×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 415

Gli ultimi di Atene fra droga da 2 euro e Hiv

"Hai sentito bene: uno cinque zero zero, 1500% d'aumento di HIV", dice Gerasimos Papap, di Kethea, associazione che si occupa dei tossicodipendenti di Atene. La droga si chiama Sisa e si sta  mangiando gli ultimi della Capitale  da almeno quattro anni, ora insieme all'HIV.
Michela A. G. Iaccarino, Il Fatto Quotidiano ...

Il caso di Colle Cesarano, tra disagiati psichici e rifugiati

  • Giovedì, 03 Settembre 2015 12:37 ,
  • Pubblicato in Flash news

Globalist
03 09 2015

Se non si tratta di un investimento di circa un milione di euro siamo prossimi. Mentre se ne derivererà un milione di metri cubi di nuove costruzioni siamo parchi. Quantità non evidenti (nei numeri) nel benestare della Regione Lazio trasmesso al Comune di Tivoli il 2 aprile scorso, in applicazione del Prusst dell'Asse Tiburtino (Programma di recupero urbano e sviluppo sostenibile del territorio). Beneficiario, il "Centro clinico Colle Cesarano Spa", che si potrà permettere la "ristrutturazione ed ampliamento della casa di cura in variante al Prg vigente" alla periferia sud di Tivoli, sulla via Maremmana, di fronte al casello della A24.

Un po' di analisi "logica" suggerita dalla ragione sociale dell'azienda: manicomio o casa di cura? Stando ai "fondamentali", il primo definisce un reclusorio per i "matti", l'altra, il luogo dove viene curato o lenito il disagio psichico. Non sinonimi ma una precisa distinzione. I cui risultati - sintetizzati nella "legge Basaglia", lo psichiatra che partendo da Trieste rivoluzionò il sistema -, si misurano proprio con le modalità di recupero delle persone afflitte dal male.

Dall'unico cancello disponibile si entra a Colle Cesarano, e subito si incontrano persone di pelle scura che stazionano o deambulano. Ovviamente non sono ospiti della "casa di cura" propriamente detta. Si tratta di "rifugiati", 180 unità. Che albergano nei locali una volta utilizzati come alternativi al regime manicomiale: la chiesa, la palestra, la sala per la didattica, il bar, il parrucchiere. Ambiti dai quali i pazienti "classici" sono stati allontanati per far posto ai nuovi arrivati, che lì vivono e dormono.

L'obiezione: "ecco perché serve l'ampliamento della casa di cura". Replica: "la delibera approvata dalla Regione Lazio è del 24 marzo 2015, la richiesta della SpA risale a quindici anni fa, al 18 agosto 2000, data in cui la questione migranti era ben aldilà da venire". Date che confliggono anche per le cronache di Repubblica, che, lo scorso 12 giugno, attraverso Daniele Autieri, intervista Aurelio Casati, già proprietario dell'azienda e firmatario della richiesta iniziale di adesione al Prusst. Dopo aver pagato "una tangente del 2% ad alcuni funzionari della Asl per ottenere i risarcimenti pubblici che ci spettavano (.) tra il 1998 e il 1999 - dice Casati -, chiesi un aiuto a Marco Vincenzi, allora direttore sanitario di Tivoli Terme e in procinto di essere eletto sindaco di Tivoli, in cambio di una consulenza molto ben pagata (si parla di 80 milioni, ndr). Il suo interessamento ci aiutò a ottenere una concessione mineraria sul terreno e quindi ad avere maggiore libertà di costruire". Per questa parte c'è un seguito: la vicenda non sfugge all'Intendenza di Tivoli che apre un fascicolo. Chiuso dopo aver ascoltato i protagonisti.

Riconvertite così le cose, la constatazione: i disagiati psichici di Colle Cesarano sono tornati, nei fatti, a un regime manicomiale, rinchiusi nella camere come un tempo, quindi sarebbe necessario che Regione Lazio e Asl RmG verificassero come ciò sia compatibile con le norme sottoscritte nell'accreditamento con il Servizio sanitario nazionale. E, di conseguenza, l'accertata eventuale inottemperanza, non renda nulla l'iniziale adesione al Prusst.

