Gridiamo forte il nostro OXI Europeo

  • Lunedì, 03 Agosto 2015 07:31 ,
  • Pubblicato in Flash news
Global Project
03 08 2015

Da Atene a Bruxelles e Berlino il nostro NO è ovunque nelle piazze.

Il 13 luglio le oligarchie politiche e finanziarie europee hanno imposto, con il coltello alla gola, un programma per la Grecia che gli stessi economisti mainstream definiscono semplicemente "impossibile da applicare", anche secondo gli standard capitalistici.

Ma qual è stato il loro vero obiettivo? Volevano e dovevano dimostrare che non vi può essere alcuna alternativa praticabile al di fuori del campo di possibilità definito dalle loro politiche. Per raggiungerlo una loro fazione, guidata dal Finanzminister Schäuble, era ed è disposta a rendere reversibile persino il processo d’integrazione dell’Eurozona che queste stesse oligarchie avevano perseguito per decenni. Per colpire la Grecia, escludendola dalla moneta unica, in modo da vendicare il delitto di "lesa maestà" compiuto, punendo chi ha osato alzare la testa, e per educare tutti gli altri, in particolare le moltitudini del Sud, dell’Est e del Nord Europa, che potrebbero avere l’insana tentazione di mettere in discussione il regime dell’austerità, nelle piazze e nelle urne.

A niente e nessuno può essere consentito di destabilizzare lo "status quo" creato negli ultimi cinque anni dalla Große Koalition continentale. E ciò significa: più tagli alla spesa sociale per il welfare, più precarizzazione strutturale del mercato del lavoro e delle condizioni di vita, più privatizzazioni di servizi pubblici e beni comuni, un ulteriore riorientamento dei flussi di valore a favore della rendita finanziaria, crescita dell'impoverimento di massa e ulteriore concentrazione della ricchezza socialmente prodotta verso l'alto e verso i pochi al vertice. In Grecia e in tutta Europa. In questo modo l’attuale crisi non viene affatto risolta, ma intensificata e differite nel tempo le sue conseguenze.

Ma questo non ha importanza per i Signori dei governi di tutta Europa che, nella "notte della vergogna", si sono seduti al tavolo di Bruxelles. Per loro era fondamentale riaffermare il proprio dominio, esibire il proprio comando attraverso l'esercizio della nuda forza, dimostrare, attraverso l’utilizzo degli strumenti della minaccia e del ricatto, che non vi è alcuna possibilità di sfuggire alla cornice del regime della crisi. Milioni di persone lo hanno capito immediatamente, diffondendo ovunque il grido #ThisIsaCoup. È per queste ragioni che chiediamo a tutti di concentrare i propri sforzi sull'analisi delle mosse dei nostri nemici e sulla ricerca di armi più efficaci per combatterli. Non abbiamo affatto bisogno di restare spettatori di uno spettacolo messo in scena da altri, comodamente seduti ad accusare di "ingenuità", "resa" o "tradimento" coloro che sono dalla nostra parte. Dobbiamo invece sviluppare le nostre strategie, prepare piani, per accumulare ed esercitare forza.

Per molti commentatori gli eventi greci ed europei dell'ultimo mese pongono essenzialmente una questione di democrazia. Vogliamo essere chiari: crediamo che, anche nel suo temporaneo e provvisorio epilogo, emerga invece e soprattutto il problema dei rapporti sociali di forza, che significa la consistenza e le forme in cui si sviluppa, qui e ora in Europa, la lotta tra le classi, tra sfruttatori e sfruttati. Un rapporto di forza che è oggi drammaticamente sbilanciato a favore dei primi. Ribaltarlo dovrebbe essere il nostro principale obiettivo. Perciò siamo interessati alla "questione democratica" nella misura in cui la democrazia non sia considerata un astratto ideale, ma un'arma nelle mani dei molti. Inoltre, quando si è affermato che l’Eurozona è costituita da diciannove paesi e non da uno solo, la democrazia è stata recintata come un insieme di procedure formalistiche, confinate in una stretta dimensione nazionale che noi rifiutiamo.

Il che dimostra il carattere sistematico di una strategia finalizzata a mettere gli uni contro gli altri lavoratori e pensionati in tutta Europa, imponendo logiche nazionali su questioni sociali quali salari, welfare e privatizzazioni. Ma le misure di austerità, i tagli, le privatizzazioni e la precarizzazione di vita e lavoro vengono imposte in tutta Europa, mentre i padroni, le imprese e le banche continuano ad accumulare enormi ricchezze. Ciò significa che gli interessi dei lavoratori e dei pensionati greci sono anche i nostri.

In questo senso il "waterboarding sociale" di un intero paese non può cancellare il fatto storico del potente OXI pronunciato il 3 luglio scorso in piazza Syntagma, nei risultati di referendum del 5 luglio, nelle speranze e nelle energie suscitate in tutta Europa fino a produrre una ri-politicizzazione di massa nel dibattito dell'opinione pubblica, nelle molteplici forme di resistenza e auto-organizzazione, cooperazione e lotta che da allora hanno continuato a svilupparsi. Ciò significa che il nostro NO potrebbe essere più forte di qualsiasi loro ricatto.

