Voci libere dal Ghetto

  • Giovedì, 02 Luglio 2015 07:50 ,
  • Pubblicato in ZeroViolenza
Radio GhettoGinevra Sammartino, Zeroviolenza
2 luglio 2015

"Quando arrivi alla stazione di Foggia prendi lo stradone, supera il ponte, tieniti a sinistra, prima che lo spartitraffico si apra passa attorno al cimitero e imbocca la stradina che vedi sulla sinistra,

Filiere, filari e caporali

  • Mercoledì, 01 Luglio 2015 11:19 ,
  • Pubblicato in Flash news

Cronache di ordinario razzismo
01 07 2015

Giancarlo Gariglio ha condotto per conto di Slow Wine, la sezione del portale slowfood.it dedicata ai prodotti vitivinicoli, un’inchiesta nelle vigne di Langhe e Monferrato piemontesi, che ha portato alla luce – dice l’autore – la presenza di “schiavi macedoni, assoldati da loro connazionali che agiscono da veri e propri caporali“. L’inchiesta, della durata di un mese circa, racconta un fenomeno diffuso, ma nascosto ai più. Il quadro dipinto è allarmante. I protagonisti sono numerosi cittadini macedoni, reclutati da connazionali senza scrupolo, che offrono un biglietto di andata e ritorno per 70 euro, un alloggio super-affollato per 200 euro al mese, ed un lavoro da vero e proprio schiavo, pagato, nella migliore delle ipotesi, 3 euro l’ora. Di solito, nel periodo caldo, in vigna lavorano le cooperative. Gariglio, però, puntualizza: “La maggioranza dei produttori e delle cooperative agisce secondo le regole e la legge. Abbiamo scoperto, grazie a interviste ai vignaioli, a registrazioni vocali, a fotografie, che questo sistema ha acquisito dimensioni così grandi che è piuttosto frequente la presenza di distorsioni. Ci sono lavoratori sfruttati a tutti gli effetti, percepiscono salari da fame e dipendono da connazionali arrivati prima di loro, che si arricchiscono alle loro spalle sfruttandone le prestazioni”.

Un sistema che rimanda allo sfruttamento di manodopera straniera usata per la raccolta di pomodori in Puglia e in Sicilia, delle arance in Calabria, delle mele in Trentino… ma questa volta al centro c’è un prodotto di eccellenza come il vino piemontese.

Secondo il tariffario regolare, il costo orario ufficiale di un manovale delle cooperative è di 10 euro più Iva per un’ora di lavoro. Ma, in nero, si possono spendere 8 euro. E volendo si può scendere fino a 6. Con una differenza, sempre nel lavoro regolare: se il manovale è macedone, percepisce 6 euro orari, se è esperto, e 4 euro, se invece è alle prime armi. Il lavoro più utilizzato dalle aziende e dalle cooperative è quello a cottimo. “Questa formula- spiega Gariglio- obiettivamente è quella che permette più ampi margini di manovra perché si tratta di un lavoro chiavi in mano, in cui l’azienda vinicola non mette becco, non è tenuta a controllare, non è responsabile di nulla, se non del lavoro finito, e quindi non si preoccupa più di tanto delle condizioni dei lavoratori impiegati. Per questi operai, ad esempio, l’orario prevede anche la fase più calda della giornata, tra le 12 e le 15, che determina numerosi casi di svenimento in vigna. Chi ha un mancamento, viene “gentilmente” rimpatriato e non più richiamato”.

Il risultato è una commistione di “bianco” e “nero”, come la definisce Gariglio, in cui accanto ai listini regolari ne esistono di irregolari, ed accanto alle cooperative regolari è un florilegio di veri e propri caporali, che spesso forniscono manodopera al nero proprio alle stesse cooperative. E, come conclude Gariglio, “se la situazione di schiavitù è così nel basso Piemonte, si può facilmente immaginare cosa accada nel resto d’Italia, magari in regioni in cui il prezzo delle uve e del vino è sensibilmente più basso …”. E pensare che una bottiglia di buon Barolo può arrivare a costare oltre i 200 euro!

Per leggere l’inchiesta completa di Slow Wine, clicca qui

Per leggere l’appello di Carlo Petrini per Slow Food a tutti i produttori piemontesi, clicca qui

Arance amare

  • Mercoledì, 10 Giugno 2015 08:05 ,
  • Pubblicato in Flash news

Cronache di ordinario razzismo
10 06 2015

Un’inchiesta coordinata dalla Procura di Palmi ha condotto all’arresto di sette persone (Davide Madaffari, 41 anni, Alessandro Madaffari (37), Salvatore Di Bartolo (40), Giuseppe Ravalli (26), Vincenzo Consiglio (43), tutti di Rosarno, Mohammed Keita (30), cittadino maliano, e Filip Kuzev (36), cittadino bulgaro) per associazione a delinquere finalizzata alla intermediazione illecita e allo sfruttamento del lavoro, “reclutamento di manodopera clandestina” di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno o scaduto, violazione della normativa previdenziale di tutela dei lavoratori subordinati e truffa aggravata ai danni di enti pubblici. La notizia è di venerdì scorso, ma non ha avuto molta eco.

