria avesse escluso, o escludesse successivamente, la pericolosità sociale.
I programmi regionali dovranno inoltre sancire l'obbligo di presa in carico dei pazienti da parte delle Asl all'interno dei citati percorsi terapeutico-riabilitativi individuali, assicurando così il diritto alle cure e al reinserimento sociale e favorendo l'esecuzione di misure di sicurezza alternative al ricovero in Opg o all'assegnazione a case di cura e custodia.
Programmi tardivi o lacunosi avrebbero dovuto causare una reazione diretta del governo, al quale spettava provvedere in via sostitutiva, attraverso la nomina di un commissario unico per tutte le regioni eventualmente inadempienti.
Evidente era il timore che lo stanziamento di fondi destinati alle regioni per la chiusura degli Opg portasse unicamente a creare repliche territoriali di questi istituti, con la nefasta eventualità di dar vita a realtà manicomiali di ridotta portata.
Altra grave preoccupazione era data dalla necessità che tutte le realtà istituzionali coinvolte si attivassero celermente per realizzare le precise scadenze determinate dalla legge, affinché non si verificasse ancora quel deficitario corto circuito tra Stato e regioni che aveva reso impossibile la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari nei termini previsti in origine.
Se il decreto legge n. 24 del 2013, convertito lo scorso maggio, aveva stabilito chiaramente come ed entro quando giungere alla chiusura degli Opg, l'attuale stato di avanzamento della progettualità regionale non fa che ridestare tutti i timori che erano sorti al momento dell'emanazione della legge di proroga e getta delle ombre inquietanti sull'effettiva osservanza dei tempi e delle modalità di chiusura.
Alla data del 15 maggio, infatti, non tutte le regioni avevano presentato un completo e dettagliato programma per il superamento degli Opg e la Regione Veneto non ne aveva addirittura presentato alcuno.
Tale stato disomogeneo e lacunoso della pianificazione regionale pregiudica notevolmente la reale possibilità di rispettare i termini di chiusura degli Opg e, inoltre, non tutti i programmi regionali presentati prevedono un utilizzo dei finanziamenti che tenga conto delle primarie finalità di cura e reinserimento sociale dei pazienti, in quanto non tutte le regioni hanno previsto un apposito e idoneo potenziamento dei Dipartimenti di Salute mentale territoriali.
Come sarà possibile garantire percorsi terapeutico-riabilitativi individuali senza rafforzare i servizi territoriali di salute mentale?
Dall'impianto dell'ultimo decreto legge in materia, si evince con assoluta chiarezza come sia fondamentale, all'interno dei piani regionali, delineare percorsi di presa in carico globale degli individui interessati dalla riforma, lasciando che l'accoglimento dei pazienti in residenze sanitarie sostitutive agli Opg venga utilizzato solo come ultima ratio.
Al giorno d'oggi, tale impianto normativo appare del tutto ribaltato: certo è l'utilizzo delle risorse per la costruzione delle strutture sostitutive degli Opg, con una serie di interrogativi aperti sulla effettiva ed esclusiva gestione sanitaria delle stesse; meno certa - o assolutamente carente - è l'osservanza delle prescrizioni di maggior pregio della legge, quelle che sanciscono finalmente un approccio al disagiato psichico che commette un reato nel segno della cura e dell'inclusione sociale e nel solco della legge Basaglia.
Riecheggia sempre più forte lo spettro contro cui il Comitato StopOpg aveva fin dal principio sollevato l'attenzione: chiudono gli Opg o riaprono i manicomi?
Per chiarire le modalità e lo stato attuale di avanzamento della programmazione regionale, ho presentato, assieme ad alcuni miei colleghi, una nuova interrogazione al ministro della Salute, chiedendo espressamente di verificare i contenuti dei progetti stessi e l'utilizzo dei finanziamenti, nonché di intraprendere apposite iniziative nel caso in cui i programmi presentati risultino inidonei a realizzare le prescrizioni normative.
Tutto ciò in attesa del 30 novembre, termine entro il quale i ministri della Salute e della Giustizia dovranno riferire alle Commissioni competenti lo stato di attuazione dei programmi regionali, come la legge stessa prevede espressamente.
Nella consapevolezza che una completa e compiuta opera di superamento degli Opg non potrà prescindere dalla riforma del Codice penale Rocco, non rimarremo inerti ad assistere al tradimento del dettato e dello spirito di una legge che chiaramente prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e l'avvio di percorsi di cura e reinserimento sociale, né potremo accettare un'ennesima proroga che gravi sulla pelle degli internati.
La battaglia per la chiusura definitiva degli Opg non si preannuncia breve, eppure noi non abbiamo intenzione di tirarci indietro: proseguiremo convinti in questa direzione.