BUKAVU (Repubblica democratica del Congo) – “Le bambine che vengono accusate di stregoneria sono spesso figlie di ragazze madri o orfane di mamma che vivono con la nuova compagna del padre. L’accusa di stregoneria è spesso correlata a una disgrazia familiare: una morte, un incidente, un rovescio economico o una malattia che non guarisce. Ma basta anche che un vaso si rompa”: suor Natalina Isella spiega così l’origine dell’accusa di stregoneria che colpisce centinaia di bambine di Bukavu, nella Repubblica democratica del Congo. “Le famiglie le cacciano, e tu le ritrovi ai bordi delle strade, tra le bancarelle dei mercati, a prostituirsi”, spiega Enrico Selmi del Movimento lotta fame nel mondo (Mlfm, www.mlfm.it) che, da Lodi, sostiene a distanza l’opera di suor Natalina. Natalina è in Congo da oltre 35 anni: ha sempre vissuto in aperta campagna. Insegnava alle donne a tenere puliti i panni, a cucinare, a rispettare le sorgenti d’acqua, così importanti. Poi, a cavallo tra gli anni Novanta e il nuovo millennio si avvicinò alla città: il 1994 aveva raccontato il genocidio del Ruanda, anche il Congo non era più uno Paese sicuro. La guerriglia imperversava nelle campagne, le donne smisero di lavorare nei campi per paura di essere stuprate. Natalina arrivò a Bukavu, capoluogo della provincia del Sud Kivu. Nel 2001 aprì il centro di accoglienza Ek’ Bana (‘La casa delle bambine’): ai margini della società aveva incontrato le piccole accusate di essere streghe, aveva parlato con loro e le aveva convinte a seguirle.
Il centro, pensato per ospitare 9 bambine, negli anni ne ha accolte oltre 200. Solo oggi, fa da casa a più di 50 piccole donne (c’è solo un maschio, il fratello di una bimba da cui non ha voluto separarsi), ma ne segue un centinaio: “L’accusa di stregoneria è figlia della miseria – spiega Selmi –: muore una mucca, crolla la casa, e si pensa che sia la figlia a portare sfortuna. In realtà, il problema è che la si considera un’altra bocca da sfamare. Le femmine sono considerate molto meno utili dei maschi in termini di lavoro o di sussistenza familiare”. E se è vero che in Congo la magia nera fa parte della cultura tradizionale, è vero altresì che fino a una decina di anni fa l’accusa di stregoneria veniva rivolta solo agli adulti, mentre oggi riguarda anche le più piccole, che hanno come unica colpa l’essere venute al mondo in un periodo drammaticamente complesso. Dopo decenni di guerre sanguinose, la situazione è a tutt’oggi decisamente instabile.
Tra le piccole ospiti, c’è anche Riziki: “Quando aveva 12 anni, la sua famiglia attraversava un periodo buio: il nonno era sempre ammalato, e nel giro di poco è morto. Nel frattempo anche la mamma si sentiva spesso male e il fratellino di appena un anno era seriamente malnutrito, quindi molto malato, secondo la mentalità locale”, scrive suor Natalina. Tutte quelle preoccupazioni convinsero i genitori a interpellare la zia paterna. Ha portato Riziki dai santoni, per decretare ufficialmente che la causa di tutte le malattie della famiglia era la presenza di una strega: “Dopo l’accusa, la vita della bambina cambiò radicalmente: la sofferenza e la vergogna crescevano in maniera esponenziale, settimana dopo settimana. La voce si era poi diffusa velocemente nel villaggio: per strada veniva additata da tutti e ogni volta che usciva di casa era pubblicamente umiliata”. Poi, quasi smise di parlare, e le accuse si trasformarono in violenza fisica: “I suoi coetanei hanno cominciato a tirarle i sassi, obbligandola ad abbandonare la scuola per non subire ulteriori schernimenti”. Grazie all’intervento della polizia di protezione dei bambini, Riziki è stata così condotta al centro d’accoglienza Ek’ Bana: “Dopo i primi 3 mesi la bambina aveva ripreso la parola, cominciando a far uscire tutta la sofferenza e le umiliazioni che aveva dentro. Ascoltando tutti gli attori coinvolti in questa storia, abbiamo scoperto la vera causa dell’accusa: Riziki era solamente un capro espiatorio, vittima di una calcolata strategia da parte della zia per risolvere a suo favore la questione di ereditarietà tra parenti”.
Ek’ Bana si muove in due direzioni: da una parte, fa da casa alle bambine. Ci sono psicologhe che parlano tutti i dialetti della zona: lavorano con loro perché riacquistino fiducia in se stesse e negli altri, si convincano che l’accusa è falsa; insegnano che è giusto e, soprattutto, possibile, sperare in un nuovo percorso. Spesso infatti, sono le prime ad ammettere di essere streghe, nel tentativo di non essere picchiate e torturate. Al centro, invece, giocano, vanno a scuola, ricevono cure mediche adeguate. Imparano a cucire, cucinare e allevare gli animali. Dall’altra parte, il centro – gestito solo da congolesi, fatta eccezione per Natalina – si mette in contatto con le famiglie, perché capiscano che la figlia non è una strega, non è una disgrazia. Cercano di predisporre la famiglia a riaccogliere la bambina. Cosa che, laddove possibile, avviene: “Dopo un ciclo, che varia da persona a persona, e può durare 3, 4 anche 6 anni, la figlia ritorna a casa: torna con una macchina da cucire, con qualche coniglio o qualche capra. A quel punto non sarà più considerata una disgrazia, ma un dono”.
Presto in una zona degradata della città Natalina e Mlfm realizzeranno un foyer dedicato a tutte le ragazze per insegnar loro le basi dell’economia domestica. Due volontari del Mlfm sono attualmente in Congo per costruire una scuola: “Come movimento sosteniamo l’attività di Natalina con campagne di raccolta fondi e con supporto fisico. La aiutiamo nella gestione della biblioteca e del piccolo teatro del centro, costruito con scopi terapeutici”.
La Repubblica
02 06 2014
L'aggressione in un palazzo di Brooklyn. L'uomo, dopo aver attaccato i due bambini di 6 e 7 anni, si è dato alla fuga
NEW YORK - Un folle è entrato in ascensore con un coltello da macellaio e ha aggredito due bambini di 6 e 7 anni, colpendo a morte il più piccolo. E' accaduto a Brooklyn. L'uomo si è dato alla fuga mentre la bambina più grande, rimasta ferita, è stata portata in ospedale e dopo un intervento chirurgico è fuori pericolo.
Il sospetto sarebbe di corporatura robusta, avrebbe tra i venti e i trent'anni, ma, a quanto pare, non sarebbe parente delle vittime. L'allarme è stato lanciato intorno alle diciotto di oggi, ora locale. Il piccolo ucciso, Prince Joshua Avitto, è morto dopo una coltellata al petto. Inutile per lui la corsa in ospedale. L'aggressore, secondo quanto hanno riferito alcuni testimoni, sarebbe fuggito a piedi e avrebbe buttato l'arma, un coltello, a quanto pare già ritrovato dalla polizia.
La bambina di 7 anni, invece, Mikayla Caper, è ora ricoverata all'ospedale di Brookdale. Le sue condizioni sarebbero gravi, ma stabili. Secondo il racconto della piccola, che è stata già ascoltata dai poliziotti, l'uomo avrebbe aggredito lei e Prince dopo aver intimato loro di "tacere". Successivamente, avrebbe accoltellato il piccolo Prince, morto poco dopo, e, alla fine, anche lei. Che però, nonostante le ferite, sarebbe riuscita a fuggire dall'edificio.