Il nostro OXI può essere più forte se sapremo riprodurlo in tutte le lingue europee. Il braccio di ferro tra la Grecia e le Istituzioni europee ha dimostrato una volta di più che non vi è alcuna possibilità di rovesciare gli attuali rapporti di forza se restiamo isolati nei singoli spazi politici nazionali. Che gli "estremisti di centro" al governo a Berlino come a Bruxelles sono i principali istigatori della crescita fetente di ogni possibile revanscismo e nazionalismo. Che la lotta contro un regime continentale di oppressione può essere condotta in termini efficaci, solo se essa è immediatamente transnazionale a livello europeo. E se, su questa scala, si dimostrerà capace di riattraversare tutte le nostre condizioni di omogeneità ed eterogeneità, territoriali e sociali, che sono state finora utilizzate per dividerci e batterci. Dobbiamo essere in grado di costruire un processo aperto fatto di continue connessioni tra una pluralità di lotte sociali locali, la costruzione quotidiana di alternative e momenti d’iniziativa transnazionale in cui colpire i nostri nemici, attraverso la pratica della disobbedienza civile e sociale di massa alle loro norme autoritarie.

L’ OXI di Piazza Syntagma ad Atene non è affatto morto. Come non è morto a Puerta del Sol o a Lisbona. Né quello pronunciato da Blockupy a Francoforte. Nessun compromesso raggiunto grazie al ricatto può distruggerlo, se lo assumiamo e lo trasformiamo nel nostro OXI europeo, diffondendolo in molti luoghi, diversi fra loro, praticandolo in tutte le nostre lotte e in ogni momento della nostra vita quotidiana. Perché il nostro NO è allo stesso tempo un chiaro SÌ ad una Europa radicalmente diversa, che non ha nulla a che fare con l'Europa putrescente delle oligarchie al potere, ma che deve essere completamente ricostruita dal basso.

Abbiamo l'occasione di trasformare l’OXI in una potente arma politica intensificando le nostre lotte, riconoscendo ciò che abbiamo in comune e i nostri comuni nemici, riempiendo questo NO con quei concreti bisogni che possono risuonare da un luogo a un altro, da una lotta a un altra. Contro il continuo tentativo di mettere i lavoratori e le persone gli uni contro gli altri, abbiamo bisogno di rovesciare le gerarchie e rendere le differenze di salari, pensioni e welfare in tutta Europa un nuovo campo di battaglia transnazionale. In questa prospettiva idee e proposte per un salario minimo europeo, per un reddito di base europeo, per un comune welfare europeo e contro ogni forma di razzismo istituzionale dovrebbero circolare ed essere discusse.

Che fare ora? Innanzitutto dobbiamo sviluppare un percorso a medio termine, forte e visibile, che faccia sentire la nostra voce comune in faccia ai nostri nemici, quando e dove si incontreranno. Dopo il successo della giornata di lotta del 18 marzo a Francoforte, il prossimo grande Blockupy, le prossime grandi mobilitazioni europee contro i “quartier generali” delle oligarchie, sono in arrivo: dal 15 al 17 Ottobre a Bruxelles circonderemo il vertice del Consiglio europeo, in cui i capi di governo metteranno nuovamente a punto le loro politiche di miseria e di razzismo; il prossimo Maggio a Berlino, capitale dell’”Europa tedesca”, nel centro del potere esecutivo del regime dell’austerità e, al tempo stesso, città delle molteplici resistenze e alternative sociali. Queste sono le tappe principali della nostra "one year march" per la libertà, la democrazia e l'uguaglianza in Europa. Queste sono le diverse modalità con cui "voteremo con i piedi", nelle strade e nelle piazze, per il nostro OXI continentale. Con le quali, dal basso, rimetteremo coi piedi per terra la decisione politica costituente per un'altra Europa.

Tra le numerose iniziative, il processo del Transnational Strike organizzerà il suo primo incontro a Poznan (Polonia) dal 2 al 4 ottobre. Sarà un passaggioo importante per la reinvenzione dell'efficacia sociale dello sciopero, come strumento pratico del nostro OXI.

Ma ora siamo interessati più a una proposta per agire assieme, che all’appello per una prossima manifestazione. Vogliamo diffondere l’OXI. Vogliamo che tutte le iniziative e le lotte che si svolgono in Europa, in ogni ambito della vita sociale, riprendano questo NO. Vogliamo farlo nostro e gridarlo in mille forme diverse. Si tratta di un obiettivo a lungo termine, ma che dobbiamo assumere oggi. La provvisoria sconfitta dell’insorgenza greca, che è una sconfitta di tutti noi, ha inequivocabilmente documentato una volta di più quale sia lo stato dei rapporti di forza nel capitalismo europeo. Tuttavia ha anche dimostrato che il loro potere può essere oggi garantito solo in termini autoritari. Perciò questa situazione rivela anche tutti i limiti e le contraddizioni del loro dominio. E apre innumerevoli possibilità di lotta. Ancora una volta, se vogliono imporre un "capitalismo senza democrazia", il desiderio di una "democrazia senza capitalismo" può essere nutrito. La mossa autoritaria può rivelarsi una vittoria di Pirro per l’"Europa tedesca". Dobbiamo quindi essere capaci di sviluppare ed esprimere ciò che abbiamo in comune, la nostra solidarietà e la nostra forza in questo OXI.

