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News Town
30 09 2015

Su disposizione della Procura della Repubblica dell'Aquila, la squadra mobile della Polizia sta eseguendo la notifica della misura cautelare interdittiva della sospensione dal pubblico ufficio, emessa dal gip Guendalina Buccella, nei confronti di Patrizia Del Principe, funzionaria del comune dell'Aquila, per induzione indebita "a dare o promettere utilità".

Del Principe, ex direttrice pro tempore dell'Istituzione Csa (Centro servizio anziani), ex Onpi e attuale coordinatrice della struttura, organo strumentale del Comune dell'Aquila, è indagata per aver indebitamente indotto Bruno Galgani, titolare della ditta di facchinaggio e traslochi Logistica & Servizi, a darle mille euro, con la promessa estorta di farsene dare altri 100 o 200, palesandogli, in caso contrario, l'interruzione dei rapporti lavorativi tra il Comune dell'Aquila e l'azienda.

L'imprenditore, anch'egli indagato, ha aderito alla richiesta consegnando in contanti i soldi richiesti e promettendo di consegnare a breve altri 100 o 200 euro. Secondo gli inquirenti, i "gravi indizi di colpevolezza" sono stati desunti dall'esame della documentazione acquisita presso il Comune dell'Aquila che evidenzia una richiesta di preventivo alla ditta Logistica & Servizi del luglio 2014, che consegnava l'offerta per il trasporto e rimontaggio del mobilio pari ad 13.500 euro + iva; con determina sempre di luglio 2014, la direttrice affidava alla ditta i lavori di trasporto, revisione e rimontaggio del mobilio di 36 camere del corpo D, per un importo di 13.500,00 + iva; con determina del novembre 2014 veniva liquidata la fattura emessa dalla ditta per un importo di euro 16.470,00 iva inclusa; nel marzo 2015 la direttrice inviava alla ditta una nuova richiesta di preventivo per i lavori di revisione e montaggio di una porzione di arredi depositatati presso la sede della municipalizzata Asm, all'interno di mini appartamenti ubicati al piano terra dei corpi D e Z dell'immobile ex Onpi, "assegnazione già prospettata al titolare con largo anticipo", secondo la procura, dall'esame della documentazione bancaria sono stati eseguiti anche i necessari riscontri sugli estratti conto del conto corrente dell'imprenditore.

Gli investigatori si sono avvalsi anche di testimonianze tra cui le dichiarazioni spontanee dello stesso imprenditore indagato (rese durante la perquisizione domiciliare da lui subita nel corso delle indagini), oltre che dal contenuto delle intercettazioni telefoniche e ambientali che hanno evidenziato, sempre secondo gli inquirenti, l'esistenza di un rapporto monetario tra i due, in cui il prestatore d'opera doveva consegnare del denaro, peraltro in contanti, alla direttrice; dal tono e dai riferimenti usati, la funzionaria allude anche ai possibili futuri lavori da assegnare all'imprenditore direttamente, ovvero senza gara pubblica o comparazione di prezzi.

A parere della Procura e del gip, non aderire alle richieste economiche del pubblico ufficiale avrebbe comportato per il titolare della ditta, quale conseguenza negativa, la perdita dell'opportunità di essere incaricato per l'esecuzione di lavori futuri: la sua piena adesione alle illecite richieste e il conseguente gradimento che ne derivava, determinava il proseguimento del rapporto lavorativo e il conferimento di nuovi incarichi.L'inadine e' stata enominata "OPerazione Onpi".

L'indagine, denominata "Operazione Onpi", attende a stretto giro ulteriori sviluppi su altri ipotesi di reato commesse.

 

 

 

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Euronomade
30 09 2015

1. Da sempre siamo antropofagi, non siamo mai stati moderni
Una delle ragioni che spiega la densità del dialogo tra il tropicalismo antropofagico (brasiliano) e l’antropologia simmetrica (europea) è senza dubbio la convergenza delle critiche che li anima: da sempre siamo antropofagi; non siamo mai stati moderni. L’animismo è un sincretismo che mescola barbari e selvaggi: l’altra modernità con il non moderno.

Affermando che da sempre siamo antropofagi, il tropicalismo ha rifiutato le scorciatoie nazional-popolari delle quali s’impregnava la sinistra socialista e anti-imperialista e più in generale il terzomondismo alla ricerca delle radici dell’identità e dell’autenticità. Affermando che non siamo mai stati moderni, l’antropologia simmetrica ha attaccato alla radice la ragione strumentale occidentale, ovvero i procedimenti di purificazione che impongono innumerevoli asimmetrie tra scienza e vita, mente e mano, anima e corpo, cultura e natura. Il tropicalismo antropofagico ci mostra che le radici del campo nazional-popolare sono in realtà quelle del colonialismo europeo e che quest’ultimo si riproduce come colonizzazione interna, producendo immaginari che si riflettono nella dialettica schiavo/padrone, della pelle e delle maschere.

L’antropologia simmetrica spiega che il contenuto del processo di colonizzazione è la sua ragione (la scienza) e che questa si afferma come biopotere: potere sulla vita dei colonizzati attraverso i meccanismi della sua purificazione strumentale che attribuiscono la potenza pratica e costituente dell’invenzione scientifica ai tribunali costituiti nella strumentalità dei laboratori di sperimentazione e formalizzazione. Come dicevano i giovani operaisti italiani: non ci interessa la scienza ma il principio del suo sviluppo e, perciò, la tecnica non sarà il premio per chi vince la lotta di classe, ma il terreno di questa lotta e allo stesso tempo della sua riqualificazione.
Il campo nazional-popolare (il socialismo) e la tecno-scienza sono, entrambi, intrinseci al capitalismo e organizzano il proprio potere nei laboratori, attraverso l’imposizione della separazione e perfino dell’opposizione tra scienza pura e scienza umana, tra oggetto e soggetto, tra pensiero razionale e pensiero selvaggio, tra il nord razionale e il sud barbaro.

