×

Attenzione

JUser: :_load: non è stato possibile caricare l'utente con ID: 407

La Repubblica
09 06 2015

A nulla sono servite le proteste in tutto il mondo. La corte suprema saudita ha confermato la sentenza di mille frustate e 10 anni di prigione per il blogger Raif Badawi, condannato per aver "offeso l'Islam". Ensaf Haidar, moglie di Raif - scrive la BBC online - ha riferito che la decisione è irrevocabile, sebbene altre fonti sostengano che, a questo punto, un perdono reale (difficile valutare quanto probabile) potrebbe salvarlo.

L'accusa di apostasia. Ideatore del sito Free Saudi Linerals, nato per dibattere sul ruolo della prigione nel regno saudita, Badawi venne arrestato nel giugno del 2012. Fu accusato inizialmente di aver insultato l'Islam attraverso il web. Poi, il 17 dicembre dello stesso anno, un giudice lo deferì ad una corte di grado superiore, raccomandandosi di giudicarlo per apostasia, un reato che comporta automaticamente l'applicazione della pena capitale, così come la blasfemia.

La scure della giustizia wahabita. Si ha a che fare, insomma, con la giurisprudenza wahabita, vale a dire con la frangia della comunità sunnita ultraconservatrice, austera, che ha dominato la Penisola Arabica per oltre 2 secoli e che regola i rapporti nel regno Saudita. Un complesso di norme che interpreta in modo estremamente rigido l'islam sunnita e insiste su un'interpretazione rigorosa e intransigente del Corano. Tutto parte dal principio secondo il quale tutti coloro che non praticano l'Islam secondo le modalità indicate siano pagani e nemici dell'Islam. A nulla servono le critiche e gli appelli del resto del mondo musulmano, il quale ricorda come da una linea di pensiero simile siano nate le formazioni più violente e sanguinose, Stato Islamico compreso.

Le prime 50 frustate. Trascorso poco meno di un anno, venne condannato a 7 anni e a 600 frustate. Successivamente la pena venne aumentata a 10 anni di reclusione e a mille colpi di frusta, oltre ad una multa di un milione di Rial sauditi (circa 267.000 dollari). A gennaio di quest'anno ricevette i primi 50 colpi. Un supplizio - riferì in quella occasione Amnesty International che prese a cuore la sua vicenda - che si svolse davanti ad una folla di normali cittadini e agenti dei servizi di sicurezza. Portato in catena davanti alla mosche al Jafari dopo la preghiera collettiva del venerdì,Badawi ricevette una prima dose di punizioni corporali.

Uno stillicidio in 20 settimane. Il totale delle frustate Dovrebbe essergli inflitto in un arco temporale di 20 settimane. A metà gennaio avrebbe dovuto ricevere una seconda sessione di frustate, ma Badawi venne trasferito nella sua cella alla clinica del carcere per un controllo. Il medico verificò che la lacerazioni causate dai coli ricevuti il 9 gennaio non si erano ancora cicatrizzate e che il detenuto non avrebbe potuto sopportare un'ulteriore serie di colpi. Il medico raccomandò così un rinvio di almeno una settimana.

L'appello di 18 Premi Nobel. Poco dopo scereso in campo 18 Premi Nobel che lanciarono un appello agli accademici sauditi affinché facessero sentire la loro voce contro la condanna e il 22 gennaio le autorità rinviarono la fustigazione dper la seconda volta per motivi di salute, su indicazione di una commissione medica. Nei mesi successivi prese vita una sorprendente mobilitazione internazionale, sostenuta da intellettuali e organizzazioni umanitarie, ma anche da alcuni paesi, come gli Stati Uniti, con manifestazioni di solidarietà nei confronti di Badawi. Riad espresse "sorpresa e sconcerto" e respinse qualsiasi tipo di interferenza da parte dei paesi stranieri nei propri affari interni. Oggi, la decisione della corte suprema saudita sembra allontanare sempre più la liberazione di Badawi.

Je suis Badawi

La fustigazione è solo rinviata, per "motivi di salute". Ma la sentenza emessa contro Raif Badawi, arrestato e condannato per presunte offese alla religione, per oltraggio, crimini informatici e persino per aver disobbedito a suo padre, non è stata annullata. È ferma li, sospesa, sempre in agguato. Ieri sera è giunta una notizia confortante. Re Abdullah ha inviato il caso all'esame della Corte Suprema per una eventuale revisione della sentenza.
Michele Giorgio, Il Manifesto ...

Il Corriere della Sera
17 06 2014

Oggi è il secondo anniversario dell’arresto di Raif Badawi, blogger riformista dell’Arabia Saudita.

Dal 17 giugno 2012, è detenuto nel carcere di Gedda, per nient’altro che aver cercato di esercitare il suo diritto alla libertà di espressione, attraverso il suo sito “Liberali dell’Arabia Saudita”: un innocuo forum di discussione, che le autorità del regno hanno giudicato un pericoloso tentativo di sovvertire lo stato.

Per aver violato le leggi sulle comunicazioni elettroniche e aver offeso l’Islam attraverso i suoi post e i commenti pubblicati sul forum, il 30 luglio 2013 Badawi è stato condannato in primo grado a sette anni di carcere e 600 frustate. All’epoca, ne parlammo qui.

Una sentenza evidentemente giudicata troppo mite dalle autorità saudite. In appello, il 7 maggio di quest’anno, le frustate sono diventate 1000 e gli anni di carcere 10.

Infine, il 28 maggio, a Badawi sono state inflitte altre due condanne aggiuntive: il divieto per 10 anni, alla fine della condanna, di lasciare il paese e quello, della stessa durata, di svolgere qualsiasi tipo di attività nel campo dei media.

