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Le adozioni tornano a far discutere, storie diverse con un denominatore comune: i tempi e i costi

di Elisa Sola
 
Bambini selezionati come merci, come nel caso del provvedimento del tribunale dei minori di Roma che ha acconsentito a una coppia di adottare un bambini solo se «perfettamente sano». E famiglie lasciate sole, uomini e donne capaci di dare amore a un figlio che arriva da lontano costrette a pagare spese elevate perché lo Stato italiano lascia tutti gli oneri a loro carico. Torna a far discutere in Italia il tema delle adozioni internazionali. Storie diverse, ma con un denominatore comune.

Una “gravidanza eterna”. Una storia di ordinaria, estenuante, attesa. A cui si aggiunge una difficoltà spesso insormontabile: quella economica. In Italia adottare un bambino è un’impresa difficile. Se l’adozione è internazionale, lo è ancora di più.

Marta è una donna che ha deciso di accogliere un bambino e che da anni vive, come centinaia di altre, l‘attesa di poterlo crescere senza sapere per quanto tempo ancora dovrà aspettare. Marta fa la grafica e vive a Torino. È sposata con Andrea, anche lui libero professionista. Entrambi aspettano da cinque anni che un figlio varchi la porta di casa. E hanno dovuto accendere un mutuo di ventimila euro solo per pagare le spese iniziali, senza ancora sapere se qualcuno arriverà, chi sarà. In Italia, infatti, è la coppia a doversi sobbarcare i costi dell’adozione internazionale.
«Già prima di rendermi conto che non potevo avere bambini naturalmente – racconta Marta – avevo un desiderio fortissimo di adottarne uno. Poi, quando i figli non sono arrivati, e io e mio marito non eravamo più giovanissimi, abbiamo deciso di non tentare alcun approccio medico ma di adottare subito. Il mondo è pieno di creature che hanno difficoltà a trovare una famiglia».

Da allora, dal momento della scelta, Marta e Andrea vivono in un limbo costellato da mille difficoltà. Burocratiche ed economiche: «Siamo in ballo da anni con questa eterna gravidanza».
Dopo un anno dall’avvio del percorso di adozione, dopo i colloqui con gli psicologi e i controlli in casa, la coppia è riuscita ad ottenere il documento di idoneità sia per l’adozione nazionale che per quella internazionale. Quest’ultima resta ormai la loro unica concreta speranza, perché adottare un bambino italiano oggi, spiega Marta, «è un’impresa impossibile, soprattutto se non sei più così giovane. In due anni e mezzo nessuno ci ha chiamati e la posizione resta aperta solo per tre anni».

Dopo la presa di coscienza che l‘adozione nazionale non era realizzabile, è iniziata una fase lunga e dura. La presa di contatto con il maggiore dei problemi: quello economico. «Quando cerchi un ente a cui rivolgerti per un’adozione internazionale, ci si sente come al mercato. Ti chiedono tu cosa mi dai, e tu rispondi fino a dove puoi arrivare. Passi da una situazione del tutto emotiva a una in cui ti rendi conto che certe cose non te le potrai mai permettere. Tutto sembra diventare una questione di denaro. Il romanticismo si scontra con la realtà della vita».
Così Marta e Andrea devono rinunciare all’adozione di un bambino vietnamita perché costa troppo: oltre 20mila euro, solo per iniziare. Escluse, ovviamente, le spese di soggiorno nel paese natio, dove la coppia deve soggiornare per alcuni mesi per familiarizzare con il piccolo, assentandosi dal posto di lavoro, col rischio di perderlo «se sei un libero professionista». Marta però non molla. Conosce la Enzo B, associazione che si occupa di adozioni internazionali con cui inizia un percorso nuovo. «Ci siamo trovati bene e ci siamo sentiti compresi, come futuri genitori», racconta. «Mi sono sentita finalmente in una situazione di dialogo. Abbiamo scelto di adottare un bambino dal Congo e avviato un percorso».

Ma le difficoltà economiche sono rimaste.

«Abbiamo dovuto chiedere un prestito in banca perché non riuscivamo a coprire le spese iniziali. Ci siamo così indebitati di 20mila euro. Lavoriamo tutti e due, abbiamo due stipendi da impiegati. Di mese in mese speriamo di riuscire a risparmiare i soldi per coprire le altre necessità». Marta non sa quanto durerà la sua attesa. Attualmente il Congo per problemi burocratici ha bloccato le adozioni. «Non sappiamo per quanto. Sto facendo questo percorso di vita nella mia quotidianità aspettando che qualcosa avvenga».

