Huffington Post
24 09 2015
17 obiettivi e 15 anni di tempo per realizzarli pensando a "un mondo più giusto e sostenibile per tutti". È con queste premesse che si apre, questa settimana a New York, il summit per l'adozione dell'Agenda di sviluppo sostenibile 2030, negoziata nel corso del tempo, basata su un approccio olistico (ogni obiettivo è inseparabile dall'altro), che vede il coinvolgimento di governi e società civile e manda definitivamente in pensione gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.
Si tratta di una scommessa azzardata in un mondo mai come oggi percorso da conflitti e tensioni e mai come ora diviso da muri anche fisici. Ma è una scommessa da fare. Come ogni nuovo progetto, l'avvio è anche un momento di condivisione. Spesso di festosa creatività. A Central Park, in uno dei simboli di New York, il 26 settembre i grandi nomi della musica - dai Pearl Jam a Beyoncé - si ritroveranno al Festival Global Citizen, in coincidenza con l'adozione ufficiale dell'Agenda 2030, per far sentire la voce di centinaia di migliaia di cittadini che diranno no all'ineguaglianza e al dramma della povertà, e si alla protezione dell'ambiente.
Mentre la piattaforma Project Everyone scommette di condividere questi obiettivi con i sette miliardi di cittadini del pianeta Terra in appena sette giorni. Come? Issando bandiere e sventolando messaggi colorati, uno per ciascuno dei 17 "Obiettivi Globali". Tra le prime bandiere a svettare nei cieli vi è quella portata da una squadra del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (WFP) sulle vette dell'Himalaya, nel distretto nepalese di Gorkha, uno dei più colpiti dal devastate terremoto che ha sconvolto il paese nell'aprile di quest'anno.
Una lunga carovana di muli con viveri e di abitanti dei villaggi di quelle terre belle e difficili è arrivata in vetta sventolando la bandiera dell'Obiettivo numero 2, quello per un mondo a "Fame Zero". Tra le guide di questa spedizione molto speciale vi era Nimdoma Sherpa, la portabandiera del WFP con una storia anch'essa speciale. A 17 anni, nel 2008, è stata la donna più giovane a scalare l'Everest. Ancor prima, da bambina, ha potuto studiare grazie al pasti che il WFP distribuiva nella scuola del suo villaggio. Più tardi ha vinto la scommessa di radunare un gruppo di giovani donne che con lei hanno scalato le vette più alte del mondo. Anche sconfiggere la fame sembra un obiettivo difficile, quasi insormontabile, come una montagna. E forse proprio per questo serviva una sherpa dalle molte battaglie vinte a far sventolare il simbolo di Zero Hunger.
Vichi De Marchi
La Stampa
03 09 2015
Le guerre in corso nel mondo arabo obbligano 13,7 milioni di bambini a rinunciare alla scuola. Ad affermarlo è un rapporto dell’Unicef in cui si documenta come i conflitti in Siria, Iraq, Yemen, Libia e Sudan abbiano allontanato dalle aule il 40 per cento del totale dei bambini in età scolare. «Un’intera generazione viene privata della basi dell’istruzione» afferma il rapporto, documentando attacchi a studenti ed insegnanti come anche la distruzione di edifici scolastici.
Nel complesso sono almeno novemila le scuole divenute inagibili a causa dei danni subiti o della destinazione ad altri usi, come basi militari o centri di addestramento per milizie. L a situazione più grave è in Siria dove, dall’inizio della guerra civile nel marzo 2011, il 25 per cento delle scuole è stato chiuso, privando dell’istruzione 2 milioni di alunni. «L’impatto distruttivo dei conflitti in corso si abbatte sui più piccoli in tutta la regione - afferma Peter Salama, direttore regionale di Unicef in Medio Oriente e Nord Africa - non solo per i lutti e la demolizione delle scuole ma soprattutto per la disperazione di una generazione che vede infrante le speranze per il futuro». Il rapporto cita anche attacchi alle scuole palestinesi in Cisgiordania. Sul fronte dei profughi l’emergenza investe Turchia, Giordania e Libano: mancano fonti, strutture e insegnanti per fare fronte alla necessità di istruzione per chi fugge da Siria e Iraq.
