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Il Medioriente degli scatti che inseguono la normalità

  • Giovedì, 02 Aprile 2015 08:51 ,
  • Pubblicato in Flash news

La Stampa
02 04 2015

C’è un Medioriente che rimbalza sui media internazionali attraverso immagini di guerra, città assediate, popolazioni in fuga, onde di giovani e libertari sognatori in apparenza condannate a infrangersi sulle mura delle caserme o delle moschee. Ma c’è un Medioriente meno rumoroso, più quotidiano, vitale nella sua routine al punto da non fare notizia. È il Medioriente che gli abitanti immortalano ogni giorno con gli smartphone, armi di costruzione di massa per una normalità su cui i social network appuntano il marchio unico dell’eccezione.

In Giordania, in Iraq, in Turchia, negli Emirati, in Tunisia, Instagram, sorta di variante fotografica di Facebook e Twitter, va per la maggiore. In Egitto la fashion blogger Farah Emara ne ha fatto la passerella per le sue creazioni accessoriate di turbante, in Libia i giovani che nel 2011 iniziarono la rivoluzione contro Gheddafi lo usano come finestra sulla loro resistenza quotidiana alla tragica dissoluzione del Paese.

C’è vita in Medioriente e a raccontarla ci pensa la mostra fotografica «Everyday Middleast», 80 scatti realizzati con il tablet che accompagnano la sesta edizione di Middle East Now (www.middleastnow.it), il festival internazionale di cinema, musica e cultura mediorientale che si svolge a Firenze dall’11 aprile al 10 maggio (la mostra è nella Galleria Etra Studio Tommasi).

Cercando la normalità
L’idea è un po’ quella dell’insostenibile e per questo salvifica leggerezza dell’essere, vale a dire come sopravvivere quando tutto complotta per sabotare la routine. I 25 fotografi di «Everyday Middleast», tra cui alcuni professionisti di fama internazionale, tratteggiano esistenze per nulla diverse dalle nostre nonostante in lontananza, alle spalle di chi scatta, si possa immaginare l’eco dei bombardamenti o l’esplosione di una autobomba.

In fondo è sempre stato così, la guerra e la violenza del terrorismo non hanno mai impedito agli uomini e alle donne di continuare a vivere. Ma oggi la possibilità che chiunque ha di fissare al volo il momento in cui i propri figli mangiano il gelato davanti a un commissariato di polizia del Cairo appena colpito da un attentato rende la normalità più forte della paura. Così, per esempio, l’immagine dei ragazzi e delle ragazze di Manama intorno ai tavolini del caffè Lilou descrive una gioventù viva che nel 2011, pur ignorata dal mondo, ha animato le piazze del Bahrein esattamente come facevano i coetanei dell’Egitto e della Tunisia.

Quando i media internazionali che 4 anni fa si sono innamorati delle primavere arabe si chiedono dove siano finite quelle società civili, la risposta è nella quotidianità, nel privato, nello spazio di libertà recuperabile dal presente.

Avanti, nonostante tutto
«I ragazzi sono molto più vivaci oggi che prima della rivoluzione del 2011, ma più che per l’attività politica usano il Web per fare attività sociale» ragiona un noto blogger egiziano in una Cairo in cui lo stridore di clacson e freni copre quello delle sirene della polizia in azione ad ogni allarme attentato (almeno quattro volte al giorno). Le due vigilesse in bianco della foto della mostra sono un po’ l’icona di un Paese che va avanti come se niente fosse, come se il traffico non strangolasse la città (rispettare il codice della strada era una delle massime della leggendaria piazza Tahrir), come se le divise potessero restare davvero immacolate in barba a un inquinamento senza eguali, come se le donne in mezzo alla strada non venissero sistematicamente molestate, come se fermare la realtà senza ritocchi e senza mediazioni la rendesse più fluida e godibile. Anche per noi, da qui, così lontani dal Mediterraneo e così vicini.

Francesca Paci

"Oltre le faide, povertà e mortalità infantile"

  • Venerdì, 27 Marzo 2015 09:27 ,
  • Pubblicato in Flash news
Il Fatto Quotidiano
27 03 2015

Alberto Angelici è presidente dell'Associazione Italia-Yemen, nonchè chirurgo e responsabile di un progetto di collaborazione sanitaria tra l'Università di Roma La Sapienza e l'ateneo di Sana'a.

Lo Yemen è il più povero dei paesi arabi e il suo sistema  sanitario, soprattutto nelle aree rurali, è primordiale.

"Povertà, malnutrizione e alta mortalità infantile sono tra le piaghe endemiche di questo Paese". La guerra potrebbe solo peggiorare le cose. ...