In Italia una coppia che avvia un percorso di adozione internazionale spende in media almeno ventimila euro: circa 5mila vanno all’associazione accreditata per operare adozioni, che fa da intermediaria, e il resto del denaro va al Paese di origine del bambino. Questa seconda cifra è variabile a seconda del Paese, si va dai diecimila euro a oltre i trentamila degli Usa. Il sostegno statale è sufficiente a coprire le spese iniziali. Solo sgravi fiscali e un contributo a fondo perduto che, se arriva, copre circa il dieci percento del totale delle spese. Marta e Andrea oggi resistono. E vivono ogni giorno con la speranza che qualcosa si muova. L’attesa non ha smorzato la gioia e la speranza di avere un figlio. Ma li ha resi più consapevoli.
«Una coppia che decide di percorrere questa avventura – dice Marta – deve sapere che è tutta sulle sue spalle. Oltre alla decisione romantica del farlo, devi sapere che ti costerà fatica. E denaro». Nei giorni scorsi, la commissione bilancio in Senato ha bocciato un emendamento bipartisan alla legge di stabilità sulla detraibilità totale delle spese per le adozioni internazionali. Nel frattempo, in attesa che un altro provvedimento venga riproposto in parlamento, una rete di enti e famiglie ha avviato la campagna di sensibilizzazione la raccolta firme che chiede la gratuità dell’adozione. Si può aderire su www.adozionebenecomune.org.

 

Fanno prostituire la figlia di quindici anni con un ottantenne

  • Venerdì, 22 Novembre 2013 09:46 ,
  • Pubblicato in Flash news

Articolo Tre
22 11 2013

Una storia di degrado e povertà quella che viene dall'entroterra siciliano.

A Leonforte, nell'Ennese, una coppia con gravi problemi economici avrebbe fatto prostituire la figlia ancora minorenne con il loro anziano datore di lavoro oggi 80enne. Dai rapporti è anche nato un figlio.

Il Gup di Caltanissetta ha esaminato la richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla procura, aggiornando l'udienza al 15 dicembre. I tre – l'ottantenne ha chiesto il rito abbreviato – sono indagati per violenza sessuale.

La giovane vittima si è costituita parte civile. Le accuse sono supportate dalle analisi del Dna: il bimbo avuto dalla ragazza è figlio dell'anziano. La minorenne sarebbe stata costretta a incontri sessuali con l'uomo nella casa dei genitori, da quando aveva 15 anni.

Per un lungo periodo l'anziano avrebbe avuto rapporti con la giovane almeno due volte al mese e avrebbe pagato le prestazioni alcune centinaia di euro.

Nel 2008 la ragazza rimase incinta e diede alla luce un bimbo. A questo punto gli incontri a pagamento si sarebbero interrotti. Sono stati i servizi sociali, incaricati di seguire il bambino nato dalla violenza, a interessarsi del caso.

La giovane aveva così raccontato tutto consentendo l'apertura dell'indagine.


Succede non solo in America. L'alibi: «Che c’è di male, così la tengo d'occhio?». E' davvero una nuova forma di amicizia?
di Elvira Serra

In Italia si notano nelle «balere» di salsa e merengue, in America è un fenomeno da club. Mamme e figlie insieme in pista. «Che c’è di male?», ha risposto Vanesa Levine, 22 anni, alla giornalista della Abc che le chiedeva se non la infastidisse avere intorno la mamma di 47. L’adulta, per contro, ha domandato a sua volta: «Cosa c’è di sbagliato nell’andare a ballare, a bere qualcosa, a divertirsi con la propria figlia? Per me è anche un modo per tenerla d’occhio».
A questi duetti notturni ci avevano abituato coppie hollywoodiane del tipo Lindsay e Dina Lohan, Madonna e Lourdes Maria, Demi Moore e Rumer Willis. Ma a giudicare dai risultati — la protagonista di Ghost e di Salvate il soldato Ryan, per esempio, ha litigato con la figlia quando ha avuto un flirt con l’ex fidanzato di lei — si tratterebbe di un modello da non replicare. Non a caso la stessa psicologa consultata dalla rete australiana evidenzia tutti i rischi di una madre ingombrante per bellezza, talento e fascino.

