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Apprendere in modo diverso a Rojava

  • Martedì, 01 Settembre 2015 10:29 ,
  • Pubblicato in COMUNE INFO

Comune - info
01 09 2015

di Janet Biehl*

In seguito all’esplosione della guerra civile in Siria e al ritiro delle forze governative siriane dal Kurdistan occidentale, ai curdi di quella regione si offrì l’occasione unica di asserire la propria autonomia. Sebbene minacciato dall’espansione dello Stato Islamico che arrivava dall’Iraq, e dall’eccedenza di combattimenti dalla Siria, il movimento rivoluzionario curdo quasi immediatamente dichiarò la supremazia delle nuove istituzioni autonome, un modello politico noto con il nome di ‘confederalismo democratico’, che mira ha ad assicurare l’autogestione democratica di una società senza lo stato.

Una volta stabilite le istituzioni autonome, la necessità di un nuovo tipo di istruzione era primaria. Non che le persone del Kurdistan occidentale non fossero istruite – le percentuali di licenze di scuola superiore erano e sono molto alte, come io e il resto di una delegazione accademica abbiamo appreso durante la nostra visita. L’istruzione era però fondamentale per creare la cultura rivoluzionaria in cui potevano prosperare. Non riguarda soltanto i bambini e i giovani, ma anche gli adulti, perfino gli anziani.

Come ci spiegò Aldar Xelîl, membro del consiglio Tev-Dem, cioè la coalizione politica che governava la regione autonoma di Rojava, il progetto politico di Rojava ‘non riguarda soltanto il cambiamento di regime, ma la creazione di una mentalità che porti la rivoluzione per la società’. Dorîn Akîf, che insegna in due università in Rojava, era d’accordo: “Si deve cambiare la percezione – ci ha detto – perché adesso la mentalità molto importante per la rivoluzione. L’istruzione è determinante per noi”.

 

Il primo problema che la rivoluzione ha dovuto affrontare è stato quello della lingua da usare per l’istruzione. Per 40 anni, sotto il regime di Assad, i bambini curdi dovevano imparare l’arabo e studiare in arabo. La lingua curda era bandita dalla vita pubblica; il suo insegnamento era illegale e poteva essere punito con la detenzione e perfino con la tortura. E così, quando i curdi siriani presero le comunità nelle loro mani, immediatamente programmarono l’istruzione in lingua curda. La prima di queste scuole che fu aperta, è stata la Scuola Sehîd di Fewzî nel cantone di Efrîn, seguita da una a Kobanê e una a Cizîrê. Nell’agosto 2014 la sola Cizîrê aveva 670 scuole con 3.000 insegnanti che tenevano corsi di lingua curda per 49.000 studenti.

L’università mesopotamica a Qamislo

All’inizio di dicembre la nostra delegazione ha visitato la prima e unica istituzione di istruzione superiore, l’Università mesopotamica di scienze sociali a Qamislo. Il regime di Assad non aveva permesso istituzioni di questo genere nelle zone curde; questa ha aperto nel settembre 2014 ed è ancora in gran parte in costruzione. L’insegnamento e le discussioni si svolgono per lo più in curdo, sebbene le fonti siano spesso in arabo, dato che molti testi essenziali non sono stati ancora tradotti.

Una sfida che affronta l’università, ci hanno detto vari membri dell’amministrazione e della facoltà, è che la gente nella Siria nord-orientale pensa che deve andare all’estero per avere una buona istruzione. “Vogliamo cambiare questa idea – ha detto uno dei docenti – Non vogliamo che le persone si sentano inferiori a causa del luogo dove vivono. In Medio Oriente c’è tantissimo sapere e saggezza, e stiamo cercando di scoprirlo. Molto cose che sono accadute nella storia sono successe qui”.

L’anno scolastico consiste di tre periodi e ognuno dura tre o quattro mesi, e va dalla visione di insieme delle materie, alla specializzazione e ai progetti finali. Il curriculum comprende principalmente storia e sociologia.