Un "programma" che mette in mostra ulteriori contraddizioni della società, una esplicita divergenza degli intenti. Infatti, a pagina 6 della stessa delibera regionale, nell'elenco delle opere da realizzare, si legge: "Polo ricettivo-termale" (la concessione mineraria della quale parla Casati; singolare che per ottenerla si sia adoperato Marco Vincenzi, all'epoca direttore delle "Acque Albule SpA", in teoria un concorrente); e, di seguito, "Polo sanitario". Ammettendo coerente la seconda dicitura, non sembra peregrino domandarsi quale consonanza passi tra "ricettivo-termale" e "ampliamento della casa di cura". E chi e come abbia reso possibile autorizzare la costruzione di una sorta di "grandi terme" su quei terreni sotto la dicitura: "Ristrutturazione ed ampliamento casa di cura in variante al prg vigente". La variante sarà pure necessaria, ma gli scopi del soggetto "Colle Cesarano", e, più concretamente, gli obiettivi, si discostano radicalmente tra loro. Poi, però, la coerenza ritorna nelle betoniere e nel cemento perché, messi insieme, i due "poli" arrivano al milione di metri cubi (qualcuno particolarmente pignolo potrebbe sollevare anche la questione della concorrenza con le terme di Bagni, ma qui non interessa, sono problemi dei proprietari della "Acque Albule SpA").

Tutto risponderà di certo a una strategia, per ora non resa esplicita, del "padrone" della casa di cura, quel Manfredino Genova, amministratore di Colle Cesarano, della comunità terapeutico-riabilitativa Villa Maddalena, a Castel Madama, e di Villa Serena, a Montefiascone. In società con Massimo Forti, la "Geress srl" del ginecologo è subentrata nell'accreditamento regionale ad Aurelio Casati ad aprile 2013 (8 milioni di euro l'incasso annuo, nonostante l'esecuzione di 5 procedure di licenziamento collettivo). Una presa di possesso di recente "attenzionata" dalla Procura di Roma e dal pool di inquirenti (Ielo, Tescaroli, Cascini) che per ora hanno registrato, senza indagarlo, il nome di Manfredino Genova nel fascicolo di Mafia Capitale 1. C'è un colloquio telefonico con Salvatore Buzzi a proposito dei pasti per gli ospiti del centro clinico. Forniti dalla "Eriches 29 giugno", la coop-madre ora commissariata. Un affare che per 200 unità vale 16,50 euro a persona/giorno. Si direbbe suggerito il titolo per un successivo capitolo.

Giuliano Girlando e Tommaso Verga

Huffington Post
03 09 2015

Scrive una lettera alla figlia dopo le nozze, nella quale esprime tutta la sua commozione per il traguardo raggiunto dalla ragazza. Si tratta di un papà dell'Ohio, Paul Daugherty, genitore di una ragazza affetta dalla sindrome di down, che lo scorso 27 giugno ha sposato il suo fidanzato Ryan, con il quale era fidanzata da dieci anni.

"Ti ricordi tutte le cose che hanno detto che non avresti potuto fare Jills?" scrive il papà "Non avresti potuto guidare un veicolo a due ruote, o fare sport". E invece è proprio facendo sport che Jills ha conosciuto Ryan: giocavano insieme in una squadra di calcio per i ragazzi con disabilità. Poi prosegue nell'elenco "Non saresti potuta andare al college. Certamente non ti saresti sposata. Ora...guardati...".

"Quando hai un bambino con disabilità", racconta il padre di Jills ad ABC News, "quello che vorreste sentire i primi giorni è che tutto andrà bene. Noi questo non l'abbiamo mai sentito. Abbiamo avuto solo persone che ci raccontavano cosa Jillian non avrebbe potuto fare".

"Non so quali siano le probabilità che una donna nata con la sindrome di down sposi l'amore della sua vita. So solo che tu le hai battute". Poi spiega, sempre nella lettera, come tutti i genitori vogliano le stesse cose per i figli: la salute, la felicità, la possibilità di godersi il mondo. Ma la possibilità che questi desideri si avverino per i genitori di bambini affetti dalla sindrome di down sono ovviamente minori. "Ero preoccupato per te allora. Piansi profondamente una notte, avevi dodici anni ed eri scesa al piano di sotto per dire: 'io non ho amici'".

"Non avrei dovuto (preoccuparmi ndr). Sei naturale quando si tratta di socializzare. Ti hanno soprannominato 'il Sindaco' alle scuole elementari per la tua capacità di coinvolgere tutti. Hai ballato nella squadra di ballo alle superiori. Hai passato quattro anni a frequentare corsi universitari e hai fatto impressione per tutta la vita a tutti quelli che hai incontrato."

Quanto al giorno delle nozze, il papà ha dichiarato di non aver mai visto Jillian così felice e bella. "Perciò, posso dirlo a tutti, ai genitori con neonati o bambini piccoli con disabilità, tutto andrà migliorando".

