La 27 Ora
02 04 2015
Testa china e sguardo basso. Parvi Patel, 33 anni, ha cercato di nascondere il viso dietro ai lunghi capelli neri lasciati sciolti. Nessun commento ai cronisti che l’aspettavano fuori dall’aula del tribunale di South Bend, in Indiana. La donna ha preferito continuare a camminare, con le mani ammanettate dietro la schiena e scortata dagli agenti della polizia penitenziaria. Patel è la prima donna negli Stati Uniti ad essere stata condannata a oltre vent’anni per feticidio e abbandono di minore. Accuse che la donna ha sempre respinto: “Ho avuto un aborto spontaneo, non sapevo cosa fare ero terrorizzata”.
Questo caso preoccupa le associazioni che si occupano di diritti delle donne e sta facendo discutere negli Stati Uniti attivisti ed esperti legali. Sotto la lente d’ingrandimento c’è la macchina legislativa dello stato dell’Indiana, la quale non è la prima volta che mette sotto accusa una donna per ragioni simili.
Era il 13 luglio 2013 quando Patel è entrata al St Joseph Regionale Medical Center, ospedale di Mishiwaka, cittadina di 50mila persone. La donna sanguinava e, secondo Kelly McGuire, il ginecologo che l’ha visitata, aveva il cordone ombelicale che le penzolava tra le gambe.
La donna ha spiegato ai medici di aver scoperto di essere incinta tre giorni prima, dichiarazione poi confutata in aula. Quel pomeriggio ha cominciato ad avere dei dolori forti alla schiena e quando si è rifugiata nel bagno del ristorante dei genitori ha avuto un aborto spontaneo. Quando ha visto il feto senza vita, ha provato a rianimarlo, poi nel panico ha tagliato il cordone e l’ha buttato nel cassonetto dietro l’uscita secondaria del locale. McGuire ha subito informato la polizia e insieme sono andati a cercarlo. Il medico ha subito pronunciato la morte del feto.
Patel è stata prima accusata di abbandono di minore e quindi di feticidio. Secondo la ricostruzione della procura la donna ha comprato su internet delle pillole abortive illegali, perché terrorizzata dalla possibile reazione della famiglia. Ma negli esami del sangue non c’è traccia di questa droga. L’accusa si è basata su un sms che la donna avrebbe mandato a un’amica. Non è chiaro nemmeno di quante settimane la donna fosse incinta. Gli esperti chiamati in tribunale da entrambe parti non mai stati d’accordo e parlano di un feto tra le 23 e le 30 settimane.
Sono almeno 38 gli stati che hanno una legge sul feticidio, ma fino adesso è stata usata per violenza sulle donne incinta e aborti illegali.
In Indiana un’altra donna è stata accusata di feticidio. Bei Bei Shuai ha cercato di suicidarsi con veleno per topi e ha avuto un aborto alla 33esima settimana. La donna, di origini cinesi, si è sempre dichiarata innocente per questa accusa, mentre si è dichiarata colpevole per avventatezza. La donna ha patteggiato ed è stata in carcere 435 giorni prima di essere rilasciata su cauzione.
Dopo la sentenza di Patel, gli attivisti si sono detti preoccupati. Lynn Paltrow, direttore del National Advocates for Pregnant Women, ha spiegato in una nota che “la durata crudele di questa sentenza è la prova che leggi come quella sul feticidio e le altre misure promosse dalle organizzazioni contro l’aborto, puniscono le donne e non le proteggono”.
Sulla stessa linea Alexa Kolbi-Molinas, consulente legale dell’American Civil Liberties Union (ACLU). “Queste leggi prendono di mira le donne più vulnerabili”, ha detto a Vice.
Infatti molti medici medici in Indiana hanno paura che le donne delle comunità emarginate smettano di curarsi o di fidarsi dei medici.
“Se si scoraggiano le donne incinte ad andare ai controlli medici per paura di essere accusate di feticidio, non si stanno proteggendo i feti, ma li si mette in pericolo”, ha dichiarato David Orentlicher, medico ed ex rappresentante nel governo dell’Indiana.
Benedetta Argentieri