Perché quelle materie? Sono essenziali, ci hanno detto. Durante il regime “la nostra esistenza [in quanto curdi] veniva contestata. Stiamo cercando di dimostrare che esistiamo e che lungo il nostro percorso abbiamo fatto molti sacrifici… Ci consideriamo parte della storia, soggetti della storia”. L’istruzione cerca di “rivelare storie di popoli che sono state negate… di creare una nuova vita per superare gli anni e i secoli di schiavitù del pensiero che sono stati imposti alla gente”. Fondamentalmente, il suo scopo è di “scrivere una nuova storia”.

Il curriculum della sociologia assume una posizione critica nei riguardi del positivismo del 20° secolo e cerca invece di sviluppare una nuova scienza sociale alternativa per il 21° secolo, quella che Abdullah Öcalan, il capo del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), ora in prigione, chiama la “sociologia della libertà’. Per il loro progetto finale, gli studenti scelgono un particolare problema sociale, poi fanno ricerche al riguardo, e scrivono una tesi sul modo in cui risolverlo. Quindi l’apprendimento è pratico e anche teorico ed è mirato a servire un bene sociale.

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In effetti, l’istruzione in Rojava non riguarda “costruirsi una carriera e diventare ricchi”. Analogamente, l’accademia cerca di non sviluppare la professionalità, ma di coltivare la persona nella sua completezza. “Crediamo che gli esseri umani siano degli organismi, ma non possono essere tagliati a pezzi, separati in scienze diverse”, ci ha detto un docente. “Una persona può essere scrittore o poeta e interessarsi anche di economia, perché gli esseri umani fanno parte di tutta la vita”.

Al contrario dei convenzionali approcci occidentali, la pedagogia dell’accademia rifiuta la trasmissione dei fatti che vada in una sola direzione. Di fatto, non separa rigidamente gli inseganti e gli studenti. Gli insegnanti imparano dagli studenti e viceversa; idealmente, tramite un discorso intersoggettivo, arrivano a conclusioni condivise.

I docenti non sono necessariamente insegnanti specializzati; sono persone la cui esperienza di vita ha dato loro idee che possono impartire. Un insegnante, per esempio, racconta favole popolari una volta a settimana. Ci hanno detto: “Vogliamo che gli insegnanti ci aiutino a comprendere il significato della vita”. “Ci concentriamo sul dare un significato alle cose, sull’essere in grado di interpretarle e commentarle e anche di analizzarle”.

Gli studenti fanno gli esami che però non misurano la conoscenza e sono più dei ripassi, dei dialoghi. E i docenti stessi sono soggetti alla valutazione da parte degli studenti. Un allievo può dire: “Non ha spiegato questo molto bene”. Un insegnante che viene criticato deve sviscerare l’argomento con lo studente fino a quando entrambi sentono che si sono capiti.

L’Università delle donne a Rimelan

L’Università delle donne Yekitiya Star (nome di un’organizzazione femminile) spinge più avanti l’approccio all’istruzione rispetto all’Università Mesopotamica. La nostra delegazione ha visitato anche questa all’inizio di dicembre.

Fondata nel 2012, il suo scopo è di educare i quadri rivoluzionari femminili, e quindi naturalmente l’enfasi sull’ideologia è più pronunciata. Negli scorsi trent’anni, ci ha detto la docente Dorîn Akîf, le donne partecipavano al movimento curdo per la libertà, prima come combattenti, poi nelle istituzioni femminili. Tre anni fa le donne curde crearono la jineolojî, o ‘scienza delle donne’, che considerano il culmine di quella esperienza pluridecennale.

All’Università di Rimelan agli studenti si offre prima una panoramica generale della jineolojî, “il tipo di sapere che era stato rubato alle donne” e che le donne ora possono recuperare. “Stiamo cercando di superare la non-esistenza delle donne nella storia. Tentiamo di comprendere in che modo si producano i concetti e si riproducano all’interno delle relazioni sociali esistenti, poi mettiamo insieme la nostra propria idea. Vogliamo stabilire una reale interpretazione della storia guardando il ruolo delle donne e rendendo le donne visibili nella storia”.