In occasione del secondo anniversario dell’inizio della persecuzione nei suoi confronti, Amnesty International ha lanciato un appello per l’annullamento di tutte le condanne e l’immediata scarcerazione di Badawi.

Su Twitter, oggi, sarà promossa un’azione mondiale di solidarietà per Raif Badawi e per sua moglie Ensar Haidar attraverso gli hashtag #Raif_Badawi #FreeRaif #Istandwithraif

Riyadh: blogger condannato a 7 anni e 600 frustate

  • Venerdì, 02 Agosto 2013 08:04 ,
  • Pubblicato in Flash news
Nena news
01 08 2013

La monarchia Saud vuole portare la democrazia a casa degli altri, in Siria, mentre prevede una condanna brutale contro un dissidente "reo" solo di aver manifestato il suo pensiero

di Sonia Grieco

Sette anni di prigione e seicento frustate. È la condanna "esemplare" comminata al blogger saudita Raif Badawi, riconosciuto colpevole di "crimini informatici" e "disobbedienza al padre".
In sostanza, sul suo sito Free Saudi Liberals e in un talk show televisivo, il blogger ha aperto un dibattito sul ruolo della religione nel regno, cui sono seguiti alcuni articoli critici nei confronti di figure di spicco dell'islam. Una discussione inaccettabile in un Paese conservatore e tradizionalista come l'Arabia Saudita, dove vige la sharia e la religione non può essere oggetto di contestazioni, tanto che è vietata la conversione dall'islam. Badawi era anche stato accusato di apostasia, reato che prevede la pena di morte, ma il giudice ha ritirato questo capo di imputazione.

La sentenza è stata emessa lunedì scorso da un tribunale di Gedda e ha suscitato sdegno e condanna nei gruppi e nelle associazioni per la difesa dei diritti umani. «È una pena estremamente severa per un uomo che ha voluto discutere di religione», ha commentato Nadim Houry, vicedirettore per il Medio Oriente di Human Rights Watch. L'organizzazione già un anno fa, quando il blogger è stato incarcerato, aveva chiesto alle autorità saudite la sua liberazione, denunciando la violazione del diritto alla libertà di espressione.
Badawi, dunque, ha già scontato un anno in prigione e non è chiaro se gli sarà sottratto dai sette cui è stato condannato lunedì. I suoi guai legali sono iniziati nel 2008, quando ha fondato il sito Free Saudi Liberals, che sin da subito ha scatenato le ire di esponenti religiosi. Il blogger è stato subito additato come apostata, un marchio che si è abbattuto anche sulla sua famiglia. La moglie, Ensaf Haidar, e i tre figli vivono in Libano. «Ti senti come se tutti ti stessero accusando, come se tutti ce l'avessero con te, come se fosse stata dichiarata guerra contro di te», ha detto la signora Haidar in un'intervista alla Cnn.

La sentenza sarà notificata entro il 6 agosto, dopo di che il blogger potrà ricorrere in appello entro trenta giorni. Intanto continuerà a stare in carcere.
Il suo è soltanto l'ultimo di molti casi di restrizione alla libertà di espressione in Arabia Saudita, dove le autorità usano i tribunali e i divieti di viaggio per reprimere il dissenso. Attivisti che chiedono riforme finiscono spesso in carcere, come nel caso, denunciato da Human Rights Watch, di Mohammed Al-Qahtani e Abdullah Al-Hamid che lo scorso marzo sono stati condannati a dieci anni di prigione. Inoltre, nel regno vige un regime di pene corporali che sono vere e proprie torture, come nel caso di un giovane condannato a essere paralizzato per avere a sua volta procurato una paralisi a un'altra persona. 
Corriere della Sera
10 06 2013

Huda al-Ajmi, insegnante e blogger 37enne, è stata condannata da un tribunale del Kuwait a 11 anni di carcere. L'accusa: aver «offeso» in una serie di Tweet l'emiro del Kuwait Sabah al-Ahmad al-Sabah che, secondo la costituzione del Paese, è «immune e inviolabile».

SOTTO ACCUSA - In particolare sono tre i capi di accusa che hanno portato alla condanna di Huda: insulti all'emiro, istigazione a rovesciarlo e «cattivo utilizzo» del cellulare. Due le sentenze emesse contro la donna, ognuna di cinque anni, più un altro anno per aver insultato una non meglio specificata «setta religiosa». «Si tratta della sentenza più alta mai inflitta in casi di questo genere», commenta una fonte. Secondo la sentenza Huda, che ha respinto le accuse, potrà ricorrere in appello e in cassazione ma solo dopo aver iniziato a scontare la pena.

PRECEDENTI - Non è la prima sentenza di questo tipo in Kuwait, un Paese considerato tra i più «moderati» dell'area del Golfo, ma dove negli ultimi mesi si sono intensificati gli arresti nei confronti dei contestatori politici. Secondo l'organizzazione per i diritti umani Human Rights Watch dall'inizio dell'anno almeno 25 persone sono state condanne per reati simili. L'ultima risale ad aprile quando un esponente dell'opposizione era stato condannato a 5 anni di carcere sempre per insulti all'emiro. In appello la sentenza era stata poi annullata.

LIBERTÁ DI ESPRESSIONE - Huda sarebbe però la prima donna a ricevere una sentenza così pesante. Già nei mesi scorsi Amnesty International aveva messo in guardia dalle restrizioni della libertà di espressione nel Paese e aveva chiesto al governo di proteggere chi usa i social network.

facebook