Il 13 luglio le oligarchie politiche e finanziarie europee hanno provato a ripetere quell’oscena previsione che, più d’ogni altra, vorrebbero s’avverasse: "La Fine della Storia". Ma abbiamo imparato molto tempo fa che non ci sono vittorie e ancor meno sconfitte che siano definitive. Che la storia non finisce mai. Certo non a Bruxelles. E che i giochi sono ancora del tutto aperti. In ogni possibile direzione. “Chi lotta può perdere. Chi non lotta ha già perso” ha detto qualcuno da qualche parte un po’ di tempo fa. Aveva ragione. Che la storia non finisca, dipende da noi. E noi continueremo a lottare.

Blockupy International

La Germania non è un modello da seguire

Internazionale
27 07 2015

“Il sud Europa deve essere più tedesco?”. La domanda, posta dallo Spiegel nel 2012, ritorna oggi, dopo che la chiusura delle trattative greche ha restituito un mix di riforme e austerità ispirato al cosiddetto consenso Berlino-Washington e un piano di privatizzazioni ritagliato sull’esperienza della riunificazione tedesca. Guidata, alla fine degli anni ottanta, dall’attuale ministro delle finanze di Berlino e dominus delle trattative europee, Wolfgang Schäuble.

Per molti, compreso il premier italiano Matteo Renzi, la risposta è sì. Considerata alla fine degli anni novanta “la malata d’Europa”, da quel momento la Germania non conosce crisi. La sua economia è cresciuta del 10 per cento tra il 2009 e il 2014. Il tasso di disoccupazione è al 4,7 per cento, quello giovanile al 7,1.

L’export supera l’import di circa 300 miliardi di euro all’anno, per un surplus commerciale pari al record dell’8,4 per cento del prodotto interno lordo (pil). Il governo ha ottenuto il pareggio assoluto di bilancio e prevede di abbattere il rapporto debito/pil al 60 per cento entro il 2020.

Un sistema dell’istruzione non competitivo

Eppure, da quindici anni l’economia tedesca ha smesso di investire a tassi accettabili, ipotecando negativamente il suo futuro. All’appello mancano 103 miliardi all’anno, necessari per mantenere stabile lo stock di capitale dell’industria.

Le imprese hanno 500 miliardi chiusi in cassaforte, così l’investimento privato è scesodal 21 per cento del 2000 al 17 per cento del 2013. I governi hanno la loro parte di responsabilità. Nonostante bassi tassi d’interesse sui titoli di stato, che rendono conveniente prendere a prestito, gli investimenti pubblici sono al 2 per cento del pil e servirebbero dieci miliardi in più all’anno per mantenere agibili le infrastrutture in futuro.

La Germania tra cinque anni avrà bisogno di 1,7 milioni di immigrati

Anche il sistema dell’istruzione è colpito dal “divario di investimento”. Le università tedesche non riescono a competere con i migliori atenei al livello globale e rimangono indietro nelle classifiche internazionali. Solo un terzo delle persone tra i 30 e i 34 anni è laureato, una quota inferiore alla media Ocse.

Tutto ciò contribuisce al ritardo del paese nella corsa all’innovazione. Decima nell’Unione europea per livello di digitalizzazione, nel settore la Germania non sforna concorrenti al livello globale dalla fondazione della Sap) nel 1972. Ora che l’information technology aumenta il suo peso nell’industria tradizionale, compresa quella automobilistica, il timore è che questo possa diventare il tallone d’Achille della competitività tedesca.

Ma, quando il governo ha tentato di incoraggiare le iscrizioni all’università, ha generato le resistenze delle imprese manifatturiere, preoccupate dal declino delle immatricolazioni al sistema apprendistato, che oggi rappresenta il principale canale di passaggio scuola-lavoro.

Un paese sempre più anziano

La coperta, d’altro canto, è corta: la fertilità tedesca è la più bassa del mondo, con otto neonati ogni mille abitanti. Nel 2035, le persone di più di 65 anni saranno 24 milioni, con un aumento del 50 per cento. Entro il 2100, ci saranno 25 milioni di tedeschi in meno e la Germania avràcessato di essere la superpotenza demografica d’Europa.