Come meccanismi di purificazione del pensiero, i laboratori sono i dispositivi centrali della riproduzione dell’eurocentrismo, al sud come al nord, una colonizzazione al tempo stesso interna e esterna. Nel “non luogo senza fuori” che definisce lo spazio-tempo della globalizzazione imperialista, l’occidente non è più il laboratorio del mondo, non costituisce più il futuro radioso (capitalista o socialista) di un progresso positivo e lineare. La stessa nozione di futuro è in crisi e con essa quella di progresso, anche quando si presentano come “epistemologie del sud”. Gli orfani dell’anti-imperialismo e dei muri totalitari dicono che la nozione di Impero è eurocentrica, però in realtà non possono accettarla perché non è sufficientemente occidentale e procurano, così, un “fuori” paranoico nella nostalgia per vecchie guerre fredde, nella farsesca opposizione tra, da un lato, il capitalismo “liberale” dell’UE e degli Stati Uniti e, dall’altro, il capitalismo “sociale” della Cina, della Russia e del Brasile (BRICS).

Non ci sono più cavie nei laboratori. Che siano ratti o ragni, stanno tutte esercitando il proprio diritto di fuga dalle alternative binarie che il pensiero post-coloniale produce nel Nord o nel Sud. Se oggi esiste ancora un “fuori” è quello che si costituisce nell’esodo, tra le reti e le piazze.
2. “Los cantes de ida y vuelta”: da maggio a giugno.
Non siamo mai stati moderni, ma i laboratori del potere non smettono di catturare e gerarchizzare la potenza del sapere prodotto dalla cooperazione sociale, dalle relazioni costitutive della democrazia reale. Anche quelli che si dicono preoccupati per il suo “sviluppo”, esattamente perché cercano di costruire i “laboratori” del futuro, finiscono per voler rimettere ragni e topi nelle gabbie di una sapere purificato, impotente e… insensato. Siamo sempre stati antropofagici, ma la sinistra nazional-sviluppista e sovrana continua a falsificare la piattaforma delle “riforme”, sognando il “socialismo in un unico paese” e funzionando, di fatto, come un apripista autoritario che apre il cammino alla destra e alla sua globalizzazione neoliberale: tra mega-dighe e mega-eventi, gli indios sono trasformati in miserabili e i poveri in lavoratori terziarizzati; i migranti non cessano di essere subalterni e la cittadinanza è ridotta a un’operazione d’immunizzazione del corpo dalla nazione produttiva, così come la pensano Dilma e Serra in Brasile, Chevènement e Le Pen in Francia, Renzi e Salvini in Italia, Thilo Sarrazin e Merkel in Germania.

Se l’antropologia simmetrica ci dice che non siamo mai stati moderni e, quindi, che nessun laboratorio ha prodotto scienza come nessun tribunale ha mai fatto giustizia, il prospettivismo amerindio colloca la produzione del sapere nei mille piani tracciati dallo scambio di punti di vista. L’uomo è un nodo di relazioni: la impurezza del meticciato universale, soggetto e oggetto, cultura e natura. Non si tratta quindi di pensare il Nord a partire dal Sud, nemmeno il Sud dal Nord, ma pensare nell’intermezzo, nell’esodo: il concatenamento, il divenire-sud del Nord e il divenire-nord del Sud, i “cantos de ida y vuelta”: la situazione post-coloniale non riguarda solo le ex colonie, ma anche la metropoli. Il pensiero è selvaggio e civilizzato.

Il prospettivismo amerindio, la filosofia della percezione e la schizoanalisi sono i volti molteplici di un unico processo di produzione del sapere: discorsi e atti politici che costituiscono le società, i gruppi, le classi. La giustizia è lotta e non un tribunale e ciò esattamente nella misura in cui la verità non sta in nessun laboratorio, ma nel coraggio di distruggerlo: l’osar sapere ha sempre bisogno di un saper osare. Esercitando il nostro diritto di fuga, ci riuniamo qui per pensare cosa sta succedendo tra il Nord e il Sud, tra la Spagna e il Brasile, ovvero tra le esperienze più dinamiche dell’Europa e dell’America del Sud, anche se queste “dinamiche” hanno significati opposti.
Tra le sollevazioni sorte in seguito all’ondata delle primavere arabe, quella del 15 maggio del 2011 in Spagna (15M) è stata senza dubbio quella che è riuscita più di tutte a generalizzarsi e a mantenersi nel tempo in Europa, mentre quella del giugno del 2013 in Brasile è stata quella che si è più massificata e radicalizzata in America Latina e, malgrado tutto, continua viva. Nei due casi sono entrati in scena nuovi personaggi: le moltitudini del lavoro metropolitano.

Il 15M è nato come una sollevazione contro una rappresentanza sequestrata da un doppio dispositivo di comando: del sistema finanziario e del sistema dei partiti; si è presentato come un movimento emergente e distribuito nelle reti sociali, seguendo l’esempio delle primavere arabe e della Geração à Rasca portoghese, per tradursi rapidamente in un’occupazione generalizzata dello spazio pubblico (las Acampadas). Il 15M è una “criticità auto-organizzata”: non un “movimento unico”, ma un avvenimento ampliato nel quale è apparso un paese dall’altro lato dello specchio: “Now, here, you see, it takes all the running you can do, to keep in the same place”. Stare nello stesso posto significa trovarsi in una situazione aperta all’avvenimento, nella quale l’energia potenziale distribuita trasforma lo status quo in un processo costituente.