Eppure, le indagini hanno fatto emergere un consistente fenomeno di caporalato nella Piana di Gioia Tauro, con tutto il suo corollario: lavoro in nero e senza garanzia, operai senza diritto a riposi settimanali, ferie pagate, malattia e obbligati a lavorare senza un adeguato abbigliamento protettivo, facendo fronte alle avversità climatiche con mezzi di equipaggiamento di fortuna, e meno di cinquanta centesimi per una cassetta di agrumi. Accanto allo sfruttamento di persone di origine nordafricana, anche quello di quelle provenienti dai paesi comunitari, soprattutto dell’Est Europa, e in particolare cittadini di nazionalità bulgara.

La Flai Cgil della Piana di Gioia Tauro, con un comunicato, sollecita a gran voce l’approvazione della legge regionale contro il caporalato e lo sfruttamento degli esseri umani in agricoltura, e chiede alla Prefettura, al Ministro degli Interni ed alla Regione Calabria di convocare una urgente riunione, assieme alle associazioni umanitarie e alle organizzazioni sindacali, per programmare la nuova stagione di raccolta degli agrumi, a garanzia dei diritti umani e nel lavoro di migliaia di lavoratori immigrati.

Già … diritti umani, tutele e garanzie. Tutte cose che sicuramente non ha avuto Toure Saidou, trentasei anni, migrante originario del Mali e residente proprio nella zona container di Rosarno, vittima di un delitto tremendo, di cui nessuno parla. Qualche trafiletto nella stampa locale. Poi, il nulla.

Eppure il cadavere di Saidou (o semplicemente “l’immigrato di colore”, come riporta la stampa locale), in Italia dal 2012 con regolare permesso di soggiorno rilasciato per tre anni per motivi umanitari, è stato ritrovato in avanzato stato di decomposizione in un agrumeto con il cranio distrutto con un blocco di cemento la sera del 3 giugno. Sono trascorsi diversi giorni, ma forse di notizie come queste è meglio non parlarne. Si preferisce continuare a lanciare allarmi sulla presunta “invasione” dei migranti, e chiudere le porte di regioni e comuni all’accoglienza. Di certo, lo “straniero” fa più notizia se è protagonista e non vittima di delitti.

Il Procuratore della Repubblica di Palmi, Ottavio Sferlazza, riferisce: “Ancora non sappiamo molto su questo episodio anche perché deve essere ancora eseguita l’autopsia sul corpo dell’immigrato. Da un primo esame esterno sembrerebbe che sia rimasto vittima di un’aggressione particolarmente violenta a causa della quale ha subito danni mortali al cranio. Questo episodio è sintomatico di una situazione di disperazione, di degrado e di emarginazione che deve farci riflettere tutti”. Che cosa è successo realmente a Saidou? Chi l’ha ucciso e soprattutto perché? Come mai tanta violenza?

Forse non avremo mai una risposta, e la morte del povero Saidou, senza una verità ed una giustizia, resterà confinata in un trafiletto di cronaca “nera”

 

La denuncia paga: presi i caporali

  • Mercoledì, 01 Aprile 2015 10:57 ,
  • Pubblicato in La Denuncia
Caporalato e schiavitùAntonio Sciotto, Il Manifesto
1 aprile 2015

Un esposto molto dettagliato, presentato in procura un anno fa. Poi, a inizio del mese scorso, un documentario che ha avuto risonanza nazionale, lanciato proprio dalle pagine del manifesto. Quando il sindacato si muove bene e denuncia, i risultati arrivano: i carabinieri di catania ieri hanno sgominato una banda di nove caporali che aveva ridotto in stato di semi schiavitù decine di immigrati, anche donne e minori ...

Giustizia per i lavoratori sikh

  • Martedì, 27 Gennaio 2015 07:29 ,
  • Pubblicato in ZeroViolenza

Marco Omizzolo, Zeroviolenza
29 gennaio 2015

Molti padroni italiani, ossia imprenditori agricoli, in provincia di Latina, considerano i braccianti, soprattutto indiani, come animali da soma. Spesso sfruttati, esposti a violenze e ricatti, reclutati a volte tramite caporale (italiano o indiano), i braccianti indiani subiscono le prepotenze di un sistema economico e culturale che è pienamente capitalista.

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