La jineolojî, ci ha detto Dorîn Akîf, considera che le donne siano “le protagoniste principali nell’economia, e l’economia la principale attività delle donne… La modernità capitalista definisce l’economia come responsabilità primaria dell’uomo. Noi però diciamo che non è vero, che sempre e dovunque le donne sono le protagoniste principali dell’economia”. A causa di questa fondamentale contraddizione, Dorîn sostiene, la modernità capitalista alla fine sarà vinta.

Il modo in cui le persone interpretano la storia influenza il modo in cui esse agiscono, e quindi “parliamo dell’organizzazione sociale pre-sumera. Esaminiamo anche in che modo lo stato è apparso storicamente e come il concetto è stato costruito”, ha aggiunto Akîf. Però il potere e lo stato non sono la stessa cosa. “Il potere è ovunque, ma lo stato non è ovunque. Il potere può operare in modi diversi”. Il potere, per esempio, è presente nella democrazia della gente comune, che non ha a che fare con lo stato.

La jineolojî considera che la quintessenza delle donne sia democratica. La Star Academy istruisce gli studenti (sono essenzialmente donne) nell’educazione civica di Rojava. “Consideriamo i meccanismi politici, parlamenti delle donne, comuni delle donne, e i parlamenti generali [misti], le comuni miste, i parlamenti di quartiere. Qui in Rojava abbiamo sempre avuto sia quelli misti che quelli esclusivamente femminili. In quelli misti, la rappresentanza delle donne è il 40 per cento, e inoltre c’è sempre una co-presidenza per assicurare la parità.’

Come all’Università Mesopotamica, agli studenti della Star Universty si insegna a considerarsi cittadini, con ‘il potere di discutere e costruire… Non esistono l’insegnante e lo studente. La sessione è costruita sulla condivisione delle esperienze”. “Gli studenti vanno dagli adolescenti alle nonne. Alcuni sono laureati dell’università, e alcuni sono analfabeti. Ognuno ha del sapere, ha la verità nella propria vita, e ogni conoscenza è fondamentale per noi… La donna più vecchia ha esperienza. Una donna di 18 anni è spirito, è la nuova generazione che rappresenta il futuro.’

Ogni programma si conclude con una sessione finale che si chiama la piattaforma dove ogni studentessa si pone e dice in che modo parteciperà alla democrazia di Rojava. Entrerà in un’organizzazione o nelle Unità di Protezione delle Donne (YPJ), o parteciperà a un consiglio di donne? Che tipo di responsabilità assumerà?

Abbiamo fatto delle domande a Dorîn circa gli insegnamenti dell’Università riguardo al genere (una parola che in curdo non esiste). “Il nostro sogno – ha detto – è che la partecipazione delle donne e la costruzione della società a opera loro, cambierà gli uomini e che emergerà un nuovo genere di maschilità. I concetti di uomini e donne non hanno una base biologica – siamo contrari a questa idea. Definiamo il genere come maschile e la maschilità in connessione con il potere e l’egemonia. Naturalmente crediamo che il genere sia fabbricato dalla società”. Inoltre ha spiegato. “Il problema femminile non riguarda unicamente le donne: è inserito nella società, e così l’esclusione delle donne è un problema della società. Quindi dobbiamo ridefinire le donne e la società insieme e contemporaneamente. Il problema della libertà delle donne è il problema della libertà della società“.

Ha continuato citando una frase di Öcalan, “Uccidere l’uomo”, che è diventata uno slogan che significa che “l’uomo maschio deve cambiare. Analogamente, ha detto Dorin, la soggettività colonizzata delle donne, o femminilità, deve essere eliminata. L’ambizione sociale impersonata dall’Università è di superare il dominio e il potere egemonico e di “creare una vita uguale insieme”.

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Janet Biehl è una scrittrice indipendente, artista e traduttrice. È autrice di Ecology or Catastrophe: The Life of Murray Bookchin, [Ecologia o catastrophe:la vita di Murray Bookchin], in corso di pubblicazione a cura della Oxford University Press. Questo articolo – originariamente apparso su redpepper.org e in forma più lunga sul sito: biehlonbookchin.com – è stato scelto e tradotto per Z Net Italia da Maria Chiara Starace (che ringraziamo).
Traduzione © 2015 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0
La Mesopotamian Academy ha lanciato un appello per avere libri, allo scopo di creare una biblioteca multilingue. Per ulteriori informazioni visitate la pagina di Facebook ‘Donate a book to Mesopotamia Academy’ [Regalate un libro all’Accademia Mesopotamica].