L’eccezione qui è la persistenza inedita di questa “criticità auto-organizzata” del sistema delle lotte sociali. Criticità è il fatto di una rivoluzione non lineare con disposizioni che esprimono tensioni etiche, politiche, erotiche, biopolitiche. Il 15M è stato attraversato da almeno 3 sviluppi: la connessione con piattaforme di lotta che provengono dai movimenti e gridano “noi non pagheremo per la vostra crisi”, come la Plataforma de Afectados por la Hipoteca (PAH); l’emergenza del sindacalismo sociale (come le Mareas di educazione e salute); i movimenti di occupazione delle città (i Centri Sociali) e la creazione di un sistema-rete emergente, multilivello, tra le reti e le piazze, tra le persone e i collettivi.

Con questa capacità di durare, il 15M ha iniziato a essere attraversato dalla questione della rappresentanza elettorale in due momenti: immediatamente nel 2011, quando ha rifiutato di scegliere il “meno peggio” e ha lasciato che il PSOE fosse sconfitto dal PP; e, successivamente, nelle elezioni europee del giugno del 2014 quando si sono presentate due nuove formazioni politiche: il Partito X, Partido del futuro, e Podemos. Nonostante il Partito X provenisse dalle reti tecnopolitiche interne al 15 M, è stato Podemos ad avere un chiaro successo, riuscendo a intavolare la discussione sulla trasformazione elettorale e istituzionale prodotta dal 15M e potendo, oggi, pur con numerose difficoltà dovute alla sua ipotesi organizzativa e strategica, diventare il simbolo di un cambiamento politico costituente in Spagna e nell’UE. Podemos non è l’unico progetto di assalto istituzionale, ma quello che fino a oggi ha riscosso più successo, in nitida competizione (un esercizio salutare di democrazia) con processi come Guaynem e Ganemos a Barcellona, Madrid, Saragozza e in misura minore a La Coruña, Malaga, etc.

Il giugno 2013 in Brasile è esploso come uno sciopero metropolitano contro l’aumento delle tariffe dei trasporti (indetto dal Movimento Passe Livre – MPL) per diventare la maggiore sollevazione della storia del Brasile, che si è generalizzata per tutto il paese, toccando tutte le questioni inerenti alla democratizzazione, al di là del regime post-dittatura cristallizzato nella “Costituzione del 1988”: da un lato, ha fatto convergere in una rivolta generale le innumerevoli lotte di resistenza contro il modello di città legata all’ibridizzazione tra il neo-sviluppismo e la costruzione della “città globale”; dall’altro, si è esteso con la moltiplicazione di “acampadas” direttamente dentro i templi della rappresentanza: i tentativi di occupazione del Congresso nazionale a Brasilia si sono poi replicati con le occupazioni di per lo meno 12 sedi di consigli comunali o parlamenti regionali (a Porto Alegre, Belo Horizonte, Campinas, Rio de Janeiro, ecc.).

La forma dello sciopero metropolitano è diventata una referenza per innumerevoli movimenti autonomi di sciopero: a Rio de Janeiro, per i professori che in ottobre dello stesso anno sono tornati a occupare i consigli sfidando la violenza della polizia durante 3 giorni di scontri campali; e per la lotta vittoriosa dei netturbini, in febbraio del 2014, nel mezzo del carnevale. Questi scioperi hanno mostrato il terreno di costituzione delle lotte sociali. Il giugno 2013 è stato però decostruito: la resistenza contro la violenza della polizia, che inizialmente ha massificato la sollevazione, è diventata il terreno di una repressione feroce che ha paralizzato le mobilitazioni dei poveri. Durante le elezioni nazionali di ottobre 2014, il marketing miliardario del governo (in particolare del PT), dopo aver distrutto la possibilità di un lulismo senza Lula (con Marina Silva) e mentendo vergognosamente, è riuscito a polarizzare e a mistificare la campagna elettorale. L’irresponsabilità di una politica totalmente corrotta è stata così grande che ha, alla fine, resuscitato la mobilizzazione di una destra che era rimasta completamente paralizzata e che oggi sta nelle piazze, attraversando la giusta indignazione popolare.

3. Cosa “podemos” tra Spagna e Brasile?
In Spagna il 15M è stato una mobilizzazione generale contro tutta la rappresentanza monopolizzata dal sistema dei partiti che è nato con il regime costituzionale post-franchista del 1978, incapace di bloccare e tanto meno di frenare il processo distruttivo del sistema di protezione sociale. In Brasile, il giugno 2013 è stato una sollevazione metropolitana contro una rappresentanza che è diventata un ostacolo per la costruzione di un vero welfare. Nel Nord il lavoro sta diventando precario e povero, attraversando una “brasilianizzazione” Nel Sud i poveri sono costretti a lavorare di forma precaria, passando per un’“europeizzazione” che è in realtà una “brasilianizzazione”: non più a causa del ritardo e del sottosviluppo, ma della modernizzazione e della globalizzazione.

Nel 15M si è dato il rifiuto dell’austerità neoliberale, ma anche l’affermazione della nuova potenza del divenire-povero del lavoro per la produzione di una nuova generazione di diritti, la produzione di un’altra città. Nel luglio 2013 il lavoro dei poveri ha rivendicato un nuovo tipo di diritti, ha anticipato la crisi dell’avventura neo-sviluppista sul terreno della trasformazione dei valori. Il divenire-povero del lavoro, scambiando il punto di vista del divenire-lavoro dei poveri, indica un divenire-Brasile (un divenire-sud) della moltitudine del lavoro in Spagna e un divenir-Spagna (un divenire-nord) della moltitudine dei poveri in Brasile. Le sollevazioni plebee del 15 maggio 2011 e del giugno 2013 durarono nel farsi delle moltitudini in Spagna come in Brasile.

