La Repubblica
28 10 2015
L'indagine nasce da un articolo del New York Times di settembre. Soldati americani raccontarono di non aver denunciato le violenze commesse dai soldati di Kabul sui bambini, temendo di alimentare tensione con le truppe locali
Il Pentagono ha deciso di aprire un'inchiesta sul comportamento dei militari americani dopo le denunce di abusi sessuali commessi da funzionari afghani sui bambini. Lo riferisce il Military Times. L'ispettore generale del dipartimento di Difesa sta indagando sul modo in cui i soldati statunitensi hanno gestito le ripetute denunce: segnalazioni secondo cui gli uomini afghani - sia leader militari che politici - abusavano di ragazzini. Le accuse sono emerse dopo un'inchiesta a settembre del New York Times.
Il quotidiano ha raccolto le testimonianze di alcuni militari americani di stanza in Afghanistan, che hanno raccontato di aver assistito a diversi episodi di violenza sessuale nei confronti di bambini. Ma hanno aggiunto di aver taciuto, pensando ci ci fosse una politica volta a evitare tensioni con gli afghani. La pratica degli abusi, nota con il nome di 'Bacha bazi' - ha rivelato il Nyt - è molto diffusa in Afghanistan, soprattutto tra i comandanti.
L'ispettore generale, che indagherà dal periodo che inizia nel 2011, dovrà valutare se i militari Usa hanno mantenuto un atteggiamento, formale o informale, che abbia scoraggiato le truppe dal denunciare gli abusi. Nel documento di Kenneth Moorefield, vice ispettore generale al dipartimento di Difesa, si legge che il Pentagono vuole sapere quanti casi di stupri sono stati denunciati presso il comando militare Usa, come queste denunce sono state gestite, e quante sono state poi trasmesse alle autorità afghane
La Repubblica
28 10 2015
Nuovo attacco alla libertà di espressione e ai media in Turchia. A quattro giorni dalle elezioni, la polizia ha preso il controllo - in diretta televisiva - della regia di due emittenti vicine all'opposizione, Bugun tv e Kanalturk, di proprietà del gruppo Koza-Ipek. Gli agenti hanno disperso con i lacrimogeni e gli idranti giornalisti e dipendenti che cercavano di difendere l'ingresso della sede che ospita le due televisioni. Poi hanno occupato la redazione e la sala regia, malgrado il tentativo di resistenza da parte del direttore di Bugun Tv, Tarik Toros. La polizia ha fermato nove persone e una volta dentro l'edificio, ha staccato i cavi per interrompere le trasmissioni tv. A quel punto sono stati insediati i nuovi 'amministratori' delle due emittenti, nominati dalla magistratura.
Già la scorsa settimana era stato annunciato lo stop alle trasmissioni di 7 canali di opposizione dall'operatore satellitare di Stato, Turksat. Il gruppo Koza-Ipek - che controlla anche i quotidiani Bugun e Millet e il canale Kanalturk fortemente critici verso Erdogan - è stato messo sotto 'tutela' dalla magistratura perché accusato di "finanziare, reclutare e fare propaganda" per conto dell'imam-finanziere Fethullah Gulen, ex amico di Erdogan diventato il suo nemico numero 1 e accusato di guidare dagli Stati Uniti, dove è espatriato, una rete di ong e mezzi di comunicazione definita dalle autorità di Ankara una "organizzazione terroristica". Il presidente turco lo accusa di aver creato uno “stato parallelo” con l'intenzione di rovesciarlo attraverso false rivelazioni su presunte tangenti intascate da vari ministri poi costretti alle dimissioni nel dicembre 2013.
Per le opposizioni si tratta però di una decisione tutta politica per mettere il bavaglio ai media critici in vista delle elezioni di domenica. Tra i tanti giornalisti giunti nella sede del gruppo in segno di solidarietà c'era anche Can Dundar, direttore del quotidiano di opposizione laica Cumhuriyet, per cui Erdogan invocò addirittura l'ergastolo prima del voto del 7 giugno scorso per alcuni scoop su una sospetta collaborazione e fornitura di armi dei servizi segreti turchi con l'Isis. "Questa è una censura dei media per cercare di influenzare le elezioni" anticipate di domenica prossima in cui il partito spera di riconquistare la maggioranza assoluta, ha accusato in diretta il direttore di Bugun tv.