Maurizio Molinari
Amnesty International
28 08 2015
Il ricorso dei governi alla sparizione forzata per ridurre al silenzio le voci critiche e incutere paura a determinati gruppi della società prosegue incontrastato in ogni parte del mondo.
Lo ha dichiarato Amnesty International alla vigilia del 30 agosto, giornata internazionale degli scomparsi.
"Dalla Siria al Messico, dallo Sri Lanka al Gambia come in altri paesi del mondo, centinaia se non addirittura migliaia di persone potrebbero trovarsi in qualche carcere segreto e molti governi si accaniscono contro coloro che cercano notizie dei loro cari. Per questo, la lotta per la giustizia non deve cessare" - ha dichiarato Salil Shetty.
"In occasione della Giornata internazionale degli scomparsi, rinnoviamo il nostro sostegno a tutte le vittime e ai familiari di coloro che hanno subito arresti illegali e sparizioni forzate da parte delle autorità statali. C'è bisogno di maggiore pressione sui governi responsabili di queste pratiche orribili perché vi pongano fine" - ha aggiunto Shetty.
Le sparizioni forzate sono commesse da agenti dello stato o da persone che agiscono per conto dello stato. La persona scomparsa, il cui arresto o la cui detenzione vengono sistematicamente negati, viene posta in questo modo al di fuori della protezione della legge e a grande rischio di essere torturata e anche uccisa. Quasi mai viene portata di fronte a un giudice e raramente vengono registrati il suo "reato" o il luogo di detenzione.
In vista della Giornata internazionale degli scomparsi di quest'anno, Amnesty International presenta casi di sparizione forzata in ciascuna delle zone del mondo.
Medio Oriente e Africa del Nord: Siria
Secondo le ricerche di Amnesty International, dal 2011 al 2015 in Siria sono scomparse quasi 85.000 persone: oppositori politici, difensori dei diritti umani, attivisti così come semplici cittadini o insegnanti che avevano preteso il pagamento degli stipendi.
Rania Alabbasi è stata arrestata nel marzo 2013 insieme ai suoi sei figli, il più piccolo di tre anni e il più grande 15enne. Da allora se ne sono perse le tracce e il governo non ha mai dato ai familiari alcuna informazione.
Naila Alabbasi, sorella di Rania, ha detto ad Amnesty International: "Quando è iniziata la rivolta, lei ha deciso di restare. Pensava che sarebbero stati al sicuro dato che non avevano preso parte ad attività politiche e non avevano militato nei partiti d'opposizione. Non erano mai andati alle manifestazioni. Non sappiamo più nulla di loro, tutti i tentativi di ottenere qualche informazione sono stati vani.
Non dobbiamo dimenticare Rania, la sua famiglia e gli altri prigionieri che si trovano nella stessa situazione.."
Firma l'appello
Americhe: Messico
Secondo dati ufficiali, dal 2007 in Messico sono scomparse quasi 25.000 persone, poco meno della metà solo sotto l'attuale governo del presidente Peña Nieto.
Questo scandalo è diventato internazionale nel settembre 2014 dopo la sparizione di 43 studenti dell'istituto magistrale di Ayotzinapa, nello stato di Guerrero.
Gli studenti si stavano recando a una manifestazione di protesta contro la riforma scolastica quando sono stati attaccati da agenti di polizia e da altri uomini armati nella città di Iguala.
Tre di loro sono stati immediatamente uccisi e altri, secondo le testimonianze oculari, portati via dalla polizia. Dopo 24 ore è stato ritrovato il cadavere, con segni di torture, di uno degli studenti, Julio César Mondragón.
Le famiglie degli altri 42 studenti sono rimaste nell'angoscia di non avere più notizie dei loro cari.
Inizialmente le autorità hanno negato di avere informazioni e nei mesi successivi hanno fornito una ricostruzione dei fatti che è contestata dalle famiglie degli scomparsi e dai loro rappresentanti.
Nonostante gli occhi del mondo su di loro, le autorità messicane non hanno indagato adeguatamente su tutti gli aspetti della vicenda, soprattutto sulle sconvolgenti denunce riguardanti il coinvolgimento delle forze armate.
Sono invece emerse le collusioni tra autorità locali e gruppi criminali.