L’autonomia delle lotte si è affermata inizialmente come base di una critica sistemica della rappresentanza e dell’autonomia del politico che punta a disgregare le dimensioni produttive delle lotte nel terreno della composizione dello Stato, dei partiti e delle corporazioni. Tuttavia, le moltitudini spagnole e brasiliane hanno bisogno di far fronte alla sfida del che fare, perché la loro potenza si affermi come breccia democratica, come “democrazia reale subito”. Come passare per la rappresentanza senza lasciare che l’autonomia costituente del movimento sia ridotta nuovamente all’autonomia del politico e quindi sconfitta?

Una delle specificità di Podemos in Spagna è di fare esplicito riferimento, oltre al 15M, al virtuosismo dei “governi progressisti” dell’America del Sud. Da un lato, si distingue così da esperienze elettorali simili nella combinazione della potenza del ciberattivismo con una hiper-leadership promossa per mezzo dei media tradizionali, come il Movimento 5 Stelle in Italia; dall’altro, è proprio questa ida y vuelta verso il Sud che si può trasformare in una tremenda trappola. Il ciclo dei governi chiamati “progressisti” è finito e, ancora peggio, non lascia trasparire nessun “virtuosismo”, neppur residuale o inerte. Diventando un socialismo del secolo XXI, il chavismo ha già riprodotto in breve tempo tutte le magagne del capitalismo di Stato e oggi sopravvive come un regime fallito, che appena si appoggia sulla capacità repressiva dell’esercito e più in generale dello Stato. Non si tratta solo di un Venezuela agonizzante. Anche l’Argentina arriva estenuata alla fine del kirchnerismo, il regime che deve sostenere un candidato alle prossime elezioni che proviene dal menemismo neoliberale.

Anche in Ecuador ci sono segnali di esaurimento di fronte alle ampie manifestazioni sociali, in particolare quelle indigene. In tutti i casi, e ciò include anche la Bolivia di Evo, gli esperimenti democratici hanno smesso di esistere e ad avere la meglio è una visione statalista e centralizzata: il lutto del socialismo e dell’autoritarismo statale non è ancora avvenuto. La critica del mercato e dei meccanismi della democrazia rappresentativa serve appena per mistificare le pratiche di sfruttamento del lavoro e, ancora peggio, pratiche arcaiche.

Ma è nel caso del Brasile, il paese che è baricentro geo-economico del subcontinente e garante dell’intero ciclo degli anni 2000, che l’esaurimento si presenta in modo radicale e devastante. La crisi brasiliana è scoppiata definitivamente nel momento in cui vari osservatori internazionali pensavano di notare la sua vitalità: nelle elezioni dell’ottobre 2014. Della complessità della situazione brasiliana interessa estrarre tre grandi elementi: 1) in primo luogo la sua dimensione soggettiva, 2) in secondo luogo, le determinazioni oggettive e, infine, 3) le implicazioni politico-teoriche.

1) Sul piano soggettivo dell’evento, contrariamente ad altri paesi dell’America Latina, il movimento del giugno 2013 ha anticipato la crisi oggettiva (economica), aprendo una gigantesca breccia per una svolta verso la radicalizzazione della democrazia. Di fronte a ciò il lulismo (del governo Dilma, passando per il PT e lo stesso Lula) ha mobilitato tutte le risorse che il potere economico e politico gli offriva per chiudere la breccia ad ogni costo, e questo su tre fronti d’intervento: la delegittimazione della sollevazione, squalificata a livello di rigurgito “fascista”; la vertiginosa decisione di trasformare alcune reti di giovani patrocinati dal proprio PT come rappresentanti del “movimento”; la pianificazione e la coordinazione di un fortissimo schema di repressione, applicato a tutti i livelli federali (in particolare in occasione del Mondiale della FIFA). Il governo ha, inoltre, usato la sua potentissima macchina di marketing per produrre l’immagine e la sensazione di una presunta “ondata conservatrice” nella società e di una “campagna d’odio” nelle reti sociali.

Il PT e il lulismo hanno dunque usato tutto il loro potere (statale) per chiudere la breccia democratica, molto semplicemente perché loro non ci potevano entrare, proprio nei termini della profezia: è più difficile che un ricco vada al paradiso che un cammello passi per la cruna dell’ago. Il movimento ha aperto la breccia e allargato la cruna, ma il PT e la sua burocrazia mafiosa erano già diventati troppo ricchi e grassi di prebende e mazzette per poterci passare. Non potendo entrare nella cruna, hanno preferito cercare di distruggere l’ago.

La breccia del giugno 2013 determinava due movimenti virtuosi: il primo era immanente alla propria dinamica della sollevazione come possibilità per i poveri di poter lottare senza essere uccisi, ed è esattamente questo che ha trovato espressione nella vittoriosa campagna per Amarildo – il muratore, torturato, assassinato e fatto scomparire per mano della polizia pacificatrice della favela di Rocinha a Rio de Janeiro. Il secondo riguardava il rifiuto del dispositivo binario che domina tutta la comunicazione del lulismo e che consiste nell’alimentare una lotta ideologica (il PT contro l’elite bianca e il neoliberalismo) tanto violenta quanto vuota e totalmente falsa, dato che nei fatti governa per le grandi imprese edili, le banche e, nel parlare di una riduzione delle diseguaglianze, la pensa, nella migliore delle ipotesi, come l’emergenza di una “nuova classe media”.

