Zeroviolenza
18 novembre 2019
* In questi giorni le polemiche e le ricostruzioni sui ritardi nella realizzazione del Mose si sono sprecate. Quanto costa il Mose?
Il costo del Mose “a prezzo chiuso” – cioè tutto compreso – è stato stabilito da ultimo nel 2005 e ammonta a 5,493 milioni di euro.
Di questi la gran parte (al 31 marzo 2018, pari a 4,9 miliardi di euro) è già stata spesa, e la rimanente è già stata assegnata dal CIPE.
* Dopo l'inchiesta che nel 2014 scoperchiò il vaso sulle tangenti per il Mose, le grandi ditte che lo stavano costruendo (Mantovani, Condotte, Fincosit) si defilarono, bloccando di fatto i lavori. Perché poterono andarsene così?
Il Consorzio Venezia Nuova – il soggetto esecutore dell’opera e composto oggi da una decina di imprese – dal 1° dicembre 2014 è in amministrazione straordinaria e temporanea ai sensi del Decreto Legge 24.06.2014 n. 90 art. 32, comma 1.
Le imprese consorziate più significative sono soggette a procedure concorsuali o paraconcorsuali (concordati, amministrazione straordinaria).
Ad oggi, pur con lo sforzo dei Commissari, l’operatività in concreto del Consorzio è fortemente ridotta.
* Stante il fatto che nessuno sa realmente se funzionerà mai, cosa conviene fare ora? Portarlo a termine? O lasciarlo ad arrugginire lì?
Dal cronoprogramma aggiornato risulta che sarà il 2021 la data di conclusione dei lavori alle tre bocche di porto: febbraio per Malamocco, aprile per Lido, luglio per Chioggia, e poi dovrebbero partire i tre anni di collaudo.
Le prime prove di messa in funzione delle barriere idrauliche non hanno dato esiti negativi in senso assoluto, anche se il vero test arriverà con l’uso in caso di effettive alte maree.
Il Sistema Mose è progettato a salvaguardia di tutto l’ambiente lagunare, e non solo della città di Venezia, e la durata e le modalità d’uso del Sistema dipenderanno dalle scelte dell’ente gestore.
Melania Mazzucco, La Repubblica
16 novembre 2019
Venezia non crede alle lacrime. È troppo comodo piangere per la sua bellezza oltraggiata piuttosto che agire per difenderla. Il luogo comune della presunta morte di Venezia ci affligge da più di cent'anni, e la prognosi infausta proclamata da scrittori e artisti sedotti dalla decadenza è servita col tempo a giustificare compromessi, concessioni, sacrilegi e scempi.
Il Fatto Quotidiano
22 01 2015
Confessiamolo: si fa una certa fatica a leggere (e a scrivere) dell’ennesimo record assoluto nel trend di anomalie climatiche che caratterizza la nostra epoca. Il 2014 è stato l’anno più caldo mai registrato dal 1880 a oggi, ci dicono la NASA e la NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration). Eppure nell’anno appena trascorso vi sono state ondate di gelo in molte regioni, penseranno alcuni; eppure siamo ancora qui, diranno altri. E non molto è cambiato. Questo climate change con il quale scienziati, apocalittici e grilli parlanti ci catechizzano periodicamente non dev’essere poi la catastrofe che si dice.
Per chi fosse appena meno cinico o disinformato, vi è comunque una misura di assuefazione a questo tipo di notizie, e a tutti i moniti che regolarmente ne conseguono. Come se fossimo tutti consapevoli di quanto sta avvenendo e tutti, al contempo, rassegnati al fatto che avvenga. Il cambiamento climatico è una dinamica talmente complessa, innescata da un concorso di così tanti fattori , spesso remoti e non direttamente controllabili, che viene da gettare la spugna e accada quel che accada. Ci si può sempre illudere che il problema sia confinato a qualche orso polare a corto di ghiaccio, a qualche isoletta disabitata del Pacifico che finisce sott’acqua.
E possiamo continuare a chiamare ‘alluvioni’ fenomeni inediti per frequenza e violenza; o inventare dizioni nuovissime e fesse – vedi le ‘bombe d’acqua’ – per la gioia dei titolisti e l’ignoranza di tutti. Si contano morti, danni, perdite economiche, si fanno stime di raccolti mancati, si osservano migrazioni epocali dovute a carestie e siccità… È tutto più o meno normale.
Il 2014 è stato l’anno più caldo di sempre, nonostante non si sia verificato l’ENSO (El Niño Southern Oscillation), un fenomeno climatico spesso associato a questo tipo di record. Nove dei dieci anni più caldi, nella serie storica di queste rilevazioni, sono tutti concentrati a partire dal 2000 in poi. C’è un trend solido, crescente ed evidente anche a un bambino.
Negli stessi giorni in cui veniva diffusa la notizia del record del 2014, uno studio pubblicato su Nature indicava una soluzione chiara e precisa per contenere il cambiamento climatico: oltre l’80 per cento delle riserve conosciute di carbone, così come metà di quelle di gas e un terzo di quelle di petrolio, non devono essere estratte (ovvero: non devono essere bruciate). Per fermare il cambiamento climatico bisogna abbandonare le fonti fossili.
Incidentalmente, se riuscissimo a cambiare il modello energetico otterremmo qualche vantaggio concreto aggiuntivo: risparmi sulle nostre spese energetiche e sui nostri consumi; abbattimento dei costi sanitari dovuti all’inquinamento; ci risparmieremmo qualche guerra (no, non è una leggenda: molti conflitti sono innescati e alimentati dalla contesa per le risorse fossili) e le spese militari correlate; difenderemmo comparti strategici come agricoltura e turismo. Potremmo creare lavoro investendo sulle rinnovabili, risparmiando gli oltre 500 miliardi di dollari pubblici che ogni anno, a livello globale, regaliamo alle energie sporche (almeno 9 miliardi di euro in Italia). E, per i più retrivi: potremmo persino ridimensionare i fenomeni migratori.
Insomma: non è questione di orsi polari in pericolo, non solo. Pensiamoci.
Greenpeace