GiULiA
30 10 2013
Un'occasione sprecata. Con le elezioni di primavera per il rinnovo dei consigli regionali e di quello nazionale dell'Ordine dei giornalisti la presenza delle donne nell'organo di autogoverno della categoria è addirittura diminuita.
Due i dati più evidenti che emergono da una lettura di genere delle attuali composizioni dei venti consigli regionali e di quello nazionale: cala il numero delle giornaliste nel consiglio nazionale, si passa da due ad una presidente di un Ordine regionale.
Lombardia e Puglia tornano ad essere guidati da un uomo, mentre è l'Ordine del Lazio ad essere guidato da una donna. E' l'unica giornalista su venti presidenti di consigli regionali. In calo anche le vice presidenti: si passa da 5 donne su 20 (Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Sicilia, Umbria, Veneto) della consiliatura 2010-2013 a 4 su 20 di quella appena eletta (Sicilia, Umbria, Valle d'Aosta, Veneto).
Si registra una leggera inversione di tendenza per la carica di segretario: nel 2010-2013 era una su venti (Valle d'Aosta), nel triennio 2013-2016 il numero sale a 7 donne su 20 (Abruzzo, Lazio, Liguria, Lombardia, Puglia, Valle d'Aosta, Veneto). Quasi confermato il dato sulle tesoriere: si passa da 7 su 20 (Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d'Aosta) nel 2010-2013 alle attuali 6 su 20 (Emilia-Romagna, Puglia, Sardegna, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d'Aosta).
Cosa è successo, invece, sul fronte della composizione dei consigli regionali? L'Ordine della Calabria si conferma maglia nera per l'assenza di consigliere professioniste.
Vanno un po' meglio le cose in Friuli Venezia Giulia e Sardegna che passano da 0 a una. Stabile la situazione in Emilia-Romagna, il numero più alto, ovvero 3 professioniste, si registra in Abruzzo, Lazio, Puglia e Trentino Altro-Adige. Per le pubbliciste siamo sempre a quota zero in Abruzzo (che, però, nel precedente triennio ne aveva una), Basilicata, Calabria, Campania, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia (ne perde una), Marche, Molise, Sardegna. Quanto al Collegio dei revisori dei conti, costituito da tre componenti, due professionisti ed un pubblicista, fino allo scorso maggio non c'erano professioniste in 15 collegi regionali su 20 (Abruzzo, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino Alto Adige, Umbria, Valle d'Aosta e Veneto). Soltanto la Puglia vantava il primato di revisori professionisti tutte giornaliste.
Quel 15 su 20 si conferma anche per il 2013-2016 nelle stesse regioni. La Puglia perde il primato, scendendo ad una professionista, e lo passa alla Basilicata. Tutti gli altri Ordini regionali hanno una sola donna professionista come revisore.
Era negativo e continua ad esserlo anche il dato relativo ai revisori pubblicisti: in 16 consigli regionali su 20 non erano e non sono state elette donne. Due dei quattro collegi dove era stata nominata una pubblicista sono gli stessi della consiliatura 2010-2013 (Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige) e ad essi si aggiungono le new entry Lombardia e Veneto.
In questi mesi è aumentato il numero dei consigli di disciplina regionali, gli organismi disciplinari istituiti con il DPR 137 del 2012, che ha riformato gli ordinamenti professionali e, quindi, anche l'Ordine dei giornalisti.
Lo scorso aprile registravamo l'istituzione di 5 consigli su 20 (Abruzzo, Campania, Friuli Venezia Giulia, Marche, Puglia). Di questi soltanto quello pugliese su 9 consiglieri contava ben 5 donne, segnalandosi così come il consiglio di disciplina con il maggior numero di giornaliste presenti.
Ad oggi i consigli di disciplina sono saliti a 19 su 20 (non è stato ancora nominato quello della Calabria). Nove consigli sono composti da 6 uomini e 3 donne, otto da 5 uomini e 4 donne, soltanto in Puglia ed in Sardegna abbiamo 4 giornalisti e 5 giornaliste.
E sul fronte del Consiglio Nazionale cosa è cambiato?
Nel triennio 2010-2013 il Consiglio nazionale contava una presenza femminile piuttosto bassa. Continuano a non registrare la presenza di giornaliste il vertice (presidente, vice presidente, segretario e tesoriere) ed il collegio dei revisori dei conti. Scende anche la presenza delle colleghe nel Comitato esecutivo: si passa da 2 su 5 nel 2010-2013 a 1 su 4 nell'attuale triennio. Nelle quattro Commissioni (ricorsi, giuridica, culturale, amministrativa) soltanto in quella culturale siedono due giornaliste su sette componenti.
Fa eccezione la commissione amministrativa dove i componenti sono 5 e tutti uomini. Diversa, dunque, la situazione del Consiglio nazionale, ma bisogna tener conto che la crescita è dovuta anche ad una rimodulazione dell'assegnazione dei seggi. Il Consiglio nazionale è regolato da un meccanismo di elezione abbastanza complicato perché la rappresentanza regionale varia a seconda del numero degli iscritti e, poiché i giornalisti sono aumentati, questa consiliatura conta un numero superiore di giornalisti.
Salgono a 17 sia le professioniste (erano 12 nel precedente triennio) che le pubbliciste (erano addirittura 6 nel 2010-2013) contro i 61 professionisti (erano 57) ed i 59 pubblicisti (erano 62). Confermata la composizione del Consiglio di disciplina nazionale: 3 donne su 11 componenti.