Centinaia di migliaia di studenti, loro familiari e semplici cittadini di ogni parte della società messicana sono scesi coraggiosamente in strada per chiedere al governo di agire. Omar, amico di uno degli studenti scomparsi, ha detto ad Amnesty International:
"La risposta del governo è stata cinica e insensibile. Sono preoccupato ma non spaventato per quello che è successo. Non cesseremo mai di lottare per la giustizia".
Asia: Sri Lanka
Si stima che decine di migliaia di persone siano scomparse nel conflitto tra l'esercito e le Tigri Tamil, terminato nel 2009, e nella campagna di contro-insurrezione contro le forze di sinistra del biennio 1989-90. Pochi casi sono stati risolti e le famiglie che continuano a cercare informazioni sulla sorte dei loro cari subiscono gravi intimidazioni.
A partire dal 1990, i governi hanno istituito svariate commissioni d'inchiesta sugli scomparsi, che hanno chiamato in causa leader politici e alti dirigenti della polizia e delle forze di sicurezza. Tuttavia, le autorità hanno ampiamente ignorato le raccomandazioni che queste persone - alcune delle quali ancora al loro posto - venissero processate.
Le sparizioni sono proseguite persino in tempo di pace: il vignettista Prageeth Egnalikoda è scomparso alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2010. Per sua moglie, Sandra, rintracciarlo è diventato il principale scopo di vita:
"Senza di lui, la situazione è difficile anche dal punto di vista economico. Ora devo fare da madre e anche da padre ai nostri figli. E questo è un destino comune per tutte le famiglie degli scomparsi".
Europa: Bosnia ed Erzegovina
A due decenni di distanza dalla fine del conflitto degli anni Novanta, la sorte di oltre 8000 scomparsi resta sconosciuta. Lo stato non ha attuato fino in fondo la Legge sulle persone scomparse, che obbliga le autorità a cercare le vittime di sparizione forzata, né ha adeguatamente finanziato il fondo di sostegno alle vittime e ai loro familiari.
"La legge esiste solo sulla carta. Nessuno la rispetta" - ha dichiarato Zumra Sehomerovic, vicepresidente del Movimento delle madri di Srebrenica e Zepa. "Quando ci presentiamo dalle autorità, ad esempio per ottenere un certificato che riconosca la scomparsa di una persona, ci trattano in modo sprezzante".
Amnesty International chiede al presidente del Consiglio dei ministri della Bosnia ed Erzegovina di garantire che le autorità svolgano ricerche su tutte le vittime di sparizione forzata dell'epoca della guerra e forniscano alle famiglia una riparazione.
Firma l'appello su Srebrenica
Amnesty: la ricerca degli scomparsi in Bosnia sia una priorità dello stato
Africa: Gambia
In molti stati africani, i giornalisti subiscono intimidazioni e persecuzione giudiziaria. Uno dei regimi più illiberali è quello del Gambia. Nell'aprile 2004 il presidente Yahya Jammeh ordinò ai giornalisti di obbedire al governo altrimenti per loro sarebbe stato "l'inferno".
Nel luglio 2006 Ebrima Manneh, giornalista del Daily Observer, fu arrestato per aver pubblicato un'inchiesta dell'emittente britannica Bbc sul presidente Jammeh alla vigilia di un vertice dell'Unione africana.
Dopo ripetuti tentativi del padre e di alcuni colleghi di avere sue notizie, nel 2007 il governo negò ufficialmente l'arresto e disse di non avere informazioni sul conto del giornalista.
Nel 2008 la Corte di giustizia della Comunità economica degli stati dell'Africa occidentale dichiarò che l'arresto di Ebrima Manneh era illegale e ordinò al governo di rilasciarlo e risarcirlo con l'equivalente di 100.000 dollari Usa.
Alla sentenza non è stato dato alcun seguito.
Il governo del Gambia continua a sostenere di aver controllato tutte le prigioni e di non aver rinvenuto traccia di Ebrima Manneh. Tuttavia, secondo informazioni trapelate di recente, il giornalista potrebbe trovarsi, detenuto senza processo, nella stazione di polizia di Fatoto. Amnesty International lo ritiene un prigioniero di coscienza e continua a chiedere il suo rilascio immediato e incondizionato.