AgoraVox Italia
13 09 2013
Era l'aprile 2012 quando la polizia greca - già nota per l'operazione razziale Zeus Xenios - iniziava la caccia alle prostitute all'interno della città di Atene. Le si voleva allora costringere ad un controllo relativo al virus dell'AIDS. E infatti, puntualmente, appena un mese dopo si arrivava ad arrestare 17 donne risultate positive al test. Nulla a che vedere però con la sicurezza pubblica, anzi. E a renderlo evidente solo le accuse rivolte loro: non solo prostituzione, ma diffusione intenzionale del virus. Untrici, insomma.
Propri di questi fatti parla il documentario Ruins, presentato qualche giorno fa in Grecia per aprire gli occhi sul fenomeno.
Il documentario racconta di come l'allora ministro greco della Sanità, Andreas Loverdos definì l'operazione di interesse per la pubblica sicurezza. Aggiungendo - malignamente - che il virus si era "diffuso oltre i ghetti, entrando nella società greca".
Il che ci dice molto sullo scopo dell'operazione: riportare il virus da dove è arrivato, da quel posto - il ghetto - atto a contenere al suo interno gli estromessi dalla società. E questo si evince direttamente dalle parole del ministro: il ghetto non fa parte del mondo civile. Ne è fuori. Inevitabile di conseguenza il titolo scelto dalla regista, Zoe Mavroudi: Ruins: Chronicle of an HIV Witch Hunt [Rovine: Cronaca di una caccia alle streghe dell'HIV].
Una caccia che ancora oggi continua, nonostante Positive Voice, un gruppo per la difesa dei malati di AIDS abbia espressamente parlato di violazione dei diritti umani. La stessa Mavroudi ha dichiarato al riguardo che "il giro di vite prende di mira persone che sono deboli e malate, persone che non sono coinvolte in alcun partito politico, persone che sono comunque state largamente colpite dalla crisi".
Non c'è bisogno di ricorrere al nazismo, quando nei lager si costringevano le detenute a prostituirsi, oggetto di "buoni premio" per gli altri carcerati, mentre ai malati si apriva più direttamente la strada dell'eugenetica, cioè dello sterminio di massa. E non c'è neanche bisogno di pensare al processo agli untori portato avanti nella Milano del 1630. Prostituirsi, nonostante il proprio stato di malato di HIV è ancora oggi reato.
La normativa in Italia rimane morbida, anche in virtù della complessità del fenomeno. La Cassazione ha chiarito come l'offerta di prestazioni sessuali non possa prescindere dall'avvertimento sul proprio stato di sieropositività nei confronti del "partner". Si deve avvertire il "cliente" insomma. Negli Stati Uniti però il piano ideato da George W. Bush per contrastare l'AIDS è stato duramente contestato a Washington dalle associazioni che tutelano i malati di HIV. L'accusa, quella di voler spingere ai margini le prostitute. Una norma prevede infatti che i paesi aderenti al piano debbano evitare qualsiasi politica che possa anche solo "far pensare" ad un incoraggiamento del fenomeno.
Mentre il dibattito negli Stati Uniti si fa acceso, altri paesi non si fanno di questi problemi. L'accusa penale per la diffusione dell'Aids è già realtà in Polonia. Lo riporta il Telegraph, con tanto di originale foto in intimo della signorina in procinto di espletare la propria performance, tanto per alimentare l'immagine della "puttana" senza scrupoli che pur di guadagnare del denaro rovina la vita al proprio "corteggiatore". Come se una malata di AIDS stesse lì a divertirsi e a bere champagne.
Altro Paese che non si fa molto problemi è, come ormai sappiamo, la Grecia. Qui si è pensato direttamente a pubblicare le foto e i nomi delle prostitute malate di AIDS, tanto per esporle alla riprovazione dell'intera società "sana". È qui che si concretizza il salto di qualità rispetto ad Italia, Stati Uniti e Polonia. Non solo la presunzione della volontarietà, al fine di poter stigmatizzare e ghettizzare le prostitute come elementi estranei alla società civile, ma anche la pubblica rivendicazione di questa idea da parte delle autorità.
Se in Polonia, Italia e Stati Uniti almeno queste tengono per sé tale pensiero che ormai sappiamo non essere più medievale, ma anzi pericolosamente moderno, in Grecia la cosa può tranquillamente diventare di pubblico dominio, senza scandalizzarsi troppo. Che si sappia pure: le prostitute non trasmettono la piaga. La causano.
Francesco Finucci
Huffington Post
06 09 2013
Orrore in Russia. Yulia Loshagina, una delle modelle più famose del paese, è stata ritrovata senza vita tra i boschi degli Urali.
