Il Grande Colibrì
03 03 2015
Mentre si assottiglia la zona grigia di paesi che, forse per ignavia, forse per scarse pressioni popolari, non legiferano sulle coppie (o sui rapporti) omosessuali, opposti a quelli che realizzano il principio di eguaglianza ci sono paesi che aumentano le proprie politiche discriminatorie. E così, mentre i matrimoni omosessuali arrivano ad essere celebrati perfino nel bigotto Texas (time.com), altrove - soprattutto in alcune nazioni africane, ma anche in Russia - le condizioni per le persone LGBT (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) diventano sempre più difficili. Qualcuno riesce a scappare dall'inferno e ad arrivare in paesi che non solo riconoscono i diritti di tutti, ma che di quei diritti si fanno paladini. Ma le storie qui si dividono in lieti fini da una parte ed espulsioni ridicole dall'altra.
Nel mezzo, fino a qualche giorno fa, c'erano, per esempio, le norme inglesi per i richiedenti asilo, che erano molto rigide e in passato avevano fatto gridare allo scandalo perché veniva richiesta una sorta di prova della propria omosessualità (ilgrandecolibri.com). Oggi nel Regno Unito le linee guida per concedere l'asilo sono cambiate e provano a considerare la persona per quello che dice inserito nel contesto del paese da cui proviene, dove l'omosessualità è meno stereotipata (o lo è in modo differente) e dove il fatto stesso di parlare dell'argomento rappresenta, per alcuni, un ostacolo insormontabile. Le nuove norme, insomma, sembrano comprendere che le persone sono diverse tra loro, sia per carattere personale, storia, appartenenza e provenienza (gov.uk).
La notizia è buona, anzi ottima. Ma si scontra con quello che poi le persone applicano. Se per esempio a valutare la candidatura di un immigrato dall'Uganda è qualcuno che non sa o non vuole sapere quanto le persone LGBT siano discriminate in quel paese, le buone regole non servono a nulla. E' quanto sta accadendo in questi giorni in Germania a Kyabangi e a Sekulima, una lesbica e un gay che sono riusciti a scampare l'odio del paese dove le promesse di leggi sempre più punitive nei confronti delle persone omosessuali si intersecano con l'odio popolare e la propaganda religiosa (ilgrandecolibri.com).
Kyabangi e Sekulima sono arrivati a Monaco di Baviera con alle spalle storie di violenza indicibili, che nel caso della donna sono culminate nell'uccisione della sua prima compagna. Ma oggi le autorità tedesche, che pure quotidianamente condannano le discriminazioni delle persone gay e lesbiche in Uganda, vogliono rimandarli in patria, negando loro il diritto di asilo che invece altri conoscenti dei due hanno avuto riconosciuto in Finlandia e in Olanda (abendzeitung-muenchen.de). Al loro fianco, oltre che gli avvocati, c'è tutta una comunità LGBT che è riuscita a far diventare la questione un caso nazionale e che forse, grazie a quest'attenzione, otterrà un cambiamento di giudizio. Ma che sarebbe accaduto se i due fossero stati soli, nelle mani di funzionari come questi?
Per fortuna, a fronte di un aumento di richieste che arrivano da paesi africani - ma anche dall'India o dalla Russia, dove la stretta putiniana contro la "propaganda gay" ha ormai trasformato la comunità LGBT in un obiettivo per ogni genere di aggressione da parte di criminali, nazisti o uomini in divisa (aljazeera.com) - esiste anche un fronte associativo pronto ad aiutare le persone in cerca di asilo.
Ad esempio a Chicago, negli Stati Uniti, è stato lanciato il CLASP (Chicago LGBT Asylum Support Program), un nutrito gruppo di volontari che aiuteranno i rifugiati nell'iter delle loro domande con assistenza, aiuto e istruzioni per rendere le loro pratiche rispondenti ai criteri richiesti dalle autorità e impedire il rimpatrio in paesi, come la Nigeria - di cui l'associazione si è occupata per prima, seguendo tre casi contemporaneamente (windycitymediagroup.com) - dove l'omosessualità è un crimine punito severamente e anche solo il sospetto può essere causa di violenza e morte (ilgrandecolibri.com). E anche in Italia da tempo opera una rete di sportelli molto efficienti: i loro contatti sono riuniti nella mappa de ilgrandecolibri.com, da consultare e condividere.