Il giugno 2013 era insopportabile per il PT e Lula perché gli impediva di continuare a pianificare cinicamente sul sottosviluppo brasiliano per giustificare la sua corruzione pubblica e morale, ovvero il fatto di governare non solo per e con i ricchi ma anche come ricco (anche se parvenu).
2) La determinazione oggettiva ha due dimensioni che s’inseriscono una dentro dell’altra: la crisi in Brasile non deriva – come in Europa – dal fatto che il governo si è rifiutato di applicare politiche anticicliche, ma perché le ha fatte e ne ha fatte troppe. Successivamente, a differenza di altri paesi dell’America del Sud, una volta rieletto, il governo Lula-Dilma ha invertito di 180 gradi le sue priorità per applicare una dura politica economica di austerità. Indipendentemente da ciò che questo significa dal punto di vista della truffa elettorale, il Brasile oggi si trova immerso in una grave crisi economica, governata da un violentissimo dispositivo di tagli di budget, tagli ai diritti dei lavoratori, aumenti dei tassi d’interesse e, al tempo stesso, di aumento generalizzato delle tariffe amministrative (dei servizi pubblici, in particolare dei trasporti, della benzina e dell’elettricità).

Il governo Dilma è riuscito a fare peggio che la stagflazione, tanto che oggi ci troviamo in piena recessione e inflazione, ossia in una vera e propria depressione. I poveri del Brasile dovranno sopportare un lungo periodo di recessione con alta inflazione. Il governo Dilma sta realizzando una vera confisca dai redditi dei lavoratori e dalle fasce intermedie degli impresari.

Il lungo periodo dei governi Lula–Dilma può essere diviso in due fasi. Tra il 2003 e il 2008, il PT ha seguito alla lettera le ricette neoliberali ma si è anche fatto prendere da alcune innovazioni che hanno costituito piccole fessure. Tutto ciò si riassume in tre momenti: la massificazione di politiche neoliberali di distribuzione del reddito (Bolsa Familia); le politiche di accesso, in particolare all’insegnamento universitario (Prouni, Reuni e le quote razziali nelle università); la valorizzazione del salario minimo che, oltre a migliorare il livello di reddito dei lavoratori poveri, ha permesso un upgrade generale del sistema di protezione sociale. A partire dal 2009, dopo la grande crisi finanziaria, il governo Lula-Dilma ha cominciato a implementare politiche di accelerazione della crescita, teoricamente ispirate al vecchio nazional-sviluppismo e di fatto pianificate e realizzate a partire dalla traduzione, in termini di politica economica, del gioco elettorale, ovvero dalla corruzione sistemica della quale il PT è diventato, più che un attore tra gli altri, il principale articolatore.

Questo mentre la tenue riduzione delle disuguaglianze prodotta nella prima fase veniva trattata come l’emergenza di una “nuova classe media” destinata a essere – sul piano soggettivo – la base del nuovo consenso e allo stesso tempo – sul piano obiettivo – la destinataria di politiche di reindustrializzazione, di grandi opere e di grandi eventi: l’edificazione di un Brasil Maior, come diceva la propaganda. Un vero e proprio festival di sussidi pubblici per i global players: dalle grandi multinazionali automobilistiche alle grandi imprese edili, passando per l’agrobusiness.

L’intero processo si è alimentato con il pieno coinvolgimento della Petrobras nello sfruttamento “nazionale” dei giacimenti di petrolio in acque molto profonde, delle grandi opere (che provengono dai progetti megalomani della dittatura militare) come le mega-dighe idroelettriche in Amazzonia, il sottomarino e le centrali nucleari (francesi), dei mega-eventi (Coppa della FIFA e Olimpiadi come paradigmi). Non c’è stata nessuna reindustrializzazione e mentre gli investimenti nei grandi lavori e nei grandi eventi sportivi hanno saturato le metropoli di tutto il paese, il “conto” è arrivato prima che il Brasile diventasse maggiore. Nel frattempo, la cosiddetta “nuova classe media” si trova tra le file dei disoccupati ai quali il governo ha già tagliato la protezione.

3) La convergenza del Brasile Maggiore neo-sviluppista con le stesse, e persino più violente, politiche di austerità ci fornisce alcuni spunti di riflessione teorica. A caratterizzare i “limiti” dei governi progressisti dell’America Latina non sono gli impegni presi con l’“estrattivismo” e ancora meno il ruolo che avrebbe giocato l’imperialismo. Sia chiaro: l’estrattivismo è una delle caratteristiche fondamentali del capitalismo in tutto il subcontinente ed è con questi “vecchi” interessi che i governi, che erano “nuovi”, hanno dovuto negoziare e allearsi per vincere le elezioni e per governare. Ma non è questo che definisce la particolarità dei tentativi d’innovazione in termini di politiche economiche e industriali.

Al contrario, l’esaurimento dei nuovi governi e la crisi hanno a che fare con il modo in cui hanno tentato uscire dall’estrattivismo, ovvero con il modo in cui hanno tentato di uscirne approfondendolo (nelle foreste) e estendendolo (nelle metropoli). Nel caso brasiliano questo è evidente: invece di scommettere sulla radicalizzazione della democrazia e sui processi di mobilitazione democratica, il PT e Lula credono solamente – come la propria scelta della figura di Dilma mostra – nello Stato e nel Grande Capitale (i global players). Così, non c’è stata nessuna rottura con l’estrattivismo e nessuna accelerazione verso il cambiamento, ma appena un approfondimento dell’inserimento nelle dimensioni mafiose del capitalismo contemporaneo e delle sue forme di controllo del territorio e dello Stato.