Negli ultimi 25 giorni il 90% delle trasmissioni dal vivo della tv di Stato Trt sono state dedicate al presidente o al suo partito Akp (59 ore su 66), lasciando le briciole all'opposizione e appena 18 minuti al partito filo-curdo Hdp, che anche domenica prossima sarà l'ago della bilancia. Superando ancora per la seconda volta la soglia record di sbarramento al 10% dopo lo storico successo di giugno, quasi certamente impedirebbe all'Akp di recuperare la maggioranza parlamentare che Erdogan vuole a tutti i costi. Non solo. Impedirebbe a Erdogan di trasformare la Repubblica parlamentare in una presidenziale, vero obiettivo del presidente in carica.
Ma Recep Tayyip Erdogan non si ferma. I tentativi di reprimere la libertà di espressione si susseguono insistentemente. La giustizia turca ha aperto un fascicolo a carico di due ragazzi di 12 e 13 anni, accusati di "insulto" al presidente. Avevano "strappato un poster" con la sua immagine, riferisce il quotidiano Hürriyet. Ora rischiano da quattordici mesi a quattro anni e otto mesi di carcere. Erano stati sorpresi il primo maggio mentre strappavano un poster con la foto del capo di Stato per strada, a Diyarbakir, città del sud-est a maggioranza curda nel paese. "Strappavamo i manifesti per vendere la carta. Non prestavamo attenzione a chi c'era nella foto. Non sapevamo neanche chi era", si è difeso davanti al magistrato il più giovane dei due. La prima udienza è stata fissata per l'8 dicembre.
I due ragazzi sono perseguiti ai sensi dell'articolo 299 del codice penale turco che punisce chiunque "mina l'immagine" del capo dello Stato che prevede una pena massima di quattro anni di reclusione. Lo scorso dicembre, un minore di 17 anni è stato arrestato nella sua classe con la stessa accusa e condannato a 11 mesi.
La Repubblica
28 09 2015
Rivolta delle associazioni animaliste contro la ditta che ha vinto tutti e tre i lotti del bando ponte. Interrogazioni di Sel e Forza Italia
Una ditta privata che si occupa di smaltimento di ogni tipo di rifiuto, servizi di derattizzazione e disinfestazione, manutenzione del verde, servizi di pulizie, gestione di canili, e gestione di stabulari per animali da laboratorio per l'università di Bari, la pugliese Mapia Srl, è arrivata prima in tutti e tre i lotti del bando-ponte, in vista del bando europeo che si terrà nel 2016, indetto dall'assessorato all'Ambiente del comune di Roma per la gestione dei canili della capitale (Vitigna Ex Poverello, Muratella, Ponte Marconi ex Cinodromo). La gara è stata vinta con un ribasso del 10%, su un importo già decurtato - rispetto a quanto da dieci anni stanziato dal Comune di Roma - del 60%.
"Non appena il comune farà l'assegnazione" hanno denunciato nei giorni scorsi i lavoratori dei tre canili romani, che alla notizia dell'assegnazione hanno protestato con striscioni e sit-in nella piazza del Campidoglio, "100 lavoratori su 126 saranno licenziati. Stiamo valutando se occupare la nostra struttura e non uscire più finché non si trova una soluzione". La vicenda è talmente clamorosa che Loredana De Petris, capogruppo Sel in Senato e Davide Bordoni, coordinatore Forza Italia Roma, hanno già presentato interrogazioni.
I ras delle multiservizi. La multiservizi Mapia in Puglia ha fatto a lungo tempo il bello e il cattivo tempo nella gestione dei canili comunali. Per esempio partecipando a prezzi irrisori a tutte le gare indette dai comuni pugliesi, tanto che il suo megacanile, che si trova nel quartiere Japigia, periferia sud di Bari, ospita can oltre che di Bari, anche dei comuni di Rutigliano, Cassano, Ostuni, Acquaviva e molti altri.
Negli ultimi tempi però ha iniziato a perdere le gare della sua regione e anche i ricorsi al Tar presentati dai suoi agguerriti avvocati. La normativa pugliese infatti parla chiaro: i canili comunali possono essere gestiti solo da associazioni di volontariato animalista. E così non è stata ammessa (e ha perso anche il ricorso al Tar) nella gara indetta nel 2012 dal Comune di Barletta per la gestione del canile comunale. E nell'aprile del 2013 ha presentato ricorso al Tar e poi, dopo averlo perso, al Consiglio di Stato, per non essere stata ammessa alla gara per la gestione del canile comunale di Acquaviva delle Fonti.