A Lohberg, periferia nord di Dinslaken, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, il 28 gennaio 2015. - Dominik Asbach, Laif/Contrasto A Lohberg, periferia nord di Dinslaken, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, il 28 gennaio 2015. (Dominik Asbach, Laif/Contrasto)
La soluzione, rappresentata fino a questo momento da un vero e proprio boom dell’immigrazione (400mila migranti netti nel solo 2012), è osteggiata in maniera crescente dalla politica, pronta ad alzare barriere anche per chi arriva dagli altri paesi dell’Unione. Eppure, la Germania nel 2020 avrà bisogno di 1,7 milioni di immigrati e, senza un mercato del lavoro in salute, non potrà mantenere a lungo la sua posizione di preminenza economica.

Aiutata dall’euro, Berlino ha potuto esportare verso il resto del mondo quando l’Europa è entrata in crisi

Le riforme Hartz, concluse dai socialdemocratici nel 2005, sono spesso indicate come la ragione del crollo della disoccupazione. In realtà, l’aumento della competitività tedesca è stato generato da una drastica “moderazione salariale”, interrotta solo negli ultimi anni: prima della grande recessione, gli stipendi sono cresciuti meno della produttività, abbassando i costi di produzione e i prezzi dei prodotti.

Questo è stato permesso dalla struttura di contrattazione tra imprese e sindacati più che dalle riforme, che pure hanno contribuito all’abbattimento del potere contrattuale dei lavoratori attraverso una diminuzione dei sussidi di disoccupazione e la creazione di una sacca da cinque milioni di “impiegati marginali” grazie ai cosiddetti minilavori.

L’effetto aggregato è stato l’abbattimento della “quota lavoro” sul reddito nazionale e un aumento della disuguaglianza nella ricchezza fino ai livelli più alti dell’area euro. Oggi, i poveri sono 12,5 milioni – la quota più elevata dalla riunificazione del paese.

Il sistema bancario peggiore del mondo

Aiutata dall’euro, che rende i suoi prodotti più convenienti, la Germania ha potuto esportare verso il resto del mondo (Asia in testa) quando l’Europa è entrata in crisi. Prima di quel momento, il boom dell’export verso i partner del vecchio continente era stato spinto da un intreccio di relazioni finanziarie che faceva perno sul sistema bancario tedesco.

“Uno dei peggiori al mondo”,secondo l’analista Paul Gambles. La scarsa capitalizzazione delle banche, compresa la Deutsche Bank, lascia il sistema vulnerabile a potenziali crolli.

Circa la metà delle piccole banche europee, lasciate fuori dalla supervisione della Bce, si trova proprioin Germania. Si tratta di banche regionali e municipali con un rapporto in molti casi di dipendenza dalla politica. Queste hanno in pancia debiti garantiti dallo stato pari al 145 per cento del pil tedesco, debiti che in futuro potrebbero finire per pesare sul bilancio pubblico.

Questa implicita garanzia di salvataggio ha spinto le banche a comportamenti azzardati per tutti gli anni 2000. Prestando denaro ai paesi periferici a rischio in cerca di facili ritorni, le banche hanno generato un flusso di capitali in grado di alimentare i deficit commerciali dei paesi del Mediterraneo, che riutilizzavano il denaro per comprare beni e servizi tedeschi, stimolando il boom della Germania mentre accumulavano squilibri insostenibili.

L’attacco dell’uomo Bce

Nel 2010, quando il castello di carte è crollato, l’Europa si è affrettata a salvare il sistema bancario trasferendo le potenziali perdite dal bilancio delle banche a quello dell’eurozona nel suo complesso attraverso il sistema Target2.

Beeck, nel distretto di Duisburg, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, il 25 novembre 2014. - Oliver Tjaden, Laif/Contrasto Beeck, nel distretto di Duisburg, nella Renania Settentrionale-Vestfalia, il 25 novembre 2014. (Oliver Tjaden, Laif/Contrasto)
La stoccata più dura è arrivata nelle scorse settimane da Yves Mersch, uomo della Bce, durante l’assemblea annuale della DZ Bank, quarto gruppo bancario del paese.

Un’economia che non ha abbastanza lavoratori qualificati e che non ristruttura ponti e strade consuma la sua ricchezza e non è credibile quando afferma di voler crescere in maniera dinamica e sostenibile. Una società in cui gli ottantenni aumenteranno del 50 per cento nei prossimi quindici anni rischia di perdere la sua volontà di riformare e di integrare. Questo crea una tendenza a proteggere i diritti acquisiti e a sposare il conservatorismo di una società chiusa. Per questo i governi non dovrebbero solo richiedere riforme altrove ma innanzitutto attuarle nel proprio paese

A Berlino, che secondo le classifiche Ocse negli anni di Angela Merkel è caduta al 28º posto su 34 per propensione alle riforme, saranno fischiate molte orecchie.

I problemi sottolineati da Mersch non sono solamente tedeschi. Ma la soluzione del “consenso Berlino-Washington”, la medicina amara fatta trangugiare a Tsipras, equivale alla richiesta di barattare stabilità domestica con competitività estera.