USB
01 09 2015

ROMA CAPITALE: SI ACCAMPANO IN PIAZZA LE PRECARIE DI NIDI E MATERNE
MENCARELLI (USB P.I.), SENZA RISPOSTE NON LEVEREMO LE TENDE

Oggi assemblea nella Sala della Protomoteca in Campidoglio – ore 16.00


Hanno messo le tende in via del Tempio di Giove, ed hanno passato lì la notte, una quarantina fra educatrici e insegnanti precarie di nidi e scuola per l’infanzia che a Roma, dal primo pomeriggio di ieri, hanno presidiato la trattativa con l’assessore capitolino alle Politiche Educative e Scolastiche, Marco Rossi Doria.
Insieme a loro, un gruppo di lavoratrici di ruolo, rimaste a pernottare in solidarietà con le colleghe. (foto in allegato)

La trattativa è giunta ad uno stallo, senza risposte per le circa 5.000 lavoratrici che rischiano il licenziamento dopo il bando pubblicato dall’amministrazione capitolina lo scorso 21 agosto, da cui deriveranno ripercussioni anche sul servizio all’utenza: già da oggi orario ridotto fino alle 14.30 con accoglienza limitata ai vecchi iscritti.

“Sosteniamo convintamente le lavoratrici, che non intendono accettare questo licenziamento di massa, e chiediamo ai genitori di sostenere insieme a noi questa lotta per il posto lavoro ed il servizio pubblico. E se non arriveranno risposte vere, non leveremo le tende”, ha dichiarato dalla piazza Daniela Mencarelli, dell’Esecutivo Nazionale USB Pubblico Impiego.

Questo pomeriggio, alle ore 16.00, assemblea aperta delle lavoratrici nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, indetta dalla RSU, a cui sono invitati a partecipare anche i genitori.


Roma, 1 settembre 2015



Ufficio Stampa USB
Rossella Lamina
Cell. 3474212769
Fax 0654070448
web: http://ufficiostampa.usb.it/
e-mail: Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

La Repubblica
26 08 2015

Sono circa cinquanta le insegnanti precarie che hanno fatto irruzione al dipartimento per Politiche scolastiche, in via Capitan Bavastro, mentre era in corso un incontro tra l'assessorato alla scuola e i sindacati. Le donne, tra loro pochi uomini, dopo aver protestato fuori dall'edificio per circa un'ora, sono entrate all'interno della struttura travolgendo il personale della portineria, un'addetta è rimasta ferita a una mano. Sul posto è intervenuta subito una pattuglia della polizia.

La causa scatenante è la decisione, presa dal Comune, di licenziare circa 5mila fra educatrici degli asili nido ed insegnanti delle scuole per l'infanzia che hanno superato i trentasei mesi di contratto a tempo determinato. "L'amministrazione - riporta una nota dell'Usb - le esclude dal nuovo bando per la copertura dei posti vacanti, interpretando in modo illegittimo la norma che prevede un limite temporale al cumulo dei contratti a tempo determinato per impedire abusi. ".

"Stiamo cercando soluzioni tecniche. - Ha spiegato l'assessore all'Istruzione Rossi Doria alle insegnanti - Ci sono premesse per una soluzione rapida e promettente. Abbiamo bisogno di passare rapidamente da un primo confronto a un tavolo vero e proprio che prenda in considerazione le soluzioni che sono state già suggerite da tutte le componenti. Entro 24 ore convocherò questo tavolo, e questo dovrà riunirsi entro martedì prossimo".

"C'è una discrepanza tra lo Stato e i comuni. - ha detto l'assessore al termine dell'incontro - Stiamo lavorando senza sosta ad un tavolo permanente".