I giacimenti dell’accumulazione del capitalismo cognitivo in Brasile si trovano nelle metropoli e riguardano la mobilitazione dei poveri in quanto poveri: il lavoro del povero che non passa più per la sua iniziale inserzione nel rapporto salariale. Invece di riconoscere la potenza produttiva di nuovi valori, che la radicalizzazione democratica offre, il PT di Lula e Dilma si sono uniti alle vecchie e nuove mafie attraverso le quali il capitalismo cognitivo cattura le eccedenze produttive nei territori. La mafia neo-sviluppista (delle grandi imprese esecutrici di lavori pubblici) si è unita alla mafia oligarchica dell’agrobusiness e alle mafie diffuse che controllano i territori produttivi delle metropoli in un’orgia improduttiva che ha fatto solamente esplodere l’inflazione, accentuare le disuguaglianze e la segregazione urbane.

4. Le coalizioni sociali e il municipalismo costituente
La grande vittoria del giugno 2013 sta nelle lotte e nelle pratiche delle coalizioni sociali che oggi in Brasile guardano al Municipalismo Costituente che si è manifestato con i risultati elettorali del 24M in Spagna.
Le coalizioni sociali stanno già in un divenire-municipalista, al modo stesso in cui i giovani governi municipali hanno bisogno di continuare a essere attraversati dai concatenamenti delle coalizioni sociali. I Ganemos sono nati come opportunità di tentare nelle elezioni municipali l’assalto istituzionale proposto da Podemos, ma anche come una significativa inflessione, al di là di Podemos. Il processo di costituzione di Podemos, con l’Assemblea di Vista Alegre (nel novembre 2014), ha avuto un alto costo perché si sono, così, limitati la polifonia e uno stile di fare politica che presuppone una cooperazione distribuita. In città come Barcellona, Madrid e Saragozza, l’“effetto Podemos” si è formato sin dall’inizio per mezzo di iniziative cittadine che funzionano come punti di attrazione e biforcazione del sistema-rete creatosi nel M15.

Il municipalismo, come il caso di Ahora Madrid dimostra, contribuisce più che Podemos: senza la tensione di Municipalia, prima e, subito dopo, di Ganemos Madrid, la vittoria sarebbe stata impossibile, visto che la radicalità democratica – che è il “codice 15M” – sarebbe rimasta dominata da relazioni di forza tra entità chiuse e trincerate.
In Brasile, è il punto di vista della lotta dei netturbini di Rio de Janeiro che ci introduce direttamente all’interno di questo divenire. La lotta degli spazzini è scoppiata nel febbraio del 2014 ed è stata, forse, la maggior vittoria del movimento di giugno. I netturbini si sono ispirati direttamente alle dinamiche autonome e orizzontali di giugno e il loro sciopero si è riflesso con potenza nelle reti sociali e nelle strade. La lotta è stata rapida e vittoriosa (con un aumento salariale del 37%) e ha contato con un ampio appoggio sociale, diventando un riferimento per tutto l’attivismo.

Tuttavia, mentre l’attivismo è andato esaurendosi in una spirale senza fine di azione e repressione, i netturbini non hanno smesso il loro esodo fuori dalla schiavitù delle proprie condizioni di lavoro e nel febbraio 2015 si sono nuovamente fatti presente con una nuova lotta salariale (che è riuscita ad ottenere l’8% di aumento in un momento di politiche di austerità) e presentando una lista indipendente contro il sindacato crumiro e mafioso. La risposta del Comune di Rio de Janeiro (ovvero del PT e del PMDB) avviene oggi lungo due assi complementari: da un lato, una repressione feroce; dall’altro, automazione e subappalti.

Dal lato della repressione, centinaia di licenziamenti, compresi i membri della lista autonoma che concorreva alla direzione del sindacato e più di trenta netturbini sono stati accusati di “organizzazione criminale” e ricevono minacce di ogni tipo. Dal lato dell’automazione, il municipio di Rio ha iniziato a distribuire nelle strade i cassonetti per la raccolta dei rifiuti che permettono ai camion di operare automaticamente e all’impresa municipale di subappaltare il lavoro degli autisti così come la gestione dei camion stessi. In conclusione, la lotta dei netturbini è già riuscita – in meno di un anno – a determinare quel processo d’innovazione che la condizione neo-schiavistica nella quale erano mantenuti permetteva di rimandare. Allo stesso tempo, con tutte le difficoltà che questo può implicare, la pratica dei netturbini di organizzarsi in circoli di cittadinanza, il loro lavoro sociale nelle favelas, le connessioni con gli altri tentativi di costruzione di un “sindacalismo sociale” li pone nella posizione di estendere le loro lotte direttamente nel terreno della conoscenza e in quello metropolitano: non contro l’automazione, ma per decidere chi trarrà beneficio dalla modernizzazione che loro stessi hanno prodotto: il capitale e le sue mafie politiche o i netturbini come agenti ambientali di una nuova cittadinanza?

La “coalizione sociale” appare non solo come un terreno necessario e urgente perché la lotta autonoma possa espandersi nel terreno costituente della gestione dell’impresa di pulizia urbana, dell’ambiente e della salute nelle comunità e nelle favelas. La lotta metropolitana ha bisogno di costruire coalizioni di lavoratori e abitanti in modo che l’automazione della raccolta dei rifiuti si traduca in un miglioramento delle condizioni di lavoro dei netturbini che così potranno, oltre a mantenere l’impiego, essere agenti di protezione ambientale nei territori dove la gestione dei rifiuti è urgentissima. Il comune è già il terreno della lotta autonoma dei netturbini che, non a caso, si sono costituiti in un Circolo della Cittadinanza: il Circulo Laranja.

