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La Repubblica
30 03 2014

La metà dei condannati ha la pena sospesa e torna vicino alle vittime. 8 pedofili su dieci sono parenti e amici, il 31% delle mamme non crede ai racconti dei figli se accusano il padre. E gli esperti chiedono di cambiare la legge per difendere i bambini.

di CATERINA PASOLINI

Anna è stata violentata per anni dal padre sotto gli occhi della mamma che ha finto di non vedere, di non capire. E non le ha creduto neppure quando ha trovato il coraggio di parlare. Maria gli ha incubi tutte le notti da quando l'amico di famiglia l'ha obbligata per mesi a "giocare" con lui mentre Silvia non vuole più andare a catechismo e per settimane non ha trovato la voce per dire cosa le faceva il sacerdote, per raccontare l'indicibile.

Anna e altre, vittime quotidiane di pedofili, soprattutto di parenti (29%), aggredite da amici di famiglia, conoscenti e vicini di casa (39%). Da persone che avrebbero dovuto accudirle, proteggerle come insegnanti e religiosi (10%). Adulti che, nella metà dei casi, grazie al rito abbreviato e alla legge che lo prevede, hanno avuto condanne miti, due anni di media e soprattutto la pena sospesa. Uno su due fuori dal carcere (51,7%). Liberi di tornare alle loro case, vicino, accanto ai minorenni, agli adolescenti che li hanno denunciati vincendo minacce, paure, pressioni psicologiche e vergogna. E per i piccoli, ricomincia l'inferno. Con l'orco accanto.

A fotografare la drammatica situazione in cui vivono le vittime dei pedofili in Italia, Giuliana Olzai, esperta in statistica, che ha spulciato tre anni di carte e 180 processi e sentenze del tribunale di Roma che hanno visto 196 imputati accusati di violenze sessuali, il 77% condannati per abusi su 238 vittime, di cui 185 bambine e 53 maschi. Numeri, statistiche, storie e racconti agghiaccianti raccolti in un volume, "Abuso sessuale sui minori, scenati dinamiche e testimonianze", edizioni Antigone.

"Spero serva a far cambiare la legge. Ora si concedono i benefici di legge e la sospensione della pena con la presunzione che nel futuro il condannato si astenga dal ripetere le violenze, ma è un assurdo: quando vengono scoperte durano in media da un anno, se compiute ad una persona esterna alla famiglia, più di tre se è un parente che abusa". Così dice la studiosa e concorda il professor Luigi Cancrini, psichiatrata e psicoterapeuta. "Difficile pensare che non ripetano la violenza soprattutto contando che, nella maggior parte dei casi nulla a livello psicologico è cambiato, in Italia quello che manca è un adeguato intervento terapeutico. L'Europa ha addirittura fondi desinati alle cure per pedofili, eppure noi siamo tra i pochi paesi che non li hanno mai usati". In Italia infatti non è previsto, come accade invece in Francia per chi è accusato di abusi su minori, la possibilità di seguire un percorso di cura psicologica, un legame tra pena e riabilitazione.

Non solo, racconta la professoressa Olzai. Molto spesso a chi abusa, se compie atti diversi dallo stupro, viene riconosciuta l'attenuante speciale del caso di minor gravita. Così capita che un padre, un amico di famiglia che ha violato per anni e anni di un bambino o di una ragazzina abbia una condanna più mite di un molestatore di autobus".

E sono tanti. Perché l'orco purtroppo abita qui, accanto alle sue vittime, ha il volto che i bambini conoscono, amano. Dal quale non sanno difendersi quando li invita al "gioco", quando li minaccia obbligandoli al silenzio, Hanno media 9 anni quando subiscono la prima violenza, raccontano gli atti processuali, 11,3 quando scatta la denuncia. Ma questa è la media, guardando i singoli casi passano anche dai 5 ai dieci anni prima che la vittima trovi il coraggio di parlare, di denunciare parenti o amici di famiglia. Perché sono i processi a dirlo: il nemico è in casa, non è uno sconosciuto: il 14,3 abusato da genitore, il 14,7 da altro familiare, amico di famiglia 19,7 amico, conoscente 9,3 vicino di casa 10,5, insegnante, bidello, religioso, 10,1. Solo nel 19,7 % dei casi a compiere l'aggressione è uno sconosciuto.