Il suo corpo era sfigurato, aveva il collo rotto e il volto con segni di combustione. Per risalire alla sua identità c'è stato bisogno del test del DNA.
Secondo quanto riportato dalla stampa russa e dal Daily Mail, a uccidere la donna è stata il marito Dmitry Loshagin.
Sembra che l'uomo, conosciuto nell'ambiente della moda come fotografo, abbia ammazzato la moglie dopo aver scoperto che quest'ultima aveva l'HIV e lo aveva contagiato.
Giornalettismo
01 08 2013
A giugno il regolamento sanitario GY/39A ha reso il test Hiv obbligatorio. Era già successo l’anno scorso: nell’aprile 2012 era stato l’allora ministro Andreas Loverdos. Un anno più tardi l’obbligo era stato revocato. Durante quei mesi, alla polizia bastava il sospetto di prostituzione o tossicodipendenza per obbligare le persone a fare il test, tenerle in isolamento, somministrare trattamenti senza consenso, denunciarle per lesioni personali, tentate lesioni o per avere fatto sesso non protetto. Stiamo assistendo non solo a una grave violazione dei diritti umani, ma a un passo indietro per la salute pubblica: patologie come l’Hiv, l’epatite e la tubercolosi richiedono investimenti nei servizi sanitari, e non la polizia. Il test Hiv obbligatorio è uno strumento oppressivo e lesivo dei diritti umani. Il pretesto è la tutela della salute pubblica; il risultato non potrebbe essere più lontano da tale obiettivo.
DÉJÀ VU – Nel 2012, la società civile internazionale aveva già denunciato la situazione greca. Il 9 maggio 2012, Human Rights Watch, Positive Voice e l’European AIDS Treatment Group avevano scritto una lettera alle Nazioni Unite. Anche la Commissione Europea e le sue agenzie erano intervenute. Nel novembre 2012, l’European Center for Desease Prevention and Control aveva pubblicato un report, “Technical report: Risk assessment on Hiv in Greece”.
Relativamente all’Hiv, il documento illustrava anche com’era la legge greca adottata nel 1990 (e come dovrebbe essere una legge non discriminatoria): il test era volontario e anonimo; si poteva effettuare gratuitamente in ogni struttura sanitaria; doveva essere accompagnato da un consenso informato scritto e da una consulenza prima e dopo. Solo in circostanze eccezionali – come in caso di persona non cosciente o di necessità della diagnosi per la vita del paziente – il test poteva essere eseguito senza consenso, oppure richiesto in alcuni casi specifici. Nemmeno in carcere era obbligatorio. Le linee guida raccomandavano di fare il test e nel 2008 il “National Action Plan against l’Hiv/Aids” si concentrava non solo sulla prevenzione, ma sullo stigma sociale e sull’importanza di policies educative e sociali.
EFFETTI DELLA CRISI ECONOMICA – Le misure di austerità influiscono sulla spesa sanitaria e sulle misure di prevenzione. Le persone più a rischio sono quelle più fragili e con meno mezzi, non solo economici. Alcune strutture sanitarie hanno cominciato a far pagare un ticket per effettuare il test. Sebbene in alcuni centri sia ancora possibile eseguirlo gratuitamente, il costo e la complicazione del cercare una struttura in cui non è previsto il pagamento non sono un incoraggiamento. Dal 2011, in Grecia le nuove infezioni da HIV hanno registrato un aumento molto preoccupante. Tale scenario non riguarda solo la Grecia, naturalmente. In Grecia però è accaduto qualcos’altro. Dal 2012, a causa delle nuove disposizioni sanitarie, non solo alcune persone sono state obbligate a fare il test, ma le foto di quelle risultate positive sono state esposte nei siti della polizia greca, violando in modo evidente e grave la loro privacy.
PROTESTE IN ITALIA – In Italia, la notizia era stata diffusa da alcune organizzazioni impegnate sull’Hiv/AIDS e sulla prostituzione, tra le quali la LILA (“Lila denuncia: gravissime violazioni dei diritti umani in Grecia nei confronti delle persone che vivono con l’Hiv”): “Veri e propri rastrellamenti nelle strade e nei bordelli illegali, dove a giovani ragazze viene imposto il test Hiv, con il completo disprezzo delle indicazioni di tutte le agenzie internazionali, dei diritti umani e del semplice buonsenso, in nome di una malintesa tutela della salute pubblica. Quello che è peggio, delle persone trovate positive al test vengono date in pasto ai media tutte le informazioni: fotografia, generalità, indirizzo dell’abitazione di residenza. […] La prevenzione non ha nulla a che fare con il test obbligatorio dell’Hiv, proibito anche dove la prostituzione è regolamentata: prevenzione è usare sempre il preservativo, e questo vale per le sex worker e per i loro clienti come per la popolazione generale, senza alcuna distinzione”. Crisi economica, tagli al welfare e ai servizi sanitari, ripresa delle infezioni da Hiv: invece di affrontare le responsabilità istituzionali e di fare prevenzione, si mette in scena una specie di caccia all’untore – che spesso sono ragazze sfruttate nei bordelli greci, ora investite di una colpa che non hanno e esposte mediaticamente in un modo che non ha precedenti. La violazione dei diritti umani ha anche una conseguenza pratica: non è certo questo il modo di prevenire e arginare la diffusione del virus. L’irrazionalità sanitaria e sociale è talmente evidente da essere incredibile.