Eppure non è una cosa fuori dal mondo. Un mese fa a Genova ha fatto notizia il caso di mamma e figlia che si sono iscritte insieme a un corso di burlesque, per «imparare l’arte della seduzione, senza essere volgari». Nel 2012 una discoteca del Pavese organizzò una serata per genitori e figli. E Roberto Piccinelli, bibbia assoluta dei luoghi del divertimento (è sua la guida che da anni recensisce i locali più alla moda), ammette che nelle piste riservate alla danza latinoamericana capita spesso di vedere le due generazioni di donne.
«Dicono di farlo per controllare le ragazze, ma è una grandissima scusa», taglia corto il sessuologo Marco Rossi. Perché è come pretendere che due fratelli di età diverse abbiano gli stessi amici: di rado funziona.
Ha funzionato, evidentemente, tra Ornella Muti e Naike Rivelli, che hanno appena girato un videoclip (non memorabile), nel quale la madre tenta di strangolare la figlia. Loro due appaiono una accanto all’altra in molte occasioni e, come usa dire in questi casi, sembrano sorelle.
Anche l’impegnatissima organizzatrice di eventi Tiziana Rocca balla con la maggiore dei suoi tre figli, Cristiana: «Succede però d’estate al mare, a Capodanno, alle feste organizzate da amici comuni. Insomma, quando non c’è la sua compagnia. Per i quindici anni, invece, ha voluto una festa senza adulti, ma io c’ero, eccome, nascosta in un angolo, pronta a intervenire in caso di necessità».
«Le madri che si mescolano con le figlie non sono da incoraggiare. La famiglia è fatta di posizioni ed è giusto che ognuno tenga la propria», avverte la psicologa Silvia Vegetti Finzi. E cita il caso di chi si iscrive all’università con la figlia, con l’idea di continuare a crescere insieme. «Sbagliatissimo. E infatti se è vero che sento tanti adulti dire di essere i migliori amici dei loro figli, non sento mai il contrario».

Più che altro le italiane sono capaci di spiare i propri ragazzi, pedinandoli quando escono la sera. Mentre resiste il modello dell’interrogatorio vecchio stile, magari non proprio con la lampada puntata, ma durante un innocente invito a casa. «Io faccio così», ammette Barbara De Rossi, che soltanto una volta è andata a vedere un concerto con Martina, oggi diciottenne, ma perché ai tempi era minorenne e non voleva che prendesse da sola il treno fino a Bologna per Justin Bieber.

Elena Sofia Ricci limita le condivisioni con Emma agli spettacoli teatrali. Scherza: «È difficile per lei trovare amiche con le quali andare all’Eliseo a vedere l’Antigone… Questa è la nostra passione in comune». Mamma amica? «Per carità, nessuna confusione tra i ruoli. Sono abbastanza ingombrante di mio, senza complicare le cose. Che vada da sola al Ponte Milvio, un girone dantesco dove è giusto che i ragazzi si facciano le ossa da soli».
Pure Evelina Christillin ha preferito circoscrivere le attività in comune allo sport, alle partite della Juventus e ai grandi viaggi. «Per il resto è meglio riservare certi tipi di confidenze a chi è della tua stessa generazione. Oggi Virginia mi ringrazia».
Ma poi siamo sicuri che in discoteca sono i figli a non volere i genitori e non viceversa? Chiude Alba Parietti: «Con Francesco non vado mai, altrimenti non mi posso divertire».

 

di Marina Boscaino

Nei circa 51mila istituti scolastici italiani si presenta una casistica di situazioni relative agli alunni molto differenti tra una scuola e l’altra e tra zone del territorio nazionale. Migrazioni, drammi sociali, affidamenti, disgrazie costituiscono da sempre eventualità che la scuola deve contemplare ed evitare di esasperare mediante sovraesposizioni che creino disparità e discriminazioni. La rappresentanza legale dei minori si configura sulla base di questo scenario eterogeneo, talvolta lontano anni luce dalla tradizionale iconografia familiare e familistica composta da un padre maschio e da una madre femmina. Da decenni, proprio in questa più o meno consapevole prospettiva, sui libretti delle assenze compare la dicitura “firma del/i genitore/i o di chi ne fa le veci”.
Appare dunque particolarmente curioso (e probabilmente strumentale) il clamore suscitato dalla decisione della dirigente scolastica di un liceo classico di Roma, il Mamiani, di introdurre nel libretto la dicitura Genitore 1 e Genitore 2. Reazione, peraltro, tardiva, considerando che il provvedimento risale a più di un anno fa. Forse in quella scuola in precedenza esisteva una modulistica che distingueva ruolo e sesso dei genitori, superata nella maggior parte delle scuole italiane. Il clamore è scarsamente comprensibile, soprattutto per il fatto che l’uso esclusivo del termine “genitore” (riproposto anche dal criticatissimo Liceo Mamiani) rappresenta in realtà – come si diceva – una interpretazione riduttiva dell’arco delle possibili forme di rappresentanza legale di un minore.