Huffington Post
13 03 2015

Bello calendar, il primo calendario al mondo realizzato dalle donne sfregiate con l'acido che non hanno rinunciato a combattere

Sonia Chowdhary voleva acquistare un cellulare e aveva chiesto aiuto al suo vicino di casa. A sua insaputa, Anurag gliene procurò uno rubato e glielo consegnò. Quando, qualche giorno dopo, la polizia si presentò a casa sua, Sonia raccontò la verità, e il ragazzo finì in prigione per una notte. Una volta uscito di lì, pretese da lei delle scuse ma Sonia si rifiutò. Tanta ostinazione le costò cinque litri di acido sul volto e il 55% della superficie del corpo sfigurata.

Chanchal e Sonam hanno anche loro il volto sfregiato dall'acido. In realtà, il bersaglio dell'aggressione era solo Chanchal, ma la sorte ha voluto che la sorella minore fosse con lei quando Anil, aiutato da un gruppo di altri uomini, decise di punirla per averlo respinto più volte. Dolly, invece, aveva solo 13 anni quando il suo vicino andò, come d'abitudine, a trovarla a casa. Fu la madre stessa ad aprirgli la porta, lui le aveva detto che aveva un regalo per la figlia: una bottiglia di acido da rovesciarle addosso per essere stato bruscamente respinto, alcuni mesi prima, dalla ragazzina di cui si era invaghito e che aveva continuato a frequentare da amico covando rancore e meditando vendetta.

Queste ragazze, sopravvissute alla violenza dei loro aguzzini, sono alcune protagoniste di "Bello Calendar", il calendario realizzato per il 2015 dall'associazione no-profit Chhanv Foundation, che si occupa della riabilitazione delle vittime di aggressione. Un tentativo per sensibilizzare il mondo su una realtà atroce, per ottenere maggiori tutele per tutte le donne. In India ogni settimana, cinque donne sono vittime di simili violenze. I casi all'anno sono oltre mille.

"Il nostro intento è mostrare che nonostante le ferite fisiche e morali, anche queste donne hanno dei sogni" racconta Rahul Saharan, uno dei fotografi che hanno preso parte al progetto "e dire loro che sono belle".

Il calendario fa parte della campagna "Stop Acid Attacks" e può essere acquistato online a partire dal 13 marzo.

Silvia De Santis

Io infiltrato dentro La Mecca

Faccio il fotografo e sono musulmano, o almeno così risulta la mia identità. Due buone ragioni per osare e sfidare ciò che è tassativamente vietato: fotografare la Sacra Moschea della Mecca. Se è difficile svolgere il mio lavoro in Arabia saudita, è pressocchè impossibile nel luogo più sacro dell'Islam. La polizia religiosa tollera al massimo i selfie con i cellulari, tentazione a cui pochi pellegrini riescono a resistere. Ma è inflessibile se si tratta di apparecchiature professionali. [...] Ci vuole una buona dose di coraggio, e anche un pò di incoscienza, per sfidare il proibito. Anche la convinzione di farlo per una buona causa: nel caso, mi sembrava importante raffigurare la meta finale di un viaggio che milioni di persone affrontano ogni anno per devozione.
Ziyah Gafic, l'Espresso ...

Usa, alta tensione a Ferguson

Corriere della Sera
12 03 2015

Alta tensione a Ferguson, in Missouri, dove due agenti sono stati feriti da alcuni colpi di arma da fuoco esplosi durante una manifestazione davanti al dipartimento di polizia. Immediatamente ricoverati in un ospedale della vicina St.Louis, le loro condizioni sarebbero «molto serie». Fonti della polizia hanno detto alla Cnn che i due non sono in pericolo di vita. Gli unici dettagli diffusi ufficialmente dalle autorità sono che uno degli agenti, di 32 anni, è stato colpito al viso e l’altro, 44 anni, a una spalla. Entrambe erano coscienti quando sono stati soccorsi e trasportati in ospedale con l’ambulanza.

Le dimissioni del capo della polizia
L’episodio è accaduto poco dopo la mezzanotte ora locale, poche ore dopo le dimissioni del capo della polizia di Ferguson, Thomas Jackson, chiesta a gran voce dalla comunità afroamericana dopo l’uccisione l’estate scorsa del giovane nero Michael Brown, freddato da alcuni colpi di pistola di un poliziotto nonostante fosse disarmato. Ne seguirono giorni di violenze e un’ondata di rabbia e indignazione in tutta l’America. Proprio in seguito alle dimissioni di Jackson una folla di persone si era radunata davanti alla sede del dipartimento di polizia di Ferguson per una protesta pacifica. Fino a quando qualcuno non ha aperto il fuoco colpendo i due agenti rimasti feriti. Scene di panico e confusione tra le persone in strada, ma per fortuna la situazione è rimasta sotto controllo. Non è chiaro da dove siano partiti gli spari, anche se alcuni testimoni parlano di colpi provenienti da una abitazione vicina.

Il rapporto e le accuse di razzismo
Quella del capo della polizia Jackson è stata l’ultima testa a cadere dopo il rapporto del Dipartimento di giustizia americano che - dopo mesi di indagini - ha accusato il dipartimento di polizia di Ferguson e altre istituzioni municipali di comportamenti razzisti, con la comunità afroamericana sistematicamente discriminata.

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