"Dall'esame comune della situazione complessa che si è venuta a creare - fa sapere l'assessorato alla Politiche educative, scolastiche e giovanili - emerge la volontà di arrivare in tempi brevissimi alla soluzione, portando a tutti i livelli di Governo il problema al fine di superare l'evidente diseguaglianza di trattamento tra lavoratrici di scuole statali e scuole comunali, garantendo il normale avvio dell'anno educativo e scolastico. Da qui scaturisce l'esigenza di mantenere un tavolo permanente tra l'Amministrazione e tutte le forze sindacali, al fine di monitorare l'evoluzione di una crisi che investe i servizi educativi e scolastici di Roma".

La 27ora
25 08 2015

Le urla e la ragione poco si associano, ma anche le idee a priori con la realtà. La maldestra gestione delle immissioni in ruolo nella scuola da parte del governo ha visto tutto contrapposto: ragione e realtà, urla e idee a priori. Errori macroscopici e sottovalutazioni hanno portato, allo stato, ad un aumento delle supplenze, per quella che doveva essere la più grande stabilizzazione del secolo. Urla e idee a priori l’hanno fatta da padrone sui trasferimenti forzosi dal sud al nord di moltissimi docenti in virtù di un meccanismo messo a punto malissimo dal ministero dell’Istruzione. Si potevano attendere le disponibilità degli uffici territoriali per avere un ventaglio di cattedre più ampio, invece di far rientrare quelle cattedre di cui si avrà contezza nella seconda settimana di settembre per trasformarle in supplenze, raddoppiandone il numero: chi avrà avuto una cattedra, la manterrà in diritto, ma potrà optare per la supplenza se è più vicina a casa, almeno per un altro anno, creando, a sua volta una supplenza sulla sua cattedra.

Ciò di cui si è poco parlato nella contesa tra favorevoli e contrari è la reale posta in gioca, che non riguarda solo gli attori in causa. Usare la parola deportazione, come più d’uno ha fatto, è fuori luogo perché a ogni cosa va dato il proprio nome. I numeri ci dicono quale fenomeno si stia mettendo in moto, i cui effetti integrali sono stati solo posticipati di un anno.

Il 79% del corpo docente in Italia è formato da donne; il 100% nelle scuole dell’infanzia; il 95% nella primaria; l’85% nelle medie; il 59% nella secondaria di secondo grado, dove però le percentuali tornano a salire nei classici o nei licei pedagogici.

Accadrà, dunque, che saranno donne, madri ad andare con o senza figli da un capo all’altro dell’Italia, per lavorare. Ma questo non è un Paese per donne e non possiamo far finta che lo sia quando finiamo nella banalizzazione del, si va dove il lavoro c’è. Un professore guadagna in media mille e quattrocento euro al mese. La migrazione comporta l’affitto di una casa. Se con figli anche scuola e doposcuola. Se con figli piccoli nidi, perlopiù a pagamento. Questo non è un paese con un welfare alla francese, anche se i soloni nostrani dicono che ce n’è anche troppo. E siamo ai primi passi quanto a congedi parentali, oggetto residuale rispetto alla totalità di una vita familiare e culturalmente ancora malvissuto.

Chi fa le leggi e dovrebbe avere la situazione sotto controllo avrebbe dovuto almeno lavorare per la riduzione del danno, e invece non lo ha fatto. Ci sarà, dunque, un costo sociale ancora una volta gestito nel privato. Separazioni, tensioni, spaccature, ricostruzioni di ambiti familiari, che solo chi non li conosce può affrontarli con parole di superficialità. Senza ricchezza, ma solo con una chimerica speranza che forse un giorno andrà meglio.

Il Fatto Quotidiano
07 08 2015

“E’ la prima volta in assoluto da quando i miei figli vanno a scuola che affrontiamo una situazione del genere. Sono molto preoccupata perché, al momento, non posso dire ai miei due figli se potranno iniziare il nuovo anno scolastico oppure no. Provo un grande senso di incertezza, disagio e amarezza”. Debora Mauri, madre di due bambini ipovedenti, contattata da Ilfattoquotidiano.it, racconta la difficile condizione che sta vivendo la sua famiglia. “Altro che vacanze estive da trascorrere sereni”.