Il concetto familistico del nostro ordinamento – quello al quale con passione e veemenza degni di miglior causa si è appellato, tra gli altri, il non rimpianto sindaco Alemanno – non è affatto superato dalla dicitura del Mamiani: fino al raggiungimento della capacità giuridica piena, molte sono le figure – oltre ai genitori – che possono esercitare la rappresentanza legale di un minore. La sacrosanta possibilità di aprire un varco ad eventuali organizzazioni sociali alternative alla famiglia tradizionale, in particolare con coppie omosessuali, ma non solo, non è quindi particolarmente favorita, né tanto meno anticipata, da quanto è scritto sul libretto delle giustificazioni del liceo romano più di quanto non lo sia dalla dicitura in uso nella maggior parte delle scuole.

Sostituire il termine “genitore” con “rappresentante legale” potrebbe configurare soluzioni di ben altra portata “trasgressiva” rispetto alla tradizionale famiglia borghese che tanto fa accalorare non solo Alemanno, che per l’occasione si lancia in una lettura tutta personale della Costituzione: “Mi auguro che il Provveditorato agli studi intervenga immediatamente per correggere questa assurda iniziativa riportandola dentro l’alveo della Costituzione. Ricordo infatti a tutti i più illuminati progressisti, che in genere si atteggiano a grandi difensori della Costituzione della Repubblica italiana, che la nostra Carta fondativa parla esplicitamente di famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna finalizzata alla procreazione. Qualsiasi altra idea in merito non solo colpisce la nostra tradizione civile e religiosa, ma è contraria al nostro dettato costituzionale e quindi deve essere immediatamente corretta”.

Ma anche la capogruppo exPdl al Comune di Roma, Sveva Belviso, ci rassicura: “Per me e la stragrande parte degli italiani e dei romani le parole madre e padre sono intoccabili”. Per Federico Iadicicco e Fabio Rampelli di Fdi “annullare la denominazione padre e madre non è un fatto burocratico ma mina alle radici la struttura identitaria della persona”. Punti di vista, come quello della solita Binetti, che ha lanciato strali contro il Mamiani, colpevole – a suo dire – di mancato coinvolgimento di famiglie, studenti e docenti nella decisione. Così non è, come possono affermare rappresentanti di ciascuna di queste componenti.

Rassicurati da queste dichiarazioni di fervente conservatorismo da parte di esponenti di partiti e fazioni politiche che a più riprese hanno garantito – come è noto a tutti da tempo -condotte pubbliche irreprensibili, ci limitiamo ad osservare che – a quanto pare – per un po’ di visibilità (soprattutto in momenti critici, come quello dell’ex sindaco Alemanno) si farebbe qualsiasi cosa. Troppo rumore per nulla. Ma le incursioni improprie ed arbitrarie sono sempre pericolose e vanno seguite con attenzione.

Corriere della Sera
10 11 2013

I ragazzi oggi sono tormentati solo dalla vergogna di non avere fascino
(Gustavo Pietropolli Charmet)

