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Facebook, chiamate la neuro

  • Venerdì, 06 Marzo 2015 14:36 ,
  • Pubblicato in Flash news
Il Fatto Quotidiano
06 03 2015

Quando hanno letto la vignetta in cui facevo dire al protagonista "Cosa gli piace, a questi? Che le è morta la mamma? O come lo ha detto?" hanno riso e m'hanno chiesto "ma come te le inventi?" che io ci ho pensato di mantenere la tesi che me l'ero inventata ma sarebbe stata appropriazione indebita di idea, non è bello, io di tutto mi approprio senza scrupoli, meno delle idee, ci tengo a mollarvi idee D.O.C. finché mi regge la pompa, no, non era una mia invenzione, quelli che dicevano "mi piace" erano tutti veri. ...

Diamo maestri ai ragazzi schiavi dei video hard

Dopo il caso del video hard della sedicenne torinese condiviso sui social network da oltre tremila persone, chi si occupa di didattica dovrà fare una riflessione. Non si potrà veramente parlare di "buona scuola" in Italia fino a quando, per legge, non si formeranno insegnanti specifici di "Educazione alle relazioni digitali". Qualcuno abbia dunque il coraggio di prendere la decisione, solo all'apparenza del tutto irrituale, d'introdurre il "social networking" come materia obbligatoria sin dalle classi elementari. 
Gianluca Nicoletti, La Stampa ...

L'Italia bulla e misogina

  • Mercoledì, 18 Febbraio 2015 14:04 ,
  • Pubblicato in Dossier
Occhio EscherAlessandra Magliaro, Ansa
12 febbraio 2015

Un milione di insulti contro le donne, 150 mila frasi razziste, oltre 100 mila omofobe. E poi ci sono quelle intolleranti nei confronti dei disabili. C'è un'Italia bulla e misogina scolpita a 140 caratteri, il linguaggio tutto speciale di Twitter, un mezzo che avrebbe dovuto velocizzare i messaggi in poche battute e che invece è diventato anche un canale naturale per urlare odio e intolleranza. ...

Se Facebook entra in classe, ecco come usarlo

  • Mercoledì, 18 Febbraio 2015 11:37 ,
  • Pubblicato in Flash news
La Repubblica
18 02 2015

Ci sono i cinque in condotta dati agli studenti del liceo classico Garibaldi di napoli per essere stati così ingenui da postare loro foto su Facebook mentre occupavano l'istituto, o le quattro sospensioni per altrettanti ragazzi della scuola media Michelangelo di Bari che avevano iniziato ad ingiuriare sullo stesso social la professoressa di inglese. ...
Vera Schiavazzi

La Stampa
17 02 2015

La protesta delle donne turche contro la violenza, forse la loro stessa rinascita, riparte da Twitter. A pochi giorni dal brutale assassinio di Özgecan Aslan, pugnalata e bruciata dopo un tentativo di stupro, in migliaia si sono riservate sul social, per dare vita a una vera e propria campagna di denuncia, guidata dall’hashtag #sendeanlat, che in turco suona come “spiegalo anche tu”.

Utilizzare Twitter per raccontare la propria storia, esprimere il proprio dolore, gridare sul web la propria denuncia. In poche ore sono stati circa 800mila i tweet inviati sul web. Si parte dalle denunce sulle limitazioni nella vita quotidiana, come il non poter fumare in pubblico o il fratello che impedisce di usare internet, alle violenze più atroci: tentativi di stupro, botte da parte del padre, scelta dello sposo da parte della propria famiglia. Uno sforzo collettivo di mettere in mostra la propria sofferenza e la propria rabbia, trovando nella rete un mezzo per sentirsi meno sole davanti a quel muro di omertà che spesso nella Turchia moderna si viene a creare davanti al capitolo donna.

Alla campagna hanno preso parte alcuni nomi illustri del cinema e del mondo della cultura turco. In prima fila, Beren Saat, una delle attrici più famose della Mezzaluna, che ha voluto condividere con le donne turche la sua storia: episodi di bullismo durante la scuola, molestie da parte di produttori televisivi.

Un momento di riflessione collettiva, a cui hanno partecipato molti uomini, che hanno rivolto domande diretta al premier Ahmet Davutoglu e al presidente Recep Tayyip Erdogan, accusandoli di non avere fatto abbastanza per tutelare le donne nel Paese. Ieri a Istanbul, in molti hanno partecipato alla manifestazione maschile in solidarietà alla protesta che le donne turche stanno portando avanti.

E intanto non si ferma l’onda umana, che ha protesta è diventata richiesta corale per una società più giusta. In tanti in queste ore hanno postato foto di drappi neri ai palazzi in segno di lutto per l’orribile morte di Özgecan. Ieri in tutta la Turchia, anche nella più conservatrice Anatolia, in molti si sono vestiti di nero per ricordare la terribile fine di chi ha pagato con la vita per avere detto no a uno stupro.

Se non una nuova speranza, almeno la consapevolezza che nella Mezzaluna le donne sono un po’ meno sole di ieri. Lo ha spiegato meglio di qualsiasi altra cosa, il titolo del quotidiano Hurriyet oggi “Bak Özgecan, degisiyor”. Guarda, Özgecan, qualcosa cambia.

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