I figli Matteo, dieci anni, e Marta, sette, dovrebbero iniziare a settembre, insieme ai propri compagni di classe, rispettivamente la quinta e la terza elementare, ma rischiano, in assenza delle risorse pubbliche necessarie, di “non avere a disposizione l’assistente alla comunicazione, che possa seguirli almeno 10 dieci ore a settimana, di non ricevere l’assistenza educativa e di non poter usare i libri scolastici adeguati”, scritti con il carattere braille. “Senza questi strumenti – ha sottolineato la signora Mauri – per i miei bambini c’è un problema reale di mancato raggiungimento degli obiettivi didattici, visto che gli altri insegnanti non conoscono la lingua dei segni”.

Debora e suo marito, e come loro centinaia di famiglie di Milano e provincia, si sono rivolti alla Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) – che ha anche inviato una lettera di diffida alla Città metropolitana di Milano – per vedere riconosciuto il diritto allo studio dei propri figli con disabilità, messo in discussione dalle istituzioni. Secondo le associazioni, l’ente preposto dopo la soppressione della Provincia a garantire l’inclusione scolastica per gli studenti disabili, sia fisici che psichici, non ha ancora dato garanzie in merito ai fondi necessari per l’Assistenza Educativa Scolastica.

“L’unico riscontro che abbiamo ricevuto dalla Città Metropolitana – spiega Debora Mauri – è una comunicazione e-mail, arrivata soltanto il 31 luglio tramite posta normale e non in forma certificata pec, nella quale non viene garantito assolutamente nulla sul rinnovo dell’assistenza e sulle indicazioni delle precise modalità di attivazione. Non abbiamo nessuna certezza sulle risorse messe a disposizione, nessuna assicurazione riguardo gli assistenti alla comunicazione e non ci comunicano nemmeno la scadenza temporale per conoscere la data di attivazione dei servizi”. Oltre al danno la beffa, verrebbe da dire. “Dopo l’e-mail ricevuta venerdì scorso – continua la madre dei due bambini ipovedenti – invece di sentirmi serena, rimango più che mai preoccupata. Avrebbero dovuto inviarci una nota più chiara e rassicurante”.

Almeno, però, questa famiglia ha ricevuto una risposta. Non è chiaro, infatti, se a tutte quelle con uno studente disabile sia stato recapitato lo stesso messaggio, che “testimonia almeno che qualcosa si muove negli uffici della Città Metropolitana”. A sostenerlo è Giovanni Merlo, direttore Ledha: “Nell’e-mail si evidenzia, comunque, la chiara intenzione di passare tutte le operatività al Comune di Milano e ai Piani di zona del resto del territorio provinciale, lasciando alla Città Metropolitana il solo compito di finanziare il servizio, utilizzando le risorse provenienti da Regione Lombardia e dallo Stato“.

L’autrice della e-mail recapitata a Debora Mauri è Maria Rosaria Iardino, consigliere comunale milanese, con delega alle Pari opportunità, disabilità e fragilità. Contattata da Ilfattoquotidiano.it, vuole però “rassicurare” le famiglie. “Voglio confermare che abbiamo stanziato e messo a bilancio un milione e mezzo di euro per i servizi che riguardano l’assistente alla comunicazione per gli studenti con disabilità sensoriale, l’assistenza educativa e il trasporto degli studenti disabili. Venerdì scorso abbiamo inviato una lettera alle famiglie e ci scusiamo per il ritardo – aggiunge Iardino – ma stiamo lavorando per far partire tutti i servizi nei primi giorni di scuola, al massimo entro la fine di settembre. Abbiamo stabilito che i fondi non verranno direttamente erogati alle famiglie ma la gestione delle risorse sarà di competenza degli uffici comunali di riferimento, con l’obiettivo di migliorare la qualità dei servizi offerti”. Per ora alle famiglie di ragazzi disabili viene assicurata la risoluzione del problema entro l’inizio dell’anno scolastico. Ma, contrariamente a quanto accaduto negli anni scolastici passati, a meno di un mese dal via non c’è ancora nessuna certezza.

Renato La Cara

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