RIPETERE GLI ERRORI – Quanto accaduto l’anno passato sembra essere stato inutile. All’inizio di quest’estate ci ritroviamo infatti davanti alle stesse violazioni – e alle stesse proteste. Pochi giorni fa, dopo la reintroduzione del regolamento sanitario, Lancet ha pubblicato un articolo: “HIV testing in Greece: repeating past mistakes”. Già il titolo basterebbe per capire quale sia il giudizio sul comportamento della Grecia: un errore ripetuto, e sappiamo cosa si dice a proposito della ripetizione degli stessi errori. Oltre a quanto già detto, Lancet ha sottolineato come la stigmatizzazione di persone già marginalizzate sia dannosa e controproducente, perché l’unico effetto è quello di allontanarle dal sottoporsi al test, dalla diagnosi precoce e dalle cure. Nel marzo scorso, sempre su Lancet, era apparso un altro articolo su come la crisi e l’austerità stessero pesando sulle politiche sanitarie in Europa (“Financial crisis, austerity, and health in Europe”).
RISPOSTE SBAGLIATE – Quanto sta (ri)accadendo in Grecia è indicativo di come una reazione sbagliata a un problema non solo non serva a risolvere quel problema originario, ma finisca per sollevarne molti altri. È anche un’occasione per riflettere sulla recente abitudine di stilare gerarchie d’importanza: prima l’economia, poi (forse) i diritti umani. Arrivando alla questione specifica di positività all’Hiv, dobbiamo aggiungere tutto il peso che grava su questa condizione: ignoranza, stigma, paura. “Se ne parla poco e in maniera scorretta”, sono le prime parole di Lella Cosmaro, membro del Consiglio direttivo della Fondazione LILA Milano e Steering Committee Member del network AIDS Action Europe www.aidsactioneurope.org. “Inoltre, è difficile capire fino in fondo che cosa succede nei diversi paesi e a volte anche nel proprio. È importante sforzarsi di farlo, soprattutto in materia di politiche sull’Hiv, perché l’Italia è influenzata dall’ambito europeo e l’Europa, a sua volta, è influenzata da quanto accade nel resto del mondo e nei singoli paesi che la compongono”.
In Italia le persone hanno informazioni talvolta sommarie riguardo all’Hiv, al rischio di contagio, alle strutture cui rivolgersi per sottoporsi al test; ne sanno ancor meno su quanto accade altrove. “A volte mi sembra che l’enorme mole di informazioni debba passare per un gigantesco collo di bottiglia. Non sempre le reti di diffusione della comunicazione funzionano efficientemente, se i nodi della rete non sono abbastanza attivi nella trasmissione in entrata e uscita. Altre volte le informazioni sono poco comprensibili perché non conosciamo il contesto e il sistema sanitario cui si riferiscono. Non ci sono solo problemi di lingua; c’è la difficoltà del familiarizzare con i diversi sistemi sanitari: come spiegare ai colleghi di altri paesi, per esempio, cosa sono le deleghe sulle politiche sulle droghe, di cui discutiamo in Italia? In Grecia, la situazione è talmente grave che il problema della contestualizzazione non si pone neppure. La violazione dei diritti umani è palese e immediatamente comprensibile”.
EUROPA E DIRITTI UMANI – Se i confini non sono (o non dovrebbero essere) più quelli di un singolo stato ma quelli europei, il primo problema all’orizzonte è il conflitto normativo su alcuni diritti fondamentali. Le leggi in materia sanitaria non fanno eccezione: basti pensare alle tecniche riproduttive, all’interruzione volontaria di gravidanza o al fine vita per rendersi conto che se sei in Italia hai diritti molto diversi rispetto a chi è in Olanda o in Francia. Su alcune questioni è cruciale muoversi nella direzione europea. Che poi la Grecia è qui dietro, non solo per vicinanza geografica, ma per le politiche di austerità e per la disattenzione sulla questione Hiv/Aids.