Alessandra Teichner

Amianto, ora muoiono anche i professori

  • Giovedì, 03 Settembre 2015 09:11 ,
  • Pubblicato in L'ESPRESSO

l'Espresso
03 09 2015

I morti di Casale Monferrato non sono soli. Non per la solidarietà che hanno riscosso i loro parenti in cerca di giustizia. Non sono soli nel senso letterale del termine. Fra i 21 mila tumori provocati da esposizione all’amianto e rilevati a partire dal 1993, c’è infatti anche chi ha trascorso tutta la propria vita professionale fra i banchi di scuola, dietro una cattedra. E respirando polveri di asbesto è deceduto come chi ha lavorato negli stabilimenti della Eternit.

Secondo il Registro nazionale mesoteliomi istituito presso l’Inail, che censisce le neoplasie dovute all’amianto (pleura, peritoneo, pericardio e tunica vaginale del testicolo) nel 2012 - ultimo anno analizzato - erano stati registrati 63 casi nel comparto istruzione: 41 uomini e 22 donne. A scorrere le categorie professionali, c’è da restare di sasso: 25 insegnanti, 6 bidelli, 5 tecnici di laboratorio e via di questo passo. Non è data sapere la loro sorte, ma considerando quanto sia fulminante la malattia dopo la diagnosi, è legittimo supporre che siano tutti deceduti.

Tutti accomunati dall’aver trascorso anni e anni in aule e costruzioni “imbottite” di eternit: spruzzato per coibentare le tubazioni o usato in pannelli da isolante termico e antincendio, come è avvenuto a lungo in tutti gli edifici pubblici. Nelle scuole era facile trovare cartoni e tessuti d’amianto nei laboratori tecnici e artigianali e prima che venisse commercializzato sotto forma di panetto premiscelato e pronto all’uso perfino il Das in polvere conteneva un’alta percentuale di crisotilo (il cosiddetto “amianto bianco”).

È questo il contesto in cui tutti si sono ammalati, hanno scoperto di essere affetti da mesotelioma (più o meno dopo 37 anni di latenza) e nel giro di mesi sono deceduti. In media a 64 anni. Esattamente quanti anni ne aveva Andrea Brero, ricercatore di Scienze politiche a Torino, morto per tumore alla pleura nel 2012. E docente a Palazzo Nuovo proprio come Gianni Mombello, ordinario di Storia della lingua francese, scomparso qualche anno prima con la stessa diagnosi: i loro casi hanno spinto il pm Raffaele Guariniello ad aprire un’inchiesta e sequestrare Palazzo Nuovo, proprio per i rischi connessi alla salute.

STIME AL RIBASSO
In realtà le vittime sono molte più di 63. Non solo perché i dati dell’ultimo rapporto del Renam - che sarà pubblicato nelle prossime settimane e che l’Espresso ha visionato in anteprima - si fermano al 2012. Ma anche perché il picco si è verificato proprio negli ultimi anni: fra il 2009 e il 2012 sono stati 19 i casi registrati, cinque in più del triennio precedente. Ed è solo quest’anno, secondo lo studio, che dovrebbe iniziare a stabilizzarsi l’incidenza.

Anche ipotizzando che il numero sia rimasto inalterato, la letteratura medica internazionale concorda sul fatto che per ogni tumore alla pleura c’è statisticamente almeno un tumore ai polmoni. Di conseguenza le vittime di amianto potrebbero essere oltre 150.
Le istituzioni non sembrano però muoversi granché, tanto che lo Stato italiano non sa neppure esattamente quante sono le scuole da bonificare. Una stima l’ha fatto stima l’Osservatorio nazionale amianto: oltre 2mila. «Le uniche somme a fondo perduto sono i 150 milioni stanziati da Letta, il governo Renzi nonostante le promesse non ha messo in campo alcun intervento significativo» rileva il presidente della onlus Ezio Bonanni. Senza contare che, essendo i tempi per avere i fondi erano stretti, solo un terzo sarebbero stati effettivamente utilizzati.

ANNO NUOVO, VITA NUOVA?
Insomma, quando le scuole riapriranno fra una decina di giorni, non si preannunciano grandi novità. Ma proprio sulla scorta dei dati del Renam, qualche professore inizia ad avere paura. Come accade all’istituto tecnico “Leonardo da Vinci” di Firenze, l’istituto con quasi 2mila studenti divenuto famoso per il vademecum imposto agli alunni del biennio a causa della massiccia presenza di amianto: non forare, graffiare, né urtare le pareti, non correre all’interno dell’edificio, non chiudere “in modo violento” porte e finestre.