Il modello è quello di un’eurozona con crescenti disuguaglianze, ampie sacche di disoccupazione soprattutto al sud e salari moderati con il solo scopo di aumentare l’export. Un’idea neomercantilista dell’economia che rischia di porre una pressione recessiva su tutta l’economia globale, dando nello stesso tempo fiato a elementi di destabilizzazione interna al continente.

Quello tedesco non è un modello da seguire.

Nicolò Cavalli, ricercatore e giornalista 


La Repubblica
27 07 2015

I due economisti dichiaratamente di sinistra hanno gettato le basi per un movimento politico che attraversa il Vecchio continente. Dal blog del vulcanico ex ministro ellenico hanno lanciato la sfida all'austerità tedesca e raccolto l'appoggio del premio Nobel, Stiglitz. Ma anche Tremonti e Savona, che di sinistra non sono, hanno fatto sentire la loro voce, in accordo con l'impostazione di Varoufakis e Dsk. Che ora cercano appoggi politici in giro per la Ue, ma devono dare una chiara risposta alla madre delle questioni: che ne sarà dell'euro?

Ormai sono considerati una coppia, ideologicamente e professionalmente parlando. Yanis Varoufakis e Dominique Strauss-Kahn, due economisti dichiaratamente di sinistra trasformatisi in rappresentanti politici al massimo livello, infine entrambi caduti dalle stelle alla polvere (per motivi totalmente diversi) ma con una gran voglia di riemergere, sono l'anima di un nuovo movimento transeuropeo che è la novità del momento. Un movimento politico, o forse per ora soltanto d'opinione, con dogmi e avversari chiarissimi: il dogma è l’attenzione alle sofferenze della povera gente, gli avversari sono i politici del mainstream attuale d'ispirazione tedesca, vincolati alla regola del rigore a tutti i costi.

Varoufakis ci si è giocato il posto da ministro delle Finanze: aveva votato "No" al referendum che chiedeva ai greci se avrebbero accettato un ennesimo programma di austerity (ulteriori tagli agli stipendi, privatizzazioni forzate a raffica, riforma delle pensioni penalizzante e inchiodata sui 67 anni inderogabili come età pensionabile, aumenti dell’Iva e di tutte le tasse), e visto che malgrado la vittoria del "No" il premier Tsipras gli ha fatto capire che sarebbe andato a Bruxelles a negoziare un accordo verosimilmente destinato ad essere ancora peggiore di quello respinto dal popolo, ha inforcato la sua Harley-Davidson e se n'è andato a casa. Forse non è un caso, ma pochi giorni dopo Tsipras ha apposto la sua firma a un documento decisamente peggiorativo rispetto a quello originario (quello oggetto del referendum): misteri della politica, ma per Varoufakis era troppo. Ha votato "No" alla prima votazione alla Camera sul pacchetto delle leggi di applicazione dell'accordo, ha votato "Sì" al secondo ma solo perché erano riforme minori (tipo il codice di procedura civile) e ora ha assicurato che voterà "No" al terzo pacchetto, quello più drammatico perché conterrà pensioni, privatizzazioni, addirittura rientro dei provvedimenti di sollievo da alcune vessazioni a carico del popolo che erano state varate da Syriza nella prima metà di quest’anno e che la troika respinge.

Quanto a Strauss-Kahn, era qualche tempo che stava preparando il rientro, almeno da quando nell’aprile scorso la corte di Lille lo aveva dichiarato estraneo alle accuse di sfruttamento della prostituzione (il tribunale di New York già da tempo l’aveva assolto dall’infamante accusa di violenza sessuale ai danni di una cameriera, alla quale peraltro ha corrisposto privatamente una lauta cifra di indennizzo). Insomma, mancava l’occasione e ora è giunta. Ha preso il computer e ha scritto, poco meno di una settimana fa, una lettera che Varoufakis ha pubblicato sul suo blog: "Cari amici tedeschi, un'Europa in cui voi dettate le leggi con un gruppetto di Paesi nordici e baltici al seguito, è inaccettabile per tutti gli altri.

Voi contate i vostri miliardi – scrive DSK ai tedeschi – anziché usarli per aiutare chi sta peggio di voi, rifiutate di accettare una peraltro scontata riduzione dei crediti, mettere il risentimento davanti ai progetti per il futuro, voltate le spalle a quello che l’Europa dovrebbe essere, cioè una comunità solidale, a rischio che il castello vi crolli addosso". Insomma un j'accuse senza precedenti, dove Strauss-Kahn ha investito tutta la sua preparazione politica da socialista autentico e anche quell'arte retorica che tutti gli hanno sempre riconosciuto. Dato che non è un "collaboratore" qualsiasi al blog, Varoufakis ha lanciato un messaggio preciso: sto preparando una formazione a sinistra di Syriza, e ho un forte alleato in Francia. Dall'America gli aveva già fatto sentire tutta la sua stima Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia e suo amico personale, a sua volta protagonista di un'acerrima campagna contro il rigore tedesco. "Non è così che si risana un Paese, anzi lo si affossa direttamente, questa è mancanza di umanità", aveva detto pochi giorni fa a chi scrive queste righe in un'intervista.