Nel caso della Spagna, il successo nelle prossime elezioni generali delle confluenze basate sulla trasversalità e sulla radicalità democratica, seguendo l’esempio di Ahora Madrid, Barcelona en Comù, Zaragoza en Comù ecc., potrà significare la storica trasformazione del sistema-rete-15M in un sistema di ordine superiore, capace di integrare il sistema politico e rappresentativo. Si tratterebbe di una rottura costituente o, in tutti i casi, della chiave di una situazione di fronte alla quale tutta l’”autonomia del politico” è un ostacolo per la realizzazione della promessa delle lotte: Democracia Real Ya.
Rio de Janeiro e Madrid – settembre 2015
Traduzione di Lalita Kraus

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Globalist
30 09 2015

Dal dialogo a più voci con la figlia alla app che guida nei luoghi del movimento romano
La domanda è: un'esperienza che ha trasformato milioni di donne e non pochi uomini si può trasmettere? Senza farne un monumento, senza indulgere in un inutile e nostalgico «come eravamo», soprattutto senza suscitare una reazione di rigetto in chi allora non c'era e dovrebbe/potrebbe ascoltare? 


L'esperienza, l'avrete già capito, è il femminismo, unica irripetibile «rivoluzione non cruenta» (ma in senso metaforico morti e feriti ci sono stati anche qui!) del Ventesimo secolo. Che fare dunque? Narrazione in soggettiva come nelle sette puntate sul femminismo della web tv MemoMi (www.memomi.it) dedicata alla storia della città ambrosiana? Qui è la voce di Lea Melandri a guidarci con passione e precisione, ha di recente scritto Marina Cosi, nel decennio che va dal 1965, alba di tempi nuovi, al 1975, tra la pratica femminista, le manifestazioni, l'autocoscienza, i giornali del movimento, il separatismo sì e no, la scuola non autoritaria, i consultori autogestiti, le casalinghe alle 150 ore, la libreria di via Dogana, il Cicip&Ciciap... Un racconto senza rammarico né rimpianti perché oggi forse c'è ancora più bisogno di riflettere e lottare.

È il modo giusto di comunicare? Si procede per tentativi, è chiaro. Chi cerca in una scrittura che parte da sé e in una narrazione polifonica il senso di un percorso sorprendente. E chi invece parte dai documenti e dagli archivi per realizzare una sorta di censimento che coniuga femminismo e tecnologia, creando uno strumento adatto ai tempi. Un esempio del primo caso è il bel libro «Mia madre femminista» a cura di Marina Santini e Luciana Tavernini (Il Poligrafo editore). Qui le autrici milanesi intrecciano un dialogo (immaginario?) con una figlia 27enne a brevi racconti di molte donne e qualche uomo che hanno condiviso conflitti, fatiche e scoperte in ogni parte d'Italia dalla metà degli anni '60 fino ad oggi.

Il libro restituisce l'atmosfera unica di quegli anni '70, '80, una grande varietà di esperienze travolgenti, che si alimentavano di pensieri, emozioni, corpi, tutto intersecato, giorni e notti, lavoro e vacanze. Una partitura in quattro capitoli, dedicati alle parole, al corpo, ai luoghi e al lavoro. Resta però l'impressione della soggettività un po' rimossa della figlia che interviene con sottolineature ma anche nel quarto capitolo dove parla in prima persona è sempre un po' in ombra. Si crea quindi un contrasto fra la provocazione iniziale: «ma doveva proprio capitarmi una madre femminista?» e una relazione che appare fin troppo pacificata: «Cara mamma, ti sei accorta di come sono cambiata. Che ne dici? Sono forse diventata femminista?» commenta la figlia alla fine del libro. Ed è inevitabile ripensare al bell'epistolario «Tra me e te» di Mariella Gramaglia e Maddalena Vianello, dove i conflitti e le contraddizioni madre/figlia apparivano meno sfumati.


Del tutto differenti le intenzioni di Giovanna Olivieri e Valeria Santini, romane, che partono dal bisogno di conservare in formato digitale un prezioso patrimonio storico e documentario. E per farlo conoscere creano uno strumento accessibile a ragazze e ragazzi smanettoni di smartphone e iPhone. Metti, in altre parole, il femminismo romano in una app (e in un sito), con 500 punti caldi, schede di approfondimento, foto e documenti che richiamano alla memoria momenti dimenticati. Un tour reale o virtuale (dal computer di casa) per visitare i luoghi cari al movimento delle donne. Basta spostare il cursore sulla mappa e spuntano gli striscioni delle donne dell'Udi nel corteo femminista per l'aborto lungo via Cavour: è il 3 aprile 1976.