Quell'inversione di tendenza rispetto alla presenza delle giornaliste nell'organo di autogoverno della categoria che auspicavo in chiusura del precedente articolo non c'è stata. E' difficile, però, spiegare questo risultato elettorale per tanti motivi. Due su tutti: il complesso meccanismo elettorale stabilito dalla legge istitutiva dell'Ordine (solo una modifica della legge consentirebbe un nuovo meccanismo elettorale) e la conseguente scarsa partecipazione al voto.
Le elezioni dell'Ordine sono un doppio turno e molto difficilmente alla prima chiamata si riesce ad ottenere il numero di voti validi per essere eletti, così gli iscritti all'Ordine tornano a votare dopo sette giorni. Non esiste il voto elettronico (cosa che invece è prevista per le elezioni dell'Inpgi, l'istituto di previdenza della categoria) e questo abbassa la partecipazione al voto. Non ci sono liste, quindi tutti gli iscritti all'Albo sono potenzialmente eleggibili. Tutti elementi che non giustificano questi risultati da un punto di vista di genere.
Di recente è stato presentato un disegno di legge bipartisan, presentato dalla senatrice Pd Maria Di Giorgi, per eliminare le discriminazioni fra uomini e donne ai vertici degli ordini professionali. L' obiettivo è assicurare pari opportunità nell'accesso negli enti pubblici non economici. In particolare, la proposta prevede che, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore delle nuove norme, gli ordini professionali stabiliscano all'interno dei propri statuti i criteri e le procedure per l'adozione di un codice deontologico. Dovranno essere disciplinati, "su base democratica, tutti i meccanismi elettorali per la nomina alle relative cariche e l'elettorato attivo e passivo degli iscritti, senza alcuna limitazione di età e in modo da assicurare le pari opportunità di genere, garantendo la trasparenza delle procedure, la rappresentanza presso gli organi nazionali e territoriali e la tutela delle minoranze, nonché la non discriminazione per motivi religiosi, sessuali, razziali, politici o relativi ad altra condizione personale o sociale".
«Le azioni - ha dichiarato Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dell'Ordine dei consulenti del lavoro e del Cup, a proposito del ddl - che portano a una presenza delle donne nei ruoli di vertice delle categorie professionali vanno sostenute convintamente perchè dai risultati che produrranno dipenderà il futuro delle categorie medesime e del mondo del lavoro nella sua più ampia accezione».
Mara Cinquepalmi
Squer.it
31 07 2013
“Da quattro mesi i giornalisti non ricevono lo stipendio, così come i collaboratori che in alcuni casi vantano crediti da più di un anno”.
E’ con questa grave responsabilità che vede l’ultimo giorno di vita di Paese Sera.it, testata nata nel 2009 e rilanciata nel 2011 dalle ceneri dell’ex quotidiano d’area Pci fondato nel 1948 e rimasto quotidiano cartaceo fino al 1994, divenuta poi giornale online, con una pubblicazione mensile su carta, riferito principalmente al contesto di Roma e degli scenari regionali del Lazio.
Il nuovo Paese Sera si trova infatti oggi a fare i conti con la scadenza dei contratti dell’intera redazione e con una cessione societaria arenatasi sul più bello. La casa editrice Nuovo Paese Sera srl “ha varie trattative in essere per la cessione della società o per valutare l’ingresso di nuovi soci”, ha precisato al sito de Il Fatto quotidiano il presidente e azionista (insieme a uno degli uomini forti del Pd regionale, Alessio D’Amato) Giuseppe Deiana, che ha aggiunto: “Stiamo definendo un riassetto societario. Vogliamo comunque salvaguardare la testata e i posti di lavoro”.
La posizione di Deiana non è però appoggiata dai giornalisti, che stanno occupando pacificamente (con colleghi e lettori) i locali della redazione, in via Carlo Emery 47, per dare eco e sostanza all’appello “Non spegnete un’altra voce”, e per ricordare come a pagare situazioni simili siano sempre i lavoratori del settore, usati e abbandonati (oltre che i lettori).
“La redazione, non senza difficoltà, ha sempre cercato di venire incontro alle richieste della proprietà, comprendendo il delicato momento dell’editoria. Lo ha fatto anche per un legame professionale e affettivo con ‘Paese Sera’ che ha visto i giornalisti coinvolti fin dalla fase di start up, nel 2011, per il rilancio della storica testata romana.
Tuttavia a pochi giorni dalla scadenza dei contratti, l’azienda ha deciso di far saltare in maniera unilaterale il tavolo di trattativa sindacale. Il pre-accordo tra i lavoratori e l’azienda, accettato a condizioni durissime dalla redazione, come nel caso delle ‘deroghe dei minimi’ salariali che permetteva il mantenimento dei posti di lavoro, è stato ulteriormente modificato al ribasso.”
E’ questa l’accusa che le giornaliste e i giornalisti di Paese Sera.it lanciano all’attuale proprietà in un comunicato in cui sottolineano come si stia spegnendo così “la voce di Roma”, ovvero “un giornale che è sempre stato al fianco dei lavoratori sostenendo le loro lotte e i cui lavoratori, oggi, vedono calpestati la loro professionalità, i loro diritti e la loro dignità.”
E al cui fianco si è schierata naturalmente l’Associazione Stampa Romana, chiedendo a Parsitalia, l’interessata all’acquisto della maggioranza delle quote societarie, di aprire un tavolo a tre, con sindacato e attuale dirigenza, per individuare soluzioni possibili.
E la società dal canto suo ha appena detto di essere “disponibile a un confronto sindacale.”
Per evitare l’ennesima chiusura di un giornale, di uno spazio di libertà e di una storia.
Nicola Chiappinelli