Internazionale
30 04 2015
La libertà di stampa nel mondo ha raggiunto il record negativo degli ultimi dieci anni, secondo l’ultimo rapporto di Freedom house. Stando all’allarme lanciato dall’ong, a livello internazionale i giornalisti si trovano ad affrontare sempre più pressioni e restrizioni da parte di governi, attivisti, criminalità ed editori con interessi politici ed economici. Nel rapporto Freedom of the press 2015, si denuncia che “nel 2014 i giornalisti hanno dovuto affrontare pressioni sempre più intense da tutte le parti”.
“I governi hanno sfruttato le leggi per la sicurezza e per la lotta al terrorismo come pretesto per mettere a tacere tutte le voci critiche, mentre i gruppi di pressione e le gang criminali impiegano tattiche sempre più meschine per intimidazioni ai danni di giornalisti e i proprietari dei media tentano di manipolare il contenuto delle informazioni per i loro fini politici o economici”, ha spiegato la coordinatrice del rapporto Jennifer Dunham. Sui 199 paesi passati in rassegna, 63 sono ritenuti “liberi” sul piano dell’informazione mentre 71 vengono descritti come “parzialmente liberi” e 65 “non liberi”. Questo equivale a dire che soltanto il 14 per cento degli abitanti del pianeta vive in un contesto di libertà di stampa, il 42 per cento con una stampa parzialmente libera e il 44 per cento con una stampa non libera.
La situazione statunitense è peggiorata nell’anno trascorso a causa degli arresti e dei maltrattamenti inflitti ai giornalisti dalla polizia durante le manifestazioni a Ferguson, in Missouri, per protestare contro l’uccisione di Michael Brown, un ragazzo nero di 18 anni, da parte di un poliziotto. Mentre l’Italia - in un contesto europeo generalmente positivo - viene tutt’oggi considerata un paese “parzialmente libero”, soprattutto a causa dei conflitti di interesse rilevati in diversi gruppi editoriali.
Comune.info
12 01 2015
di Enrico Euli*
Anche in Italia c’è preoccupazione per la libertà di espressione. Si teme possa ritornare. La Cattiveria di Kotimkin sul Fatto apre alle riflessioni sulla manifestazione di oggi a Parigi. Un corteo zuppo di retorica tardoilluminista, guidato da dittatori finti democratici che governano senza democrazia, partecipato dai soliti progressisti che innalzano matite e bandierine arcobaleno. Roba davvero ridìcola, totalmente anacronistica, e peraltro menzognera. E davvero di parte, a uso e consumo della nostra ‘pace perduta e ancora agognata’, come se fosse ancora possibile è giusto essere in pace noi, mentre altri muoiono anche per mano nostra.
L’ipocrisia dei ‘democratici’ è poi completa con l’esclusione della Le Pen dal corteo. Ma allora perchè accettare Nethanyau? E se si presentassero Assad o Al Sisi? Chi dà il patentino di democratico repubblicano, e chi lo toglie? Chi può farlo davvero oggi ?
Tutto questo, comunque, sarà spazzato via, è già spazzato via dal terrore e dalla guerra. La retorica di cui ancora ci ammantiamo non potrà nulla contro la violenza che sale in spire senza scampo. La violenza che è anche, soprattutto nostra, e che si ripresenta mostrificata nei nostri figli e concittadini ‘terroristi’, nei mostri stranieri in forma familiare, nei perturbanti emblemi del nostro fallimento e delle nostre stesse efferatezze. Vedere il film di Eastwood American sniper, se ancora servisse aggiungere qualche elemento, resta piuttosto istruttivo su quelle che ci ostiniamo a chiamare ‘missioni di pace’. E su quella che è la base fondamentalista della nostra civiltà occidentale: la guerra. E non si intravvedono apprendimenti significativi e cambiamenti sensati su questo fronte, anzi…
Tra guerra, di stato o di individui, da un lato, e retorica della pace e della libertà dall’altro, resteremo schiacciati come mosche sul vetro. Siamo già schiacciati, ed è l’impotenza attuale a dimostrarlo. Inutile fare messe e riti esorcistici per le strade di Parigi. La pace è finita, andate in guerra.
* Ricercatore universitario e docente di Metodologie e tecniche del gioco, del lavoro di gruppo e dell’animazione, è autore di numerosi articoli e libri. Cura il blog Saturnalia, dal nome delle feste popolari di Roma antica (in onore di Saturno), durante le quali si scambiavano auguri e doni e, soprattutto, era concesso agli schiavi di prendere il posto dei padroni.