E così arriviamo all'ultimo week-end, quando a sorpresa Varoufakis ha pubblicato sempre sul blog una lettera proveniente da Giulio Tremonti, il non dimenticato ministro dell'Economia ai tempi di Berlusconi che aveva presieduto (non senza incertezze) al lancio dell'euro, e da Paolo Savona, un altro rispettato economista che era stato a sua volta ministro del Bilancio in un lontano governo tecnico. La lettera è indirizzata a tutti e due insieme: "Caro Yanis, Caro Dominique", inizia. E poi l'espressione anche in questo caso del più profondo disaccordo con le ricette tedesche di austerity ("la vita non è solo un differenziale di tassi d’interesse"), e un finale sconfortante: "Quattro fattori sono stati devastanti per l’economia europea: la globalizzazione, l'allargamento dell’area Ue e dell’euro, la crisi e l’euro". Caro Yanis, caro Dominique, continua la lettera: "E’ tempo di riconoscere che nella costruzione europea sono stati fatti degli errori. Abbiamo unito quello che non c'era bisogno di unire come le dimensioni delle zucchine, e non abbiamo unito quello che invece andava unito come la difesa". La carenza di istituzioni forti, è il messaggio, ha impedito di sostenere crisi come quella greca. "Occorre pensare a una nuova via e quella cominciare a percorrerla con decisionie".

Il fatto che a suggerire la "nuova via" siano due economisti che di sinistra non sono certo, ma che dicono cose da loro condivise, ha indotto Varoufakis e Strauss-Kahn a riflettere sulla connotazione politica del nuovo movimento paneuropeo. Che è a un punto di svolta decisivo, e soprattutto deve rispondere a una domanda: vuole o no la permanenza nell’euro. Secondo il settimanale Spiegel i due avrebbero preso addirittura contatti con Marine Le Pen, circostanza per la verità smentita con tale forza che il settimanale ha dovuto rimuovere dal suo sito la notizia (il tutto è successo sabato sera), ma non è chiaro se il mancato contatto avrebbe significato scivolare su una deriva politica incontrollabile oppure semplicemente affiancarsi ad una militante troppo anti-euro. Così come eccessivamente sbilanciati contro la moneta unica sono gli italiani 5 stelle, con i quali pure i contatti ci sono e continuano.

L'ultimo adepto è stato pescato proprio in Germania, è Oskar Lafontaine, stagionato ma vigoroso leader della formazione di sinistra Linke dopo essere stato negli anni '80 e '90 esponente di primo piano dei socialdemocratici della Spd, di cui era stato anche presidente. Anche lui sull'euro ha una posizione quantomeno ambigua. "Il capitalismo finanziario ha fallito, dobbiamo democratizzare l’economia", sostiene. Già, ma l’euro? Questa è la risposta chiave che la formazione politica che sta prendendo corpo in queste settimane dovrà dare.

La Repubblica
15 07 2015

Il governo presenta al parlamento il primo progetto di riforme: "L'accordo farà dimenticare la parola Grexit, europei vendicativi". Il sindacato Aedy invita gli iscritti a scioperare domani per 24 ore. Si allarga il fronte interno per il premier. Salta una rata da 450 milioni di rimborso al Fmi, che in un report chiede misure molto più drastiche di supporto. Schaeuble pensa ai 'pagherò' per finanziare il prestito ponte. L'età pensionabile sarà elevata a 67 anni.

Alexis Tsipras è sempre più stretto tra le pressioni politiche interne e quelle di piazza. Il premier greco che ha firmato l'accordo con i creditori Ue per un piano da 86 miliardi di aiuti in cambio di pesanti riforme, si ritrova il partito spaccato, con la fronda più radicale fortemente contraria all'intesa, e anche il partito di governo Anel (di destra) ha forti perplessità sul fornire il suo supporto. Il banco di prova sarà il progetto di legge sulle prime riforme previste dal nuovo piano di salvataggio firmato due giorni fa a Bruxelles e che Il governo greco ha sottoposto al Parlamento. Il provvedimento è intitolato "Misure urgenti per la negoziazione e la conclusione di un accordo con l'Esm" e non comprende la revisione delle baby pensioni sulla quale si deve esprimere la Corte Costituzionale. E' una manovra - scrive Kathimerini nella versione online - da complessivi 3,175 miliardi di euro tra nuove tasse e risparmi di spesa. Saltano a partire da ottobre i privilegi fiscali per le isole principali, mentre per le più piccole si dovrà attendere ancora un anno.