Redattore sociale
24 02 2015
L’omosessualità come causa della vita in strada, la doppia discriminazione degli immigrati Lgbt, il caso di Bologna, dove i servizi di bassa soglia si sommano alle attività di Arcigay e Mit: questi i risultati della ricerca dell’associazione Avvocato di strada
BOLOGNA – Una borsa di studio per l’Italia, i documenti pronti e il viaggio dal Marocco. L’arrivo, la gioia, e la scoperta che l’esame di ammissione al corso scelto si poteva sostenere solo in italiano: “Però lui non lo parla, e vorrebbe tornare indietro. Ma la famiglia gli chiede di rifarsi una vita in Italia. È finito in strada”: Vincenzo Branà, presidente del Circolo Arcigay Il Cassero, riassume così la storia di uno dei 20 intervistati protagonisti della ricerca ‘Una strada diversa’ dell’associazione Avvocato di Strada. La pubblicazione, finanziata dalla Chiesa Valdese con i fondi dell’8x1000, è parte di un progetto più ampio, nato con l’obiettivo di indagare e intervenire su una nuova categoria a rischio homelessness, rappresentata dalle persone Lgbt. In questa ricerca sono stati intervistati senzatetto Lgbt e operatori dei servizi per i senza dimora del territorio bolognese. Gli operatori hanno raccontato che non fanno domande legate all’orientamento sessuale. Questo per rispetto della privacy. Si confrontano apertamente solo se l’omosessualità è espressa esplicitamente o in casi di grande confidenza, e in quel caso tendono la mano. Ma a tutti, ormai, è noto che, nonostante se ne parli ancora poco, l’identità di genere sia una causa – o almeno una concausa – della vita in strada”. Branà cita un recente studio americano: a New York, più del 30 per cento degli homeless non è eterosessuale, quando la percentuale di Lgbt sulla popolazione mondiale è stimata attorno all’8 per cento. “L’omosessualità è causa di homelessness, così come lo stigma sociale e la solitudine alla quale molte persone Lgbt si costringono. Purtroppo, quando fai coming out solamente in alcuni ambienti, poi c’è il rischio anche di entrare nel giro della prostituzione”.
Dalla ricerca emerge anche un altro dato allarmante, che riguarda la quantità di immigrati Lgbt, “che subiscono una doppia discriminazione. Spesso il coming out è anche un problema culturale: in arabo non esiste la parola ‘omosessuale’. Voler dichiarare la propria identità sessuale diventa anche un problema semantico, oltre che personale e sociale”. E racconta di come il ragazzo marocchino arrivato in Italia con la borsa di studio, il giorno in cui ha detto agli amici arabi di essere stato al Cassero, ha riscontrato atteggiamenti totalmente diversi. “Questo episodio è emblematico anche per un altro motivo: a Bologna, i senzatetto Lgbt si rivolgono ai servizi di bassa soglia per un posto dove dormire e un pasto; e al Cassero o al Mit per altri bisogni, come quello di esplicitare la propria omosessualità. La ricerca di Avvocato di Strada ha aperto un’importantissima finestra su questa metodologia, dimostrandoci di poter osservare il fenomeno da due punti di vista diversi”.
Al momento, per una richiesta d’aiuto così specifica non esiste una risposta peculiare, ma l’obiettivo è riuscire a trasformare il modello nato spontaneamente a Bologna in prassi. Per cominciare questo percorso di intersezione di servizi, ‘Una strada diversa’ fornisce agli operatori alcuni consigli per imparare a rapportarsi con i senzatetto Lgbt (che si sommano a evidenti necessità di formazione): “In pratica, la persona Lgbt si deve sentire accolta e deve ricevere, senza chiedere, rinforzi positivi. L’obiettivo è creare un contesto in grado di favorire l’apertura personale e la presa di coscienza dei problemi grazie alla competenza e familiarità degli operatori con queste tematiche”.
Il progetto ‘Una strada diversa’ (cominciato il 1 febbraio 2014 e conclusosi il 31 dicembre) ha visto anche due momenti di formazione, uno tecnico rivolto proprio agli operatori e uno di carattere giuridico dedicato agli avvocati: “I senzatetto devono essere adeguatamente tutelati: nei migliori dei casi sono discriminati, ma si può arrivare sino all’esclusione anche violenta. Serve un percorso specifico, un know how adeguato. Servono nuovi strumenti”.
Plauso al progetto anche da parte del senatore del Pd Sergio Lo Giudice. “Pregiudizio, emarginazione e crisi economica possono rappresentare un mix esplosivo e la mancanza di residenza aggiunge ulteriore marginalità rendendo difficile l’accesso alle strutture sanitarie – ha detto il senatore – In queste settimane è iniziata presso la commissione igiene e sanità del Senato la discussione del ddl 86? ?in materia di residenza e assistenza sanitaria alle persone senza dimora, di cui sono firmatario, predisposto da Avvocato di Strada”.
La ricerca “Una strada diversa. Homelessness e persone Lgbt” sarà presentato oggi alle 18 al Cassero Lgbt Center di Bologna (via don Minzoni, 18). (Ambra Notari)