di Paolo Conti

«Quando mi ritrovo davanti a genitori e ragazzi che si sono relazionalmente “persi”, la prima misura che adotto è aiutare padri e madri ad aggiornare il loro ruolo: smetterla di sentirsi genitori dell’infanzia e gestire la nuova, inevitabile, enorme distanza antropologica, culturale e relazionale che si crea con l’adolescenza. E bisogna mettere subito nel conto che se prima, nell’infanzia, il genitore arrivava sempre e comunque “prima” di qualsiasi avvenimento, nell’adolescenza è fatalmente destinato al “dopo”. Lì comincia per i ragazzi il lungo e faticoso viaggio verso il gruppo, la coppia, il collaudo della propria autonomia..».
Il professor Gustavo Pietropolli Charmet, psichiatra, psicoterapeuta dell’adolescenza, da trent’anni anima a Milano il Consultorio gratuito per adolescenti e genitori della cooperativa sociale «Minotauro». Quindi sa bene quanto sia complesso, come scriveva ieri il nostro vicedirettore Barbara Stefanelli nel suo editoriale, affrontare da genitori quell’«universo sconosciuto che è l’adolescenza inspiegabile» dei nostri giorni. I figli sembrano «stranieri, in casa».
Cosa può fare, professore, un genitore di fronte a ciò che può apparire un muro di silenzio?
«Prima di tutto non bisogna vivere il passaggio come se fosse una tragedia. Non c’è nulla di più accattivante che assistere alla fioritura adolescenziale di un figlio o di una figlia».
Però questo lavoro sembra sempre più duro e complicato. Proprio Barbara Stefanelli si chiede: «È stato così anche quando noi eravamo nella stanza del figlio?».

Qui il professore è molto netto: «Un genitore dei nostri giorni non può assolutamente ricorrere all’esperienza della propria adolescenza per affrontare il problema. È essenziale capirlo. Tutto è troppo, e rapidamente, cambiato per poter “lavorare” con quegli strumenti. Una giusta prospettiva educativa è, per i genitori, mettersi a cercare, a capire, senza presumere di sapere già. Cioè tentare di comprendere mode e culture. Anche proponendo domande dirette: “Ma quale valore attribuite all’abuso dell’alcol?”, per fare un esempio. E poi studiare, documentarsi, analizzare».
In questi giorni le cronache dei giornali sono pieni di storie angoscianti, prima tra tutte la prostituzione all’alba dell’adolescenza…
«Indubbiamente sono frange, anche se molti genitori vivono nel terrore che tutto questo possa accadere ai propri figli. Ed è normale. Bisogna partire da una premessa. La sessualità degli adolescenti è uscita dall’etica. Nessun genitore pensa che la verginità dei propri figli sia un valore da tutelare. Semmai si augurano che il loro incontro con la sessualità avvenga serenamente e senza senso di colpa, in ambiente protetto, persino in casa per senso di protezione. Però un adolescente di oggi non abbina necessariamente la sessualità alla costruzione di una relazione, di un amore, o allo stesso piacere»
Quindi di cosa si tratta?

«Può anche essere un semplice “collaudo” di se stessi e della corporeità. La verifica del proprio fascino, della capacità di sedurre. Insomma, del proprio potere. Ed è qui che deve concentrarsi il grosso lavoro educativo dei genitori e degli stessi insegnanti».
La domanda è sempre la stessa, ma inevitabile. Come può comportarsi un genitore?
«Mi ripeto, ma l’adulto deve studiare e capire. Per esempio sostituire alla vecchia morale sessuofobica una nuova etica affettiva. Oggi i ragazzi non vedono più i genitori come repressori. Non ne hanno più “paura”. Per parlare chiaro: vogliono un padre e una madre competenti e informati con cui discutere, per esempio, sull’uso delle sostanze stupefacenti senza che qualcuno si metta a urlare chiamando il medico o un’ambulanza. E bisognerebbe anche evitare che i ragazzi possano sentirsi deplorevoli agli occhi dei genitori. Quindi oggetto di sdegno, non più di punizioni. È quasi peggio».
Ma non si chiede troppo ai padri e alle madri di oggi?
«Un periodo di trasgressione, di sfida del limite, di fuga dall’autorità va gestito e messo nel conto».
Infine c’è il nodo della rete, della sessualità on line e degli incontri che magari si realizzano solo virtualmente…

«I genitori vedono la casa come un ambiente protetto. Invece, magari di là, nell’altra stanza, l’amata figlioletta si sta “prostituendo virtualmente” tra le quattro mura domestiche. È il frutto di una sottocultura prodotta dalla società fluida, dal narcisismo: abbiamo sostituito l’etica con l’estetica. Gli adolescenti di oggi quasi ignorano le angosce edipiche o la paura della castrazione. Conoscono solo la vergogna di non avere fascino. Infatti questo problema è alla base di tanti suicidi e di tanti disturbi alimentari. Ed è proprio qui che bisogna lavorare, puntando sulla “bellezza complessiva” della persona. Perché la vergogna di “non essere belli”, nell’universo degli adolescenti di oggi, purtroppo, è una bruttissima bestia… ».

 

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