“In molti casi – continua Cosmaro – se non esistesse la società civile, alcune violazioni dei diritti umani rischierebbero di passare sotto silenzio. A questioni come la lotta contro la povertà, i diritti civili, i tagli alla sanità vengono anteposti gli interessi economici. Se non ci fosse nessuno a vigilare, tanti soprusi rimarrebbero nell’ombra”. Nonostante le difficoltà, la società civile è particolarmente attiva sui temi legati all’Hiv e riesce a varcare i confini dei singoli stati, portando in tal modo i problemi e gli abusi nazionali sotto i riflettori europei.
SEGNALAZIONI A BORG – Sul caso Grecia sono arrivate molte segnalazioni al Commissario Europeo alla Salute Tonio Borg, particolarmente sensibile al tema del rispetto dei diritti umani: “Vigileremo su ciò che accade in Grecia” ha dichiarato “così che siano tutelati i diritti di tutti i cittadini.”
“A oggi non ho avuto notizia di alcun cambiamento ufficiale – commenta Cosmaro. Abbiamo avuto l’assicurazione, da parte della Commissione Europea, che si sarebbe fatto tutto il possibile per portare la Grecia a ripristinare le modalità di effettuazione del test Hiv in linea con le direttive europee e internazionali in materia. Non abbiamo certezze, ma c’è molta attenzione e siamo tutti pronti a fare nuove pressioni se la situazione non dovesse cambiare”. Aids Action Europe ha pubblicato le ultime notizie al riguardo, “The battle of civil society against reinstatement of mandatory HIV testing legislation in Greece”.
MECCANISMO PERVERSO – “L’anno scorso, dopo le prime foto pubblicate e grazie alla mobilitazione, l’European Centre for Disease Prevention and Control è andato in missione in Grecia per un sopralluogo. Nel report, pubblicato 6 mesi dopo, si sottolinea che la ripresa delle infezioni non ha alcuna relazione con le persone prese di mira, ma è una conseguenza dei tagli ai servizi e agli interventi di riduzione del danno. Attualmente la diffusione dell’Hiv si verifica soprattutto tra consumatori di sostanze – che sono in aumento anche per effetto della crisi (disoccupazione e povertà) ma non beneficiano più degli interventi di riduzione del danno, come la distribuzione di siringhe a altri materiali da iniezione sterili, che sono stati interrotti”. Il meccanismo dovrebbe essere chiaro: s’è cercato di giustificare l’aumento della diffusione dell’Hiv prendendosela con le persone marginalizzate: prostitute, migranti irregolari, persone senza fissa dimora. Nel frattempo sono stati eseguiti tagli ai servizi sanitari, che hanno avuto conseguenze drammatiche. “Stigmatizzare i gruppi vulnerabili è una strategia cui si fa spesso ricorso in tempi di crisi o quando si scelgono politiche repressive e conservatrici”.
PRIMA L’ECONOMIA! – La crisi economica è spesso invocata come giustificazione di molte decisioni discutibili e quanto sta accadendo in Grecia è un ottimo esempio di come, con la scusa di contenere tale crisi, si marginalizzino le popolazioni vulnerabili, privandole dei più elementari diritti. Ciò si traduce nella riduzione dei costi nel brevissimo termine (e talvolta nel successo elettorale di qualche leader populista), ma inevitabilmente porta a gravi ripercussioni economiche a lungo termine. Implementare gli interventi di prevenzione e riduzione del danno costa infinitamente meno di quanto costeranno i trattamenti per l’Hiv e le epatiti dei consumatori di sostanze che si sono recentemente infettati a causa dei tagli, provocando un’impennata nell’incidenza di tali infezioni.
TEST HIV IN ITALIA – In conclusione, può essere utile sapere cosa dice la legge italiana. Il test Hiv non è obbligatorio. Inoltre la legge 135 del 1990 sancisce che: “Nessuno può essere sottoposto, senza il suo consenso, ad analisi tendenti ad accertare l’infezione da HIV se non per motivi di necessità clinica nel suo interesse. Sono consentite analisi di accertamento di infezione da HIV, nell’ambito di programmi epidemiologici, soltanto quando i campioni da analizzare siano stati resi anonimi con assoluta impossibilità di pervenire alla identificazione delle persone interessate” (articolo 5, 3). All’articolo successivo la legge stabilisce che: “È vietato ai datori di lavoro, pubblici e privati, lo svolgimento di indagini volte ad accertare nei dipendenti o in persone prese in considerazione per l’instaurazione di un rapporto di lavoro l’esistenza di uno stato di sieropositività” (articolo 6, 1).
Chiara Lalli