E anche quando trova la forza di vincere minacce e vergogna troppo spesso non viene creduto. Soprattutto se l'aguzzino è un familiare. Il 31% delle madri non crede infatti al racconto di figli o bambine se accusano di violenza il padre o il suo compagno, mentre il piccolo trova fiducia nel 64% dei parenti e nel 90 % degli estranei.
TagsArgomenti:pedofilia

Nel modo assolutamente confuso e distorto in cui solo la disperazione può farci sentire, questa mamma ha potuto percepire, certo non pensare, che con quel gesto avrebbe sottratto le figlie alla disperazione presente e futura. Almeno loro non avrebbero vissuto quella infelicità che la possedeva tutta e nemmeno avrebbero vissuto il suo abbandono. Non sarebbero state donne sole e disperate, un giorno. È qualcosa che possiamo capire perché tutti conosciamo la paura. ...

"Ho sgozzato anche il bimbo, poteva parlare"

  • Giovedì, 06 Marzo 2014 09:21 ,
  • Pubblicato in Flash news

La Repubblica
06 03 2014

Ha ucciso per paura che la donna e il suo bambino di tre anni raccontassero le sue avance alla moglie incinta. «Ho perso la testa».Victor Hugo Menjivar Gomez, 37 anni del Salvador, irregolare, incensurato, barista nei fine settimana, ha confessato dopo cinque ore di interrogatorio davanti al procuratore aggiunto Alberto Nobili e al sostituto Gianluca Prisco. ...

Un'altra tragedia familiare con una vittima innocente. Un terribile omicidio accaduto nei giorni scorsi nel Cosentino che lascia sgomenti. ...
La procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio dei coniugi per il reato di maltrattamenti in famiglia. E i due rischiano anche di perdere la potestà dei figli

di Lavinia Di Gianvito

Di coppie che scoppiano, si sa, ce ne sono fin troppe. Così tante che non si contano. Ma che succede quando mamma e papà si insultano, si minacciano, talvolta si schiaffeggiano davanti ai pargoli? E se qualche ceffone finisce addirittura per colpire la prole?
Succede – può succedere – che entri in campo la giustizia. E che la dea con la bilancia, anziché dare ragione all’uno o all’altro, presenti il conto a entrambi.

È andata così in un’inchiesta della procura di Roma, dove il sostituto Vincenzo Barba (uno dei pm del caso Cucchi) ha chiesto il rinvio a giudizio di una coppia per maltrattamenti in famiglia. Il reato non è stato contestato per le angherie che il marito ha inflitto alla moglie e viceversa (qui sono altre le accuse per le quali i due rischiano il processo), ma per aver coinvolto le figlie, due bimbe di 7 e 9 anni, nel crollo del loro matrimonio.
In sé e per sé questa non è una novità, precisa il magistrato: da tempo la giurisprudenza considera vittime dei maltrattamenti i bambini costretti d assistere alle scenate fra genitori che non si amano più.
La differenza, spiega Barba, «è che non ho dato ragione a nessuno dei due. Il marito e la moglie si sono querelati a vicenda e ciascuno si aspettava l’archiviazione della propria posizione e la richiesta di rinvio a giudizio per il coniuge. Ma in questi contesti la colpa non sta mai da un parte sola».
Lo schema che si ripete più spesso – aguzzino e vittima – è stato dunque infranto. Anche se, sottolinea il pm, «in casi del genere un processo non può che aggravare la situazione».

Per questo prima di concludere le indagini la procura, insieme alla polizia, ha cercato di far rappacificare la coppia. Il tentativo è fallito e solo allora Barba ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio. «Ho voluto dare un segnale – sottolinea -. Non è accettabile che ognuno pensi di trovare soddisfazione nei confronti del coniuge senza tener conto del fatto che ci vanno di mezzo i figli».
A questo punto i genitori rischiano anche di perdere la potestà, poiché il sostituto ha inviato gli atti al tribunale dei minori.

Il guaio è che le bambine sono rimaste a vivere con la madre e il padre e probabilmente sono ancora costrette ad assistere alle scenate iniziate un anno fa, a Natale 2012.
La procura avrebbe potuto intervenire, ma Barba ha preferito coinvolgere i colleghi che si occupano dei minorenni «perché sono specializzati e hanno le figure professionali necessarie, dai sociologi agli psicologi».

Così però per le piccole l’inferno continua: c’è da chiedersi se la giustizia non abbia tempi troppo lunghi per tutelare davvero le vittime.

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