In una intervista rilasciata alla tv pubblica Ert, Tsipras ha ribadito la sua fiducia nel nuovo accordo, "un accordo duro che però non porta ad un'impasse e può fare uscire la Grecia dalla crisi. Farà dimenticare la parola Grexit ed è migliore di quello del 25 giugno scorso". "Il modo in cui è stato visto il referendum" in Grecia "non onora l'Europa", ha aggiunto il leader greco, "ho spiegato al popolo perché stavamo andando al referendum. Potete accusarmi di essermi fatto delle illusioni sul fatto che in Europa avrei vinto io, ma non potete dire che io abbia detto menzogne ai greci".

Tsipras ha poi parlato delle nuove strategie: "Non tagliamo stipendi e pensioni. L'aumento dell'Iva è preferibile piuttosto che tagliare stipendi e pensioni". Tsipras conferma che l'età pensionabile sarà elevata a 67 anni. "Non è normale - dice Tsipras - andare in pensione a 45 anni". Il premier ha anche escluso l'ipotesi delle dimissioni: "Non lascerò il Paese nella catastrofe". Il premier greco ha anche criticato l'atteggiamento dei partner europei: "Quando ho fatto il referendum ero convinto che gli europei ci avrebbero dato un pò di tempo. Non sono stati molto buoni, sono stati un pò vendicativi". E non ha esitato a rispondere alle accuse di Varoufakis: "Yanis Varoufakis ha commesso evidenti errori durante il negoziato benché al principio è stato capace d'imprimere un buon ritmo: mi assumo la responsabilità. Essere un eccellente studioso - ha aggiunto - non significa necessariamente essere un buon politico". Infine, Tsipras ha parlato degli "alleati" europei: "Durante l'Eurosummit ho avuto l'appoggio di Francia, Italia e Cipro".

I numeri. Sono previste maggiori entrate per 2,390 mld (di cui 794 milioni nel 2015) dai cambiamenti nel regime Iva. In particolare è previsto che l'Iva per gli alberghi e le strutture ricettive salga dal 6,5% al 13%. La tassa sugli utili societari passerebbe dal 26% al 29%. La tassa sulle imbarcazioni oltre i 5 metri di lunghezza, sugli aerei privati, sulle auto di lusso (oltre 2.500 cc), ma anche sulla proprietà di piscine passerebbe già per il 2015 dall'attuale 10% al 13%. Sono previsti aumenti dei 'contributi di solidarietà' con aumenti progressivi da imporre sui redditi al di sopra dei 30mila euro annui: del 2% fino a 50mila euro, del 4% fino a 100mila euro, del 6% fino a 500mila euro e dell'8% oltre i 500mila euro.

Per gli stipendi di tutte le cariche pubbliche, dal Presidente della Repubblica fino ai sindaci, è previsto un 'prelievo speciale' del 5%. Difficile sarà invece trovare le garanzie complessive: in Grecia "non esistono attivi patrimoniali da privatizzare per i 50 miliardi" previsti dall'accordo con i creditori, ha detto il ministro dell'Economia greco, George Stathakis, in un'intervista a Bloomberg tv.

La rivolta dei sindacati. Contro il piano, il sindacato greco dei dipendenti del settore pubblico (Aedy) è già pronto a scendere piazza e ha invitato i propri iscritti a scioperare domani per 24 ore in segno di protesta. Con l'austerità sono a rischio le 9mila riassunzioni decretate dal governo Tsipras a maggio. Una mossa che segue le manifestazioni di contrarietà in piazza Syntagma, della sera di lunedì. Nel coro degli attacchi torna a farsi sentire l'ex ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, che grida al golpe richiamando gli eventi del 1967. Insomma, il clima ad Atene resta rovente mentre le esigenze finanziarie si fanno stringenti: salta un nuovo pagamento al Fmi mentre l'Eurogruppo dibatte di come fornire tecnicamente sostegno immediato con un prestito ponte e il falco Wolfgang Schaeuble rispolvera il tema dei 'pagherò' da far emettere ad Atene.

Una deriva pericolosa, che per alcuni potrebbe rappresentare un tentativo di far tornare in gioco l'emissione di una moneta parallela e quindi la Grexit.
Varoufakis all'attacco. Una "resa della Grecia" che accetta di diventare "vassallo dell'Eurogruppo". Una totale "umiliazione" del Paese e un "completo annullamento della sovranità nazionale". Così l'ex ministro delle Finanze rincara la dose di polemiche verso Tsipras, con toni sempre più aspri e paragonando quanto imposto dall'Eurosummit ad Atene al "golpe dei colonnelli" in Grecia del 1967. Il vertice dei leader dell'area euro è stato "a dir poco il culmine di un colpo di stato. Probabilmente - scrive Varoufakis sul suo blog - la maggiore differenza economica è che mentre nel 1967 le proprietà pubbliche non vennero prese di mira, nel 2015 i poteri che si muovono dietro il golpe hanno chiesto la cessione di tutte le proprietà pubbliche rimanenti, in modo da metterle a disposizione del rimborso di un debito pubblico insostenibile e non pagabile. Gli europei, anche quelli a cui della Grecia non importa un accidenti, faranno bene a stare attenti".