Il mercato pugliese si sta dunque restringendo: anche perché i 1200 animali, oltre a non vedere l'ombra di un volontario, sono ospitati in una struttura fatiscente, sotto al sole, senza riparo, nell'incuria. Le adozioni sono un miraggio lontano, gli educatori qui non si sono mai visti.
Offerte troppo al ribasso. Le offerte economiche per gestire i 3 canili comunali di Muratella, Ponte Marconi e Vitinia, al massimo ribasso, d'altra parte parlano chiaro. E tutto quello che si vede oggi in questi canili diventerà un sogno lontano. Anche perché tolto il guadagno di Mapia, quello che resterà per gli animali, per i servizi al pubblico e per la tutela dei lavoratori è irrisorio: il Comune di Roma ha oltretutto richiesto nel bando, servizi che possono essere erogati solo da ditte specializzate come lo smaltimento deiezioni canine in discariche a norma, le disinfestazione-derattizzazioni, lo smaltimento reflui liquidi, la gestione rifiuti speciali degli ambulatori.
"Randagismo fonte di reddito". "Le offerte presentate in gara dalla onlus che attualmente gestisce i tre canili" dicono gli animalisti, "sono state considerate non ammissibili: prevedevano la tutela di tutti i lavoratori e il benessere degli animali. Andavano dunque ben oltre la base di gara. Del resto una onlus che tutela benessere e operatori non potrà mai concorrere contro un imprenditore che fa del randagismo una delle sue fonti di reddito".
La onlus Avcpp, che ha gestito fino a oggi i tre canili, ha presentato l'11 settembre un ricorso al Tar. Segnalando dieci irregolarità: cifre non congrue per il benessere animale e per pagare i servizi professionalizzati richiesti in gara. Mancata presenza di "un importo fisso e non suscettibile di ribassi per le spese per la sicurezza. Clausola di salvaguardia degli operatori non reale. Canili messi a gara non dotati di autorizzazioni sanitarie e dove non è chiaro chi dovrà pagare le cure sanitarie degli animali e in quali luoghi queste cure dovranno essere espletate. Assenza del punto di primo soccorso gatti - unico in tutta Roma che ha ricoverato curato e fatto adottare 7000 gatti feriti e malati in 10 anni - per cui non è chiaro che fine faranno quei lavoratori e dove saranno curati i gatti di Roma".
Il pareggio. È strano che il Comune di Roma non consideri chi ha gestito i canili comunali per tanti anni una risorsa. La onlus Avcpp, per esempio, era riuscita a raggiungere il punto di pareggio tra cani in entrata e cani in uscita: nel 2014, sui 2300 animali (cani e gatti) entrati in canile in un anno, 1400 cani erano entrati e 1400 cani erano usciti tra adozioni e ricongiungimenti con le famiglie che li avevano smarriti.
E ora, forse, dicono gli animalisti, "mettendo i canili nelle mani di persone senza esperienza nelle adozioni, le strutture si intaseranno. E il Comune dovrà affittare gabbie dei canili privati di tutto il Lazio. Quanto costerà questa scelta?".
Mafia Capitale. La gara aggiudicata da Mapia è stata tra l'altro protagonista di una vicenda intricatissima: pubblicata sul sito del Comune di Roma il 31 luglio 2015 (con scadenza della presentazione delle domande il 12 agosto), è in realtà una fotocopia di quella sospesa in "autotutela" dal Comune di Roma nel dicembre del 2014. Riporta addirittura la firma, cancellata a penna, dell'ex direttore del dipartimento ambiente capitolino Gaetano Altamura, tra gli arrestati di Mafia Capitale proprio per questa vicenda. Quella gara venne sospesa perché inquinata dalla presenza della Cooperativa 29 Giugno di Salvatore Buzzi, ammessa dal Dipartimento Ambiente senza che avesse i requisiti richiesti dalla gara stessa: e cioè 3 anni di esperienza nella gestione dei canili e attività di gestione di canili prevista nello statuto sociale. Un dirigente Bruno Cignini - che fu anche Direttore dell'Ufficio Benessere degli Animali - risulta nell'elenco dei 21 dirigenti attenzionati dal prefetto Gabrielli come collusi con il sistema di Mafia Capitale.
Le incursioni in dipartimento Ambiente. Dallo scoppio dello scandalo "Mafia Capitale" sono già 4 le intrusioni all'interno dei locali del Dipartimento Ambiente del Comune di Roma: nella notte tra il 4 ed il 5 dicembre 2014 è stato l'ufficio del Direttore del Servizio Giardini a subire il furto con scasso di un pc e ad avere la stanza messa a soqquadro. L'8 gennaio 2015 ancora furto con scasso nella sede di via Colli della Mentucci: sono spariti 4 mezzi da lavoro ed un secondo computer. Il 24 agosto 2015 i dipendenti del Dipartimento in circonvallazione Ostiense si sono ritrovati con le porte dell'ufficio e di altre stanze bloccate dopo un tentativo di forzatura e pochi giorni fa, il 21 settembre, sempre gli stessi uffici sono stati forzati nel corso della notte.
la Repubblica
24 09 2015
Un dramma, una distesa di corpi senza vita su una strada, con un bilancio che peggiora ora dopo ora: 717 pellegrini sono rimasti uccisi e più di 800 feriti per la calca che si è formata a Mina, città santa a 5 chilometri dalla Mecca, nel primo giorno di Eid al-Adha, la Festa del Sacrificio.
Due milioni di fedeli sono da giorni in Arabia Saudita per l'Hajj, il pellegrinaggio rituale alla Mecca e considerato il più vasto raduno al mondo. Si tratta del più grave incidente degli ultimi anni, dopo quello del 2006, quando morirono in 364 durante il rito del lancio di pietre, e il secondo della storia, dopo il caso del 1990 con 1.426 morti.
La ressa. Non sono ancora chiare le cause che hanno provocato la calca nell'area, dove sono state realizzate importanti infrastrutture per rendere più facile il movimento del fedeli. La tragedia è avvenuta sulla "strada 204", che si trova tra due campi allestiti dai pellegrini.
Il ministro saudita della Salute, Khaled al-Faleh, ha detto che la tragedia è avvenuta perché i pellegrini tendono a ignorare le istruzioni fornite dai responsabili dell'organizzazione della Festa del Sacrificio. "Molti pellegrini si mettono in movimento senza rispettare gli orari fissati da chi gestisce i riti", ha aggiunto. L'Arabia Saudita ha mobilitato oltre 100.000 agenti di polizia in occasione del pellegrinaggio. Lungo il percorso dei fedeli, il personale militare, assistito dai volontari, si occupa anche della distribuzione di acqua e cibo.
L'Iran ha puntato il dito contro errori della sicurezza saudita: molte vittime sono infatti iraniane. Il responsabile dell'organizzazione iraniana dell'Haji, Said Ohadi, ha riferito che per "ragioni sconosciute" è stata chiusa una strada vicino al luogo della cerimonia, dove poi è avvenuta la calca mortale.
In 25 anni 2.800 morti. La tragedia segue di poco meno di due settimane la morte di un centinaio di fedeli per il crollo di una gru sulla moschea principale, sottoposta da mesi a imponenti lavori di ristrutturazione. L'Hajj, il pellegrinaggio rituale alla Mecca, si è tragicamente trasformato in un bagno di sangue più volte negli anni con migliaia di fedeli rimasti uccisi, per lo più a causa della ressa.
In 25 anni hanno perso la vita 2.800 persone. Nel febbraio 2004, 270 rimasero uccisi sul ponte Jamarat. Nel 2008 morirono 180 persone, mentre furono 340 nel '97 e 270 nel '94. L'incidente più grave - come detto - risale al gennaio 1990 con un bilancio di 1.426 morti, per una ressa in uno dei tunnel che portano ai luoghi sacri della Mecca.
L'Hajj. La festa del Sacrificio è una delle più importanti celebrazioni religiose per musulmani di tutto il mondo. Indossando l'abito tradizionale, due pezzi di stoffa bianca senza cuciture, i pellegrini effettuano il tragitto che collega la Mecca a Mina, attraversando quindi la pianura di Arafat e seguendo il percorso a ritroso. Il pellegrinaggio alla città santa è un dovere per ogni buon musulmano che ne abbia le possibilità, da compiere almeno una volta nella vita.