Luciano Macrì a 63 anni lì dentro ci ha passato oltre metà della sua vita: 32 da professore di Scienze più altri sei da studente: «Il mese scorso con alcuni colleghi abbiamo chiesto all’Asl di essere messi sotto sorveglianza sanitaria per essere sottoposti a monitoraggi costanti. Non ci hanno ancora risposto. I controlli sull’aria hanno sempre dato risultati negativi ma la preoccupazione resta: qui ci sono casi di colleghi scomparsi prematuramente». Un timore comprensibile: la Toscana, con 17 tumori da amianto registrati fra i prof., è la regione più colpita. In compenso a Palazzo Vecchio, dove fino a un anno e mezzo fa era inquilino Matteo Renzi, qualcosa inizia a muoversi: il comune ha stanziato 12 milioni per demolire la “Dino Compagni”, altro edificio fatiscente e imbottito di amianto.

Come il “Leonardo” riaprirà regolarmente anche la “Giovanni Falcone” di Roma, che da quasi cinque anni attende la rimozione dell’amianto bianco contenuto nei pannelli attorno ai vani delle caldaie: un’intercapedine di decine di metri lungo il perimetro esterno degli edifici che ospitano elementari e medie. E a pochi passi dal giardino in cui giocano i bambini. Le prime segnalazioni risalgono al 2010-2011 e un sopralluogo effettuato a fine 2014 ha anche rilevato la presenza di fibre di amianto. Ma la bonifica non è mai partita.

Il motivo? Trattandosi di una spesa per investimenti, non sono mai stati trovati i fondi necessari. Un capolavoro di burocrazia con tanto di estenuante carteggio - e annesso rimpallo di responsabilità - fra gli uffici del Campidoglio e del municipio. Adesso Roma Capitale ha stanziato 100 mila euro, che però dopo otto mesi non sono ancora arrivati: «Ci hanno detto che sono ancora fermi alla Ragioneria del Comune, che poi li deve trasferire al Municipio» afferma Raffaele Delle Cave, padre di un bambina che quest’anno andrà in seconda e coordinatore del comitato Amianto della scuola: «Se avessero accelerato i tempi, avrebbero potuto approfittare della chiusura estiva. Invece passerà un altro anno ancora senza lavori».

L’AMIANTO NON C’È. ANZI SÌ
Non riaprirà invece i battenti l’elementare “Antonio Gramsci” di Alpignano, vicino Torino, che resterà chiusa perché “realizzata con materiali e logiche di costruzione superati con presenza di pannelli in cemento/amianto”. Una vicenda accompagnata da polemiche e timori che adesso è finita in Procura a seguito di un esposto. Una storia emblematica, a suo modo. Fino a qualche mese fa, infatti, l’edificio (costruito nel 1971) rientrava negli standard di sicurezza. Poi a giugno la decisione improvvisa di chiuderla per sempre: “razionalizzazione e riorganizzazione funzionale dei plessi”, spiega la delibera di giunta. Insomma, un problema economico. Ma basta questo per chiudere una scuola?

Perfino la preside, nel corso di una riunione tecnica, arriva ad affermare esplicitamente che non si capiscono le reali motivazioni. Così inizia a farsi strada il timore che in realtà ci siano rischi connessi alla presenza di amianto. Un passaparola che trova conferma ufficialmente a metà luglio, nell’ordinanza con cui l’ufficio tecnico fa retromarcia e limita la chiusura a quest’anno scolastico. E da una richiesta di accesso agli atti salta fuori anche un monitoraggio del 2013 in cui - pur riconoscendo “danni limitati” alle fibre di amianto, “difficilmente liberabili” - una società di ingegneria suggeriva “un intervento di rimozione quanto prima”.

Rimozione che adesso dovrebbe arrivare con gli intervenuti di manutenzione. «I timori in ogni caso restano» osserva il presidente del comitato genitori, Giovanni Quaranta: «Se adesso è necessario addirittura chiudere la scuola, possibile che fino a ieri andasse tutto bene?».

Paolo Fantauzzi

Papa Francesco, ho abortito e non mi pento

Donne-DirittiEretica, Il Fatto Quotidiano
1 settembre 2015

Ho letto che Papa Francesco parla di amnistia e perdono per le donne che hanno abortito e si mostrano pentite. Tutte le altre finiranno all'inferno, immagino.

facebook