Nello stesso anno, il 27 novembre, si stagliano le fiaccole accese in piazza dell'Indipendenza con lo slogan «Riprendiamoci la notte». Un altro piccolo movimento del cursore e si vede il corteo delle «Donne unite contro la violenza», che si snoda l'8 marzo 1979. Dove? Per saperlo, basta cliccare su «raggiungi», facendosi poi guidare dal navigatore verso Trinità dei Monti. Ci sono anche mappe dei gruppi nati negli anni '70, negli anni '80 (oltre 300 sedi) e negli anni successivi, accanto alle imprese commerciali gestite da donne: «Herstory» (www.herstory.it) è un progetto ambizioso, il primo vero censimento di collettivi, centri e associazioni femminili. Un progetto reso possibile dai «tesori di carta» raccolti da Archivia, associazione fondata nel 2003, che ha ereditato i fondi di 10 enti romani - testate, archivi e centri di documentazione -, e ora dispone di circa 35 mila fotografie di eventi e manifestazioni. Saranno in molti a scaricare un app come questa? La scommessa è aperta, sulla pagina Fb i contatti sono quasi un migliaio, ma basterà questo divertente tuffo nella tecnologia ad appassionare le nuove generazioni?
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La Repubblica
30 09 2015

Nella notte voci di un blitz e il trasloco del campo dalla pineta alla scogliera, come agli inizi della protesta: poi l'arrivo di 12 camionette dei carabinieri e i primi fermi. E i francesi sbarrano il confine. Alle 12 manifestazione dei centri sociali. Il sindaco Ioculano: "Lo chiedevamo da tempo". Il vescovo tratta per una collocazione per l'inverno.
Confine sbarrato dai poliziotti francesi, dall'Italia 12 camionette di carabinieri e polizia arrivati all'alba ai Balzi Rossi: succede ora alla frontiera di Ventimiglia, al campo No Borders, autogestito da migranti e attivisti. Per evitare lo sgombero e l'arresto, 100 persone tra migranti e italiani sono fuggiti dal campo occupato sotto la pineta, e si sono rifugiati sugli scogli, portando tutto con loro, come a giugno all'inizio della protesta.

Intorno alle 7, mentre albeggia, nel caos e tra le urla dei No Borders, le forze dell'ordine entrano nell'accampamento con un'ordinanza di sgombero: lo smantellano e bonificano, "Come chiedevamo da tempo, troppi i disagi che causava", commenta subito il sindaco di Ventimiglia Enrico Ioculano. Gli attivisti hanno indetto una manifestazione per mezzogiorno nel centro di Ventimiglia; in arrivo giovani da varie parti d'Italia, confermata la presenza di associazioni solidali.
Ma qui, tra i migranti, nessuno si arrende, "Noi resistiamo, stiamo qui sugli scogli, come alle origini, guardandoci a distanza con gli agenti", spiega concitato Alexander, uno degli attivisti dagli scogli.

Intorno, ritmi e slogan della protesta di sempre: “We are not going back”. Intanto le forze dell'ordine in assetto anti sommossa sono sempre più vicine, circondano gli scogli, e si teme uno scontro sulle rocce che potrebbe essere rischioso. "Le strade sono chiuse, ci sono ragazzi che stanno provando a raggiungerci ma vengono bloccati", denunciano dagli scogli i ragazzi, che mandano foto, "ma non sappiamo per quanto avremo ancora i cellulari carichi, nè cosa succederà".
Per il sindaco "devono spostarsi, dove andranno lo valuterà la questura, ma questa situazione non poteva più andare avanti - spiega - capiamo le motivazione della loro protesta ma il campo era abusivo e ci vuole rispetto per una città che è stata accogliente e ospitale".

Ma per mediare con le forze dell'ordine gli attivisti hanno chiamato il vescovo di Ventimiglia, Antonio Suetta, da sempre loro sostenitore: "Sta arrivando qui, ha già contattato la Prefettura e gli hanno assicurato che non useranno la forza - spiega Alexander - Vedremo... Di sicuro, il vescovo si era detto disponibile a concederci una struttura per traslocare il presidio. Se ci lasciassero passare, magari ci sposteremmo senza conseguenze per nessuno...".

Per ora, però, il confronto è sugli scogli, da una parte decine di agenti in assetto antisommossa, dall'altra loro. "C'era tensione nell'aria, sapevamo del rischio di uno sgombero ma non pensavamo di arrivare a questo punto. Dodici camionette sono tante. Mentre i francesi hanno sbarrato il confine per evitarci vie di fuga", conclude Alex.

 

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30 09 2015

L'Antitrust ha multato per 100mila euro l'azienda municipale Ama e per altre complessive 110mila le società Sol.Co. e Bastiani, vincitrici dell'appalto. La motivazione? "Pratiche commerciali scorrette": gli indumenti usati raccolti nei cassonetti gialli non andavano in beneficenza come riportato dalle informazioni ai cittadini ma venivanovenduti.

Maxi multa dell'Antitrust all'Ama, la società municipalizzata che si occupa della pulizia delle strade e della raccolta di rifiuti nella Capitale. In tutto 210mila euro di sanzione, 100mila dei quali dovranno essere pagati dall'Ama, mentre 100mila toccherà al consorzio Sol.co. sborsarli e i rimanenti 10mila alla società Bastiani. La multa è stata comminata dall'Antitrust per "pratiche commerciali scorrette". Nel mirino l'utilizzo dei vestiti usati raccolti nei cassonetti gialli. L'Autority ha infatti verificato che gli indumenti venivano utilizzati a fini commerciali, mentre sui cassonetti la dicitura utilizzava lasciava intendere ai cittadini che gli abiti in buono stato sarebbero stati devoluti in iniziative umanitarie. Invece i vestiti venivano utilizzati a fini commerciali venendo rivenduti.

I cassonetti sono di proprietà di Sol.co. (coinvolta anche in Mafia Capitale) e Bastiani. Le due società, che si erano aggiudicate l'appalto, sono responsabili della frode ai cittadini assieme all'Ama che secondo l'Antitrust non ha garantito un controllo adeguato. Tra l'altro le stesse informazioni ingannevoli sulla destinazione dei servizi venivano riportate nel sito dell'azienda di proprietà del Comune di Roma.

 

 

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