Gli scioperi. Clima rovente anche in pazza. All'astensione del lavoro degli statali, la prima nei sei mesi del governo Syriza guidato dal premier Tsipras, farà seguito una manifestazione convocata nel pomeriggio nella centrale piazza del Parlamento. Anche l'associazione delle farmacie elleniche, ha preannunciato, sempre per mercoledì, uno sciopero di 24 ore contro la prevista liberalizzazione del settore che dovrebbe aprire alla vendita di medicinali over-the-counter anche nei supermercati e concedere, sempre ai supermercati, licenze per aprire punti vendita al loro interno. "Non lo permetteremo", ha detto il presidente dell'associazione, Giorgos Lourantos, alla radio greca.

Saltato il pagamento al Fmi. Mentre si seguono con apprensione questi sviluppi interni, che dovrebbero provare all'approvazione dell'accordo nella giornata di domani e grazie al supporto di tutte le opposizioni, sul fronte finanziario nella notte il Fondo monetario internazionale ha detto di non aver ricevuto il pagamento di 456 milioni di euro che la Grecia avrebbe dovuto all'istituzione di Washington. Gli arretrati salgono in questo modo a 2 miliardi di euro, visto che lo scorso 30 giugno Atene è diventata la prima economia avanzata a mancare un pagamento al Fondo per 1,6 miliardi complessivi. Come ha spiegato il portavoce dell'Fmi, "la richiesta delle autorità greche per un'estensione degli obblighi sui pagamenti dovuti il 30 giugno sarà discussa dal board esecutivo nelle prossime settimane".

Proprio il Fmi, secondo quanto riporta Reuters, ha preparato un report segreto sulla Grecia, nel quale si sottolinea come la devastazione economica e del sistema bancario generata dalle ultime settimane crei la necessità di un sostegno finanziario ben superiore a quello allo studio, da 86 miliardi: per il Fondo servirebbe un periodo di grazia di 30 sugli impegni finanziari a servizio del debito, inclusi i nuovi prestiti, o accettare un forte taglio del debito stesso. Secondo la nuova analisi di sostenibilità, il debito avrebbe un picco del 200% del Pil nel prossimo biennio e poi andrebbe verso il 170% nel 2020 contro il 142% atteso due settimane fa.

Alba Dorata all'attacco: "Ora tocca a noi

Rimborsati i "samurai bond". E' invece partito un altro pagamento, ben minore per entità ma di grande importanza tecnica: Atene ha rimborsato a un gruppo di privati giapponesi i cosiddetti "samurai" bond per 20 miliardi di yen, pari a 148 milioni di euro, che erano stati emessi una ventina d'anni fa. La notizia è arrivata direttamente dalla Mizuho Finalcial che gestisce le obbligazioni: si tratta di uno snodo importante, perché l'eventuale mancato pagamento avrebbe rappresentato la prima insolvenza verso i creditori privati, che avrebbe aperto potenzialmente a un default con clausole di richiesta di rimborso su altri strumenti. Un insieme di fattori che spiega l'estrema necessità con la quale Atene si attende lo sblocco del prestito ponte in discussione all'Eurogruppo: 7 miliardi entro il 20 luglio, per onorare i nuovi impegni con la Bce (3,5 miliardi più interessi), i vecchi con il Fmi e pure pagare pensioni e stipendi agli statali già arrabbiati, come dimostra lo sciopero.

Prestito ponte, si studiano soluzioni. Per trovare quelle risorse d'emergenza si stanno studiando varie soluzioni e - secondo quanto riportato dall'Handelsblatt, il falco tedesco Wolfgang Schaeuble avrebbe proposto all'Eurogruppo di far emettere ad Atene dei 'pagherò' (i cosiddetti Iou, I owe you) come parte del finanziamento. Un'idea che per molti sherpa sarebbe un primo passo verso una valuta parallela. Le altre opzioni sul tavolo sono la riattivazione del fondo di salvataggio europeo Efsf (quello poi superato dall'Esm), che ha ancora a disposizione 11,5 miliardi ma per il quale è necessaria l'approvazione di tutti i Paesi della Ue: una soluzione resa complicata dall'opposizione di Gran Bretagna e Croazia. Ancora, il ricorso agli utili da interesse registrati dalla Bce e dalle Banche centrali nazionali sui titoli di stato ellenici in portafoglio che, per il 2014 e il 2015, ammontano a 3,2 miliardi. Infine, è possibile anche la concessione di prestiti bilaterali alla Grecia, con la Francia come candidata più probabile, ma soltanto come misura di integrazione al vero e proprio prestito-ponte

Un inedito esperimento di dominio

Grecia-Europa
Sappiamo bene chi comanda, e precisamente a due livelli: nella dimensione astratta del denaro come potenza che, subordina e sostanzialmente sterilizza le forme democratiche residue. E a livello geopolitico europeo. Guardiamo al futuro forti di queste certezze. Negative e perfino pericolose certo, ma almeno inequivocabili.
Carlo Donolo, Il Manifesto ...

facebook