Le persone e la dignità
02 07 2015
Il giornalista turco Mehmet Baransu, editorialista del quotidiano Taraf e vincitore del premio del giornalismo Sedat Simavi nel 2009, è stato condannato a 10 mesi di carcere per aver insultato su Twitter il presidente Recep Tayyip Erdogan quando era ancora primo ministro. Il giornalista è un editorialista del quotidiano Taraf e si trova già in prigione nell’ambito dell’inchiesta del golpe Martello, nome in codice di un presunto piano per un colpo di Stato militare ai danni del partito islamico di governo, l’Akp di Erdogan, che risalirebbe al 2003.
Nel corso del processo Baransu si è dichiarato non colpevole e ha chiesto la sua assoluzione sostenendo che ci sono otto account Twitter falsi con il suo nome.
“Alcuni tweet che non ho scritto sono considerati miei. Quelli che ho fatto dal mio vero account riguardano eventi pubblici e non contengono insulti – ha affermato il giornalista durante l’udienza in tribunale martedì 30 giugno -. Perché Erdoğan ha pensato che mi riferissi a lui quando ho parlato di ladri senza fare nessun nome. Voglio che gli sia chiesto se pensa di essere un ladro”.
Il pubblico ministero Sıddık Çinko aveva chiesto che il giornalista fosse condannato a sette anni di prigione per aver “insultato e ricattato” Erdogan quando era primo ministro. Il giudice ha dapprima deciso per un anno di prigione ma poi ha ridotto la pena a dieci mesi in considerazione del passato dell’imputato, delle sue relazioni sociali e del suo comportamento durante il processo. Baransu è stato anche indagato per i suoi articoli sul massacro di Uludere, il 28 dicembre 2011, in cui 34 civili furono uccisi vicino al confine con l’Iraq a causa di un attacco aereo dei militari turchi. Secondo l’accusa il giornalista avrebbe rivelato il contenuto di documenti ufficiali che dovevano rimanere segreti per tutelare la sicurezza nazionale.
“Dopo la sua testimonianza – ha spiegato il suo avvocato Sercan Sakallı – la corte ha deciso di non avallare la richiesta di arresto ma aprire un’inchiesta su articoli scritti quattro anni fa è una provocazione che mostra la situazione pietosa in cui è versa il nostro sistema giudiziario. Noi pensiamo che i giudici agiscano su mandato del gornato”.
Il giornalista è in prigione dal primo marzo per l’inchiesta sul golpe Martello in cui è accusato “di aver formato un’organizzazione criminale e di aver distrutto documenti importanti per lo Stato”.
Monica Ricci Sargentini
Corriere della Sera
02 04 2015
Caro direttore, nelle scorse settimane sono state promosse in Parlamento due iniziative parallele, entrambe su questioni ruvidamente controverse. La prima ha portato alla costituzione di un intergruppo parlamentare favorevole alla legalizzazione della cannabis; la seconda è finalizzata alla depenalizzazione delle fattispecie che variamente, nel codice penale, si riferiscono all’eutanasia. Nel primo come nel secondo caso, le adesioni hanno raggiunto un numero consistente, pur rappresentando solo una minoranza rispetto al totale di deputati e senatori.
Ma l’anomalia che emerge è, piuttosto, un’altra. Scorrendo l’elenco dei sottoscrittori, un dato balza agli occhi: tra chi aderisce alla prima iniziativa e chi aderisce alla seconda risultano solo parlamentari appartenenti al centrosinistra e alla sinistra (se si considerano in qualche modo all’interno di quest’area anche quelli del Movimento 5 stelle). Con due sole e isolatissime eccezioni: all’appello per depenalizzare l’eutanasia aderisce Daniele Capezzone (Forza Italia), all’intergruppo per la legalizzazione della cannabis Antonio Martino (Forza Italia).
Dunque, risulta una sovrapposizione quasi perfetta tra schieramento di centrosinistra e sinistra e domanda di diritti di libertà e di autodeterminazione. In altre parole, la frattura destra/sinistra in Italia, nella sfera politico-parlamentare, sembra collocare tutti i fautori di più libertà civili e sociali in un campo e tutti i critici di quelle stesse libertà civili e sociali nel campo opposto. E, infatti, poco più movimentata appare anche la situazione dei due schieramenti intorno alla tematica delle unioni civili.
Ovvio che si tratta di problematiche, per così dire, estreme: ma non c’è dubbio che rimandino a un principio di autonomia individuale e di indipendenza del cittadino dallo Stato: ovvero due capisaldi del pensiero liberale. Ma così non sembrano pensarla i parlamentari di centrodestra.
Una prima spiegazione, assai semplice, è che non sia scontata l’appartenenza del centrodestra a una cultura liberale (se non, appunto, con rare eccezioni); e non è scontato nemmeno che la cultura liberale, quando pure vi sia, si riconosca pienamente nell’affermazione dei diritti civili. Esiste, ad esempio, una cultura liberale di ispirazione cattolica che sul tema esprime una posizione di massima prudenza quando non di forte avversione.
Non solo: alcuni segmenti del centrodestra, scopertisi privi di un sistema di valori che ne definisse l’identità e ne rafforzasse la capacità di attrazione, si sono rivolti al cattolicesimo e al suo codice morale, come l’unico capace di tenere insieme («laicamente») ciò che resta delle tradizionali culture andate in pezzi. Ne è derivato un liberalismo che guarda al cattolicesimo, o che si dice cattolico, di netta fisionomia conservatrice.
D’altra parte, liberalismo non corrisponde immediatamente a libertarismo, anzi. E, dunque, è immaginabile anche un liberalismo tutto concentrato sulla sfera dell’economia e delle istituzioni e scarsamente attento ai diritti individuali, se non a quelli propri dell’impresa e dell’autonomia individuale nei confronti dello Stato e della sua pretesa di ingerenza nella vita dei cittadini. Anche in questo caso, pertanto, si avrebbe un liberalismo estraneo o comunque non sensibile alla tematica dei diritti civili. O, se si preferisce a quei diritti civili così radicali e, come si è detto, così ruvidamente controversi.
Ma anche una simile risposta non può soddisfare. La nuova generazione di diritti impone l’esigenza di affrontare dilemmi etici laceranti, sui quali in tutti gli altri Paesi anche i liberali, e spesso soprattutto i liberali, si interrogano con coraggio e razionalità. In Italia, non accade quasi mai.
E la spiegazione potrebbe essere ancora meno rassicurante. Potrebbe darsi, cioè, che sia proprio il tema dell’autonomia individuale e delle garanzie a sua tutela che è rimasto estraneo allo sviluppo delle idee liberali in Italia. Quasi che tali idee siano state sempre monche, sempre limitate a una interpretazione economicistica o formalistica della libertà e sempre preoccupate della stabilità delle relazioni sociali più che della loro trasformazione nel segno della pluralità dei diritti.
Ne potrebbe conseguire un’ulteriore e ancora più allarmante implicazione. Quell’orientamento schiettamente conservatore — e, per certi versi, fin autoritario — delle culture di destra potrebbe aver finito per abbracciare l’intero sistema politico, coinvolgendo anche quelle di sinistra e spiegando in tal modo la sostanziale inerzia di queste ultime. E non si tratta, forse, di una interpretazione così temeraria.
Luigi Manconi