La Repubblica
01 09 2014
Un'elaborazione su uno studio Istat basato su 24mila famiglie individua la causa della scarsa soddisfazione nelle interazioni virtuali, che riverserebbe i suoi effetti sul livello complessivo di welfare soggettivo. Il problema non sta nelle piattaforme in sé quanto nello scarso affidamento che riponiamo nei contatti online
di SIMONE COSIMI
I social abbattono il benessere individuale: gli italiani non hanno fiducia negli amici virtualiI SOCIAL network fanno bene o male? Dibattito aperto da anni, soprattutto in merito all'abuso che facciamo delle (relativamente) nuove agorà digitali. Sono per esempio oltre 27 milioni gli italiani iscritti a Facebook: ad accedere almeno una volta al giorno sono però più di 17 milioni. Ma la semplice osservazione quotidiana c'insegna che, soprattutto in certe fasce di utenti, il controllo di messaggi, notifiche e like è spasmodico, ai limiti della compulsività. Così come, in prima battuta, per Twitter e Instagram e poi per tutti gli altri, da LinkedIn a Pinterest.
Uno studio italiano, firmato da Fabio Sabatini dell'università La Sapienza e Francesco Sarracino dello Statec, l'istituto di statistica lussemburghese, prende per la prima volta in analisi i dati rappresentativi dell'Istat per tentare di rispondere a una domanda: l'uso delle piattaforme sociali riduce il benessere soggettivo e se sì, per quale ragione? La risposta è positiva ed è tanto più importante rispetto ad altri rapporti passati - fa notare il Mit Technology Review, il magazine del prestigioso istituto statunitense - proprio per l'ampiezza del campione preso in esame dai due studiosi. Che una volta tanto evita di indagare porzioni di utenza poco significative.
Si tratta infatti di un sondaggio condotto dall'Istat fra 2010 e 2011 in 24mila famiglie italiane, corrispondenti a 50mila individui, di cui la coppia di scienziati ha sfruttato e incrociato i risultati. L'indagine, che viene realizzata ogni anno, muove dall'approfondimento sul livello di soddisfazione manifestato in un certo momento (valutato da 0 a 10) e vira su molte altre domande. Per esempio sulla frequentazione degli amici e la fiducia che in loro viene riposta. Non mancano ovviamente quesiti sull'uso dei social network, Facebook e Twitter su tutti.
Sabatini e Sarracino hanno così potuto mettere sotto la lente la correlazione tra benessere individuale e altri fattori, fra cui il rapporto più o meno profondo con i social. Cosa hanno scoperto? Per esempio che le interazioni faccia a faccia e la conseguente fiducia che le persone si accordano reciprocamente a seguito di questo genere di scambi in presenza sono positivamente correlati a più elevati livelli di benessere.
In effetti il risultato principale dello studio è aver verificato come non sia l'interazione online di per sé stessa a diminuire il benessere soggettivo ma i più bassi livelli di fiducia che concediamo alle nostre conoscenze virtuali rispetto a quelle sperimentate il più delle volte nella realtà. E visto che ormai le piazze principali sono quelle dei social network, ecco che Facebook & co. diventano automaticamente luoghi di infinite interazioni contraddistinte tuttavia da un peso specifico piuttosto relativo. Se a questo si aggiungono altri elementi come le frequenti manifestazioni di discriminazione e il linguaggio offensivo, noto come hate speech, il quadro è completo.
"Abbiamo scoperto che il networking online gioca un ruolo positivo nel benessere individuale solo quando produce una qualche conseguenza su successive interazioni fisiche - hanno spiegato i ricercatori - viceversa il semplice uso è associato a un inferiore livello di fiducia. Dunque l'effetto complessivo è significativamente negativo". Per il semplice fatto che raramente i nostri amici digitali diventano reali, escluse le cerchie più ristrette: tanto basta a fare dell'abuso dei social un gioco piuttosto deludente.
Le persone e la dignità
22 07 2014
Una sera Laura Bates si ritrovò ad essere seguita da un uomo di notte subito dopo essere scesa dall’autobus. Non ci pensò troppo su. Incidenti come questo, si disse, capitano tutti i giorni a Londra. Ma poi notò che la stessa situazione o una simile si ripresentò il giorno dopo e quello dopo ancora. Dallo sconosciuto che ti fischia quando passeggi per strada, al ragazzo che ti urla oscenità dal finestrino della macchina a quello che cerca di rimorchiarti al bar quante sono le occasioni quotidiane in cui una donna si sente a disagio? E perché nessuna di noi fa nulla?
Laura, 27 anni, capelli biondi e lunghi, lo sguardo agguerrito, racconta in un’intervista come è cominciata, il 16 aprile del 2012, l’avventura dell’ Everyday Sexism project, un sito che si propone di raccontare le angherie quotidiane cui è sottoposta una donna ogni giorno in tutto il mondo.
“Cominciai a parlare con le altre donne e non potevo credere a quello che raccontavano. Molte di noi pensano solo di essere sfortunate finché non parlano con le altre”.
Due anni dopo il sito ha collezionato 70mila post da venti Paesi del mondo in vengono descritti tutti i comportamenti sgradevoli subiti nella vita di ogni giorno: in ufficio, sui mezzi pubblici, a scuola o per strada. Di più: quello che doveva essere un luogo d’incontro per sfogarsi ma anche confrontarsi è diventato una sorta di movimento che ha ottenuto l’appoggio dei politici e di migliaia di persone in Gran Bretagna e non solo. Bates ha parlato ad un convegno ospitato dalle Nazioni Unite, ha lavorato con alcuni politici e scuole britanniche. Alcuni attivisti hanno collaborato con la polizia per ridurre il numero dei crimini sessuali e delle molestie su autobus, metro e altri mezzi pubblici.
“Il problema maggiore – dice l’ispettore Ricky Twyford – è che spesso le donne non denunciano ma ultimamente c’è più fiducia e consapevolezza, le persone si fanno avanti e dicono quello che hanno visto”.
In Gran Bretagna si sono registrate un 36% di denunce in più e anche gli arresti sono aumentati del 22%.
Sul sito è l’ufficio il luogo dove avvengono più frequentemente gli episodi di sessismo: “Ci sono uomini che stampano le foto delle candidate a un lavoro e danno loro un voto. O colleghi che nella pausa pranzo vanno allo strip club con i clienti, tagliando ovviamente fuori le colleghe” racconta Bates. Ma ci sono anche testimonianze diverse come quella di una ragazzina di 12 anni cui i compagni di classe dicono “di tornare in cucina” quando alza la mano per parlare. O adolescenti che raccontano di essere molestate quotidianamente da uomini durante il tragitto verso la scuola.
La cosa positiva è che il web ha dato alle donne la forza di farsi avanti. Se prima un comportamento misogino non poteva essere denunciato, ora basta un tweet per esporre una persona al pubblico ludibrio.
“I social media ci hanno permesso di agire insieme in un’azione collettiva che ci ha reso coraggiose” spiega Bates.
Ma la strada è ancora lunga. Il progetto ora è di raggiungere Paesi lontani come l’India o il Messico, anche se tanto lavoro rimane da fare anche a casa, in Gran Bretagna. Basti pensare all’attenzione che si dedica a quello che le ministre indossano più che a quello che dicono.
“La gente dice che il sessismo non esiste più. Ma in verità quando cominci a notare questi comportamenti non smetti più di vederne intorno